IN MERITO ALL’ATTUALE DIBATTITO

UNIONI DI FATTO

 

La Chiesa è giustamente contraria, ma non bisogna dimenticare che alla base di questa richiesta ci sono fattori culturali, economici e politici. La legge attuale potrà essere corretta, cambiata o bocciata, ma la situazione rimane con tutta la sua problematicità. Cosa può fare la comunità cristiana per un ricupero del “valore famiglia”?

 

Il disegno di legge sulle unioni civili approvato dal Consiglio dei ministri giovedì 8 febbraio, su proposta congiunta di Barbara Pollastrini, ministro per le Pari Opportunità e di Rosy Bindi, ministro per la Famiglia, è il risultato di una lunga e faticosissima mediazione, contenutistica e terminologica, tra la com­ponente cattolica e la variegata componente laica, presenti nella compagine governativa. Nel testo, che ora dovrà affrontare il dibattito parlamentare, è stato accuratamente evitato ogni richiamo alla realtà della famiglia, come pure ogni collegamento con i Pacs.

La bozza del provvedimento, contenuta in 14 articoli, porta come intestazione: Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi. La legge, una volta approvata, sarà chiamata DICO.

Il primo articolo aiuta a capire chi saranno i beneficiari del nuovo provvedimento: “Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente, e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale… sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabilite dalla presente legge” (a. 1).

Il tutto parte da una dichiarazione resa dai due conviventi all’Ufficio Anagrafe. Deve trattarsi di una dichiarazione disgiunta che può avvenire o contestualmente o anche in momenti successivi. Si tratta di particolari volutamente studiati, onde evitare ogni riferimento simbolico al “rito” matrimoniale. In altre parole si doveva rendere evidente che il disegno di legge regola i diritti dei conviventi, ma esclude ogni equiparazione alla famiglia evitando anche l’idea di un matrimonio di serie “B”.

 

I DIRITTI

PREVISTI

 

In conseguenza alla nuova legge, le due persone maggiorenni conviventi, potranno godere di una serie di diritti, prima inesistenti: la successione, le pensioni, l’assegnazione di alloggi di edilizia pubblica, agevolazioni e tutele in materia di lavoro. In caso di malattia, infine, di uno dei conviventi, l’altro ha diritto di accesso alle strutture ospedaliere, per fini di visita e di assistenza.

Non tutte le facilitazioni saranno d’immediata attuazione. Alcune sono condizionate a precisi limiti di tempo. Ad es. il subentro nell’affitto scatta solo se la convivenza dura da almeno tre anni, oppure se ci sono figli comuni. Il diritto di successione scatta dopo nove anni di convivenza. L’obbligo degli alimenti è esigibile solo se la convivenza dura da almeno tre anni e può essere preteso per un periodo proporzionato alla durata della convivenza.

È stato escluso dalla bozza di legge ogni riferimento al tema dei minori e delle adozioni.

Per quanto riguarda le pensioni di reversibilità, ogni decisione è stata rimandata alla futura riforma del sistema previdenziale.

In sintesi si deve riconoscere che il risultato è meno negativo di analoghi provvedimenti in vigore in altri paesi europei. Si pensi ad es. alla Francia dove dal 1999 sono in vigore i Pacs; alla Germania, dove dal 2001 sono legali le convivenze registrate; alla Spagna di Zapatero dove dal 2005 è stato legalizzato il famigerato matrimonio delle coppie omosessuali. Al confronto di queste e altre leggi europee, il disegno di legge italiano, è il meno “simil-matrimoniale” – come si usa dire – che si potesse escogitare.

Tuttavia, mai come in questa circostanza, la Chiesa si è opposta con la massima decisione al varo di questo disegno di legge, e ha contestato la presenza di questo tema anche nel programma dell’Unione. Sull’argomento è ripetutamente intervenuto lo stesso Santo Padre con un vigore maggiore di quanto non sia avvenuto in passato. Dopo la pubblicazione del testo, il SIR – agenzia della CEI – si è così espresso: «Il giudizio di tale iniziativa di legge non può che essere nettamente negativo. Esso minaccia infatti d’incidere pesantemente sul futuro della nostra società sia a livello culturale e di costume, sia nella concreta ricaduta sulle famiglie italiane».

