COSA È STATO FATTO?

 

Dal tempo della Populorum progressio la spinta per lo sviluppo è passata da una fase segnata dall’ottimismo dei primi anni ’70 a una fase di stanca, se non di depressione. Lo constata con sofferenza Giovanni Paolo II (SRS 12): malgrado gli sforzi fatti da molti paesi e dalle Ong di volontariato, malgrado l’Onu abbia promosso tre decenni di sviluppo (1960-70 e 1979-80 e 1980-90), il fossato tra i paesi poveri e quelli ricchi non si è ridotto, anzi si è allargato soprattutto a causa del debito pubblico provocato dalle nazioni ricche con la rivalutazione del dollaro (1981). Il Nord e il Sud sono oggi più distanti, la caduta del muro di Berlino e la fine del comunismo e dell’impero sovietico ha lasciato libero campo al capitalismo liberale. Purtroppo dobbiamo riconoscere che il Nord del mondo si è chiuso nel suo egoismo e, ostentando una ricchezza e una crescita tecnologica ed economica sempre crescente, sta contrastando con un Sud che invece sprofonda in una crescente povertà aggravata da una pesante dipendenza dal Nord. I popoli del Sud invece di diventare soggetti del loro sviluppo «attori responsabili del proprio miglioramento materiale e del progresso morale e dello svolgimento pieno del proprio destino» (PP 34), sono ridotti a oggetto di commiserazione quando non sono ignorati o trattati da schiavi o, addirittura, da fornitori di organi per gli abitanti del mondo dell’opulenza.

Giovanni Paolo II in SRS (20ss) si è chiesto quali siano le cause di questo peggioramento della situazione. Oggi sono superate le tensioni est-ovest, ma restano altre cause ancora valide: l’omissione dei propri doveri di solidarietà da parte dei paesi sviluppati, l’interazione di meccanismi perversi, come il debito estero, le guerre per procura che vengono combattute nel cosiddetto Terzo mondo, le politiche egoistiche di sicurezza nazionale imposte da paesi ricchi, la produzione e il commercio delle armi offerto ai paesi poveri, il terrorismo, gli investimenti di capitali che, invece di essere indirizzati allo sviluppo dei paesi poveri, sono dirottati nella produzione e nel commercio delle armi (23-24). Giovanni Paolo II nel 1987 non aveva sotto gli occhi due fenomeni che oggi sono l’indice del mancato impegno per lo sviluppo: il terrorismo internazionale conseguente all’11 settembre 2001, con deteriorarsi delle relazioni nord-sud del mondo e le due inutili e interminabili guerre dell’Afghanistan e dell’Iraq e il fenomeno dell’emigrazione clandestina dei poveri verso il mondo ricco.

Questi due fenomeni mostrano per contrasto la verità enunciata da Paolo VI: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. Non si promuove la pace facendo le guerre e volendo sottomettere i poveri, ma aiutandoli nella loro lotta al sottosviluppo, salvandoli dalla spirale della violenza del terrorismo internazionale, nuova forma di guerra non dichiarata. Se il mondo ricco non si preoccuperà dello sviluppo dei paesi poveri, se non cambierà il suo stile di vita, la rabbia dei popoli diventerà sempre più scontro e conflitto violento.

In un mondo che ha globalizzato tutto, anche la povertà e la violenza, la soluzione dei problemi sta nella globalizzazione della solidarietà, come spesso ha detto Giovanni Paolo II. Lo ha ripetuto anche Benedetto XVI in Deus caritas est (n. 1). La solidarietà (SRS 38) è un pilastro dell’attuale dottrina sociale della Chiesa, già presente nel concilio (GS 85-86) e nella enciclica Populorum progressio (PP 48) e che non dovrà essere mai dimenticato. Finché questo non viene messo in pratica, anche un progetto come quello del Millennium lanciato dalle Nazioni Unite nel 2000 rimarrà, come di fatto si vede, senza effetto.