LA SCOMPARSA DELL’ABBÉ PIERRE

UN GIGANTE DELLA MISERICORDIA

 

È stato un uomo che, lottando per tutta la vita contro ogni forma di esclusione, ha trasmesso l’immagine dell’amore ai poveri di cui i santi del passato sono stati i grandi testimoni: un esempio vivente dell’amore al prossimo, un’icona della solidarietà.

 

«Vivo nell’impazienza della morte» ripeteva spesso l’abbé Pierre. E la morte è venuta a prenderlo alle 5,25 del 22 gennaio, all’ospedale parigino di Val-de-Grâce, dove era ricoverato da alcuni giorni, in seguito a un’infezione polmonare. Aveva 94 anni.

Di salute fragile, fin da giovane, si era familiarizzato con l’attesa di questo decisivo appuntamento. Tra il 1954 e il 1958 trascorse complessivamente ventidue mesi di ospedale e fu sottoposto a ben sei interventi chirurgici. Molto più tardi e avanti negli anni sarà colpito anche dal morbo di Parkinson, che fortunatamente i medici riusciranno a fermare, e nel 1991 sarà vittima anche di un attacco di cuore.

Sulla morte aveva scritto anche un libro: C’est quoi la mort?. E diceva: «Parlare della morte, vuol dire anche parlare della vita. Basta aprire bene gli occhi per vedere la vita da tutte le parti… Quando si osserva a lungo il cielo, è un modo di vedere la vita, di sentirla. Ma è vero anche quando si osserva un bambino che viene al mondo. La vita mi ha insegnato che vivere è un po’ di tempo dato alle nostre libertà per imparare ad amare e a prepararsi all’eterno incontro con l’Eterno Amore. Questa certezza vorrei poterla offrire in eredità. Essa è la chiave della mia vita e delle mie azioni…».

 

AFFASCINATO

DA SAN FRANCESCO

 

Henri Grouès, questo il suo nome di famiglia, era nato il 5 agosto 1912 a Lione, quinto di una famiglia benestante di otto figli. Nel 1931, all’età di 16 anni, durante un pellegrinaggio ad Assisi scopre san Francesco e rimane colpito dalla frase: «L’Amore non è amato». A 19 anni decide di entrare nell’ordine dei cappuccini, sedotto dal loro stile di vita molto povero, dopo aver distribuito, con regolare atto notarile, la sua parte di eredità a diverse opere di carità. Per sette anni segue l’austera regola dei cappuccini nel noviziato di Lione e completa gli studi di filosofia e di teologia. Il 14 agosto del 1938 è ordinato sacerdote. L’anno successivo, lascia l’ordine dei cappuccini per motivi di salute e viene incardinato nella diocesi di Grenoble, dove diventa vicario della cattedrale.

Scoppia nel frattempo la seconda guerra mondiale e la Francia, come altri stati europei, è invasa dalle truppe tedesche. In pieno conflitto, tra il 1942 e il 1944, egli si dà alla clandestinità e partecipa alla resistenza contro gli occupanti tedeschi ed è in questo periodo che assume il nome di abbé Pierre. Nel 1943 viene arrestato dai tedeschi a Cambo-les Pyrénées, ma riesce a evadere e a rifugiarsi, attraverso la Spagna, in Algeria, a quel tempo colonia francese. Ad Algeri incontra il generale de Gaulle.

Dopo le vicende della seconda guerra mondiale, tra il 1945 e il 1951, entra a far parte del parlamento, come deputato del MRP, e si distingue subito per le sue battaglie a favore della dignità dell’uomo. Nel 1949 depone un progetto di legge tendente a far riconoscere l’obiezione di coscienza. Intraprende inoltre la costruzione, spesso illegale, di alloggi per le famiglie senza tetto.