Per i cristiani, che considerano l’insegnamento della Chiesa come una lampada che illumina i loro passi, è doveroso cercare di capire le ragioni di questa contrapposizione frontale. A noi sembra che esse siano sostanzialmente tre.

 

RAGIONI DELL’OPPOSIZIONE

IRRIDUCIBILE DELLA CHIESA

 

1. La prima ragione scaturisce dalla preoccupazione che la nuova legge finisca con l‘oscurare e con lo stravolgere l’identità dell’istituto matrimoniale e della famiglia.

Per i cristiani, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna è l’unica forma coniugale lecita. Essa è stata resa sacra da Gesù Cristo, attraverso il sacramento del matrimonio. Costituisce il luogo naturale di cura reciproca e di accoglienza della vita. È lo spazio privilegiato per la realizzazione della persona ed è la base su cui è costruita la stessa società civile.

Questa visione non ha solo un significato religioso, legato all’ottica della fede: esprime anche una cultura largamente condivisa dal mondo laico e da quanti intendono fare riferimento al solo piano razionale.

Del resto nella nostra Costituzione, ispirata a una sana laicità, il problema della famiglia è sintetizzato in una riga: “La Repubblica italiana riconosce i diritti della famiglia, come società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29) . Finché esisterà questa costituzione la famiglia avrà un significato univoco: una realtà fondata sull’unione tra un uomo e una donna; una unione naturale, cioè voluta dalla natura. Lo stato si limita a riconoscere i diritti della famiglia, non li crea.

In questo momento di smarrimento culturale, la preoccupazione legittima della Chiesa è che il riconoscimento di realtà simili alla famiglia ma strutturalmente diverse da essa, ne stravolgano la visione umana e cristiana, dando vita di fatto a due modelli diversi di realtà familiare: uno legato al matrimonio stabile, monogamico, eterosessuale; l’altro più leggero, legato alla volubilità del momento, e per di più oltre che etero, anche omosessuale. La Chiesa si sente in questo momento l’ultima barriera eretta a difesa di questo perno essenziale della società umana e della stessa civiltà umana

 

2. Una seconda ragione di preoccupazione dei vescovi italiani è costituita dal timore di inevitabili ricadute negative della legge sulla cultura e sulla prassi di vita.

Il testo di legge di per sé non può dirsi intrinsecamente negativo. Per di più esso è all’esame del parlamento ed è quindi migliorabile.

C’è il pericolo, tuttavia, che la sola istituzionalizzazione di questa prassi, finisca con il moltiplicarla. In un contesto culturale fragile, qual è quello attuale, è verosimile che molte persone, si sentano incoraggiate a preferire il “matrimonio leggero” delle convivenze. Mons. Ennio Sanna, arcivescovo di Oristano, ha dichiarato in una intervista al Corriere della Sera, la sua preoccupazione che l’introduzione di questa legge contribuisca a mutare il sentire della gente. Si tratterebbe di un mutamento assai serio, giacché riguarda il modo di concepire la coppia e la famiglia.

Realisticamente, la legalizzazione di una prassi ne facilita la diffusione. L’esperienza francese insegna: l’accesso ai Pacs è stato richiesto nel 2000 – ossia nell’anno successivo all’approvazione della legge – da 22.000 persone. Nei soli primi sei mesi del 2006, il numero dei richiedenti è salito a 57.000 persone.

C’è anche il pericolo che si perda la sensibilità etica dei fatti, identificando, anche da parte di cattolici sprovveduti ciò che è legale con ciò che è moralmente lecito. I sacerdoti confessori potrebbero confermare, per analogia, come dopo la legalizzazio­ne dell’aborto, molte persone hanno smarrito il senso della gravità di questo delitto.

 

3. Infine preoccupa seriamente la Chiesa il fatto che il disegno di legge apre a tutte le unioni di fatto, comprese quelle omosessuali. Questo tipo di unioni esiste da sempre nella storia umana. La novità sta nel rischio che queste unioni vengano gradualmente equiparate in toto alle famiglie, compreso il diritto di avere dei figli attraverso strade innaturali ma oggi tecnicamente praticabili.

La Chiesa non nutre pregiudizi nei confronti delle persone con tendenze omosessuali: le accoglie, le stima, le ama come tutte le persone. Tutto questo però deve avvenire nella verità e senza sconvolgere i parametri antropologici relativi al matrimonio e alla famiglia. Si comprende perciò il senso della dichiarazione del segretario della CEI: «Chi intende convivere, dando vita a coppie etero o omosessuali, è libero di farlo e in questo non ha impedimenti, né subisce alcuna discriminazione… Ma riconoscere alle unioni di fatto diritti simili a quelli derivanti dal matrimonio, determinerebbe una inevitabile relativizzazione del modello familiare e indebolirebbe il favor familiae su cui di fatto si regge la società italiana, favorendo il propagarsi di una cultura sempre più individualistica».

 

PASTORALMENTE

CHE FARE?

 

L’enfasi data dai media al disegno di legge sulle unioni di fatto oggi non deve far dimenticare quello che preoccupa maggiormente la coscienza cristiana: il calo di stima registrabile nel nostro paese per il matrimonio e per la famiglia. Ogni anno aumentano i matrimoni civili, rispetto a quelli religiosi; quel che è peggio, aumentano le unioni di fatto e ciò costituisce sempre meno un problema di coscienza per i protagonisti di questa scelta.

La situazione non dipende, certo, dal disegno di legge appena presentato in parlamento. Alla base ci sono fattori culturali, economici e politici. La legge attuale potrà essere cambiata e migliorata, oppure potrà essere bocciata, ma la situazione rimane con tutta la sua problematicità. Cosa può fare la comunità cristiana per un ricupero del “valore famiglia”?

 

– La prima risposta riguarda l’impegno a preparare e ad accompagnare le nuove famiglie cristiane, affinché vivano la loro scelta in termini di conoscenza del significato del sacramento, di gioiosità e di esemplarità. Il matrimonio cristiano va concepito e vissuto sempre più, dai cristiani, non come un problema privato, ma come fatto pubblico, con la coscienza di dover testimoniare l’amore di Dio e di doverlo testimoniare anche con la coerenza della vita, a livello professionale e a livello civico, nel rispetto della legalità, nella solidarietà verso i vicini e i lontani.

 

– Inoltre la Chiesa ha il diritto-dovere di richiedere ai governanti, di impegnare seriamente e prioritariamente delle famiglie naturali, facilitandone la nascita e lo sviluppo.

Mi sembrano molto puntuali sotto il profilo pastorale le parole di mons. Dho, Vescovo di Alba «Lo Stato, che in qualche modo deve pur tener conto di tutte le situazioni, anche quelle anormali, non può però trascurare il suo compito primario e doveroso, quello di sostenere ben più di quanto ha fatto sinora, i matrimoni e le famiglie regolari, specie quelle deboli, povere e in difficoltà di ogni genere, a cominciare dalla scuola e dalla casa come impone la Costituzione».

– Un’ultima doverosa riflessione va rivolta alla responsabilità dei fedeli laici, che hanno attivamente collaborato a preparare il disegno di legge. Essi, anche all’interno della Chiesa, hanno ricevuto più bacchettate che comprensione. Nel contesto dell’attuale maggioranza parlamentare, i cattolici presenti nel governo hanno considerato doveroso affrontare l’argomento delle unioni di fatto, pur ponendo attenzione alle preoccupazioni della Chiesa e impegnandosi a misurare le parole, così da non sminuire il valore della famiglia.

L’interrogativo che ci si deve porre come Chiesa è: la scelta compiuta da questi fratelli laici era legittima o essi hanno esorbitato dalle competenze proprie dei cristiani impegnati in politica?

Può essere illuminante, per una risposta serena, leggere due testi del concilio: Lumen gentium n. 31 e Gaudium et spes n: 43 Molta luce può venire anche dall’enciclica di Benedetto XVI «Il compito immediato di operare per la giustizia è proprio dei fedeli laici. Come cittadini dello Stato essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica… cooperando con gli altri cittadini, secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità» (Deus caritas est 29).

 

Don Giuseppe Pasini