Ed è in questa epoca che avviene qualcosa di straordinario destinato a determinare tutto il seguito della sua vita: è l’incontro del tutto occasionale con Georges, un uomo disperato che, dopo aver scontato una ventina d’anni di lavori forzati nella Guyana francese per aver ucciso suo padre; tornato a Parigi, rifiutato dai suoi e abbandonato da tutti, aveva tentato di suicidarsi. Chiamato al suo capezzale, l’abbé Pierre gli dice: «Georges, tu sei libero, se vuoi ucciderti, nulla te lo impedisce… Ma prima perché non vieni ad aiutarmi a portare a termine le 20 case per dei senzatetto che sto costruendo illegalmente. Da solo non ce la faccio». Per Georges fu quello come un colpo di fulmine e anche la sua salvezza. L’abbé lo accoglie in casa sua e nasce così la prima comunità Emmaus, destinata a diventare un ostello della gioventù internazionale. Di qui ha inizio la lotta che l’abbé Pierre condurrà appassionatamente per tutta la vita contro l’esclusione.

A questa prima comunità di chif­fonniers batisseurs (straccivendoli costruttori) ne seguiranno ben presto altre, all’insegna del motto: «Dammi il tuo aiuto, per aiutare gli altri». «Emmaus, afferma l’abbé Pierre, è diventato un recupero di uomini attraverso il recupero delle cose». Attualmente di queste comunità se ne contano 161 in Francia e 421 sono i gruppi distribuiti in quattro continenti: Europea, America, Africa e Asia.

 

“L’INSURREZIONE

DELLA BONTÀ”

 

Determinante nella vita dell’abbé Pierre è il 1954. L’inverno di quell’anno fu particolarmente rigido. Il termometro tocca fino a 15 sotto zero. Il 1 febbraio una donna muore di freddo sui marciapiedi, nel centro di Parigi. Teneva in mano la lettera di sfratto dal suo alloggio. Scatta in lui quella “collera dell’amore” che l’accompagnerà tutta la vita. Sulle onde della RTL lancia il celebre “Appello” definito l’ Insurrezione della bontà. L’Appello si apre con un’invocazione che è come un grido destinato a scuotere le coscienze: Mes amis, au secours, amici miei, aiuto! E prosegue: «Una donna è morta di freddo, questa notte alle tre sul marciapiede del Boulevard Sébastopol, tenendo in mano una lettera con cui l’altro ieri era stata sfrattata… Questa notte, sono più di 2000 coloro che vivono raggomitolati per il gelo, senza tetto, senza pane, e più d’uno quasi nudo…».

Durante questo terribile inverno l’abbé Pierre chiede al parlamento un miliardo di franchi, che inizialmente gli vengono rifiutati. Ma tre settimane dopo lo stesso parlamento approva lo stanziamento non di un miliardo ma di dieci di credito per realizzare immediatamente 12 mila alloggi d’urgenza in tutta la Francia per i più indigenti.

Il nome dell’abbé Pierre, fino ad allora quasi sconosciuto, attraversa ben presto le frontiere. È chiamato un po’ dovunque, ma lo stress da superlavoro finisce col fiaccarlo. La salute ne risente e deve anche farsi operare in più riprese.

Una volta convalescente, inizia un giro di conferenze che lo portano ad avere contatti con una grande quantità di persone, diverse delle quali importanti. Da questo momento, se i media non vanno da lui è lui che va da loro.

Nel 1969 ha luogo a Berna, in Svizzera, la prima assemblea generale internazionale di Emmaus in cui viene adottato il Manifesto universale del Movimento Emmaus.

Gli anni che seguono sono tutti un fiorire di iniziative tra cui il lancio della Banca alimentare di Francia, il Secours Catholique e l’Esercito della salvezza, la creazione della Fondazione Abbé Pierre per l’alloggio ai diseredati, ecc.

Nel 1989, anno bicentenario della rivoluzione francese, propone di cambiare le parole della Marsigliese, inno nazionale francese, perché vi si parli solo di guerra contro le cinque miserie dei senza pane, senza tetto, senza lavoro, senza scuola e senza cure.

Negli anni ’90 milita a favore dei diritti degli immigrati, per la regolarizzazione dei cosiddetti sans-papiers e dei senza alloggio. Nella Pentecoste del 2001 lo troviamo che digiuna nella chiesa di Saint-Joseph di Parigi, a fianco di coloro a cui è negato il diritto d’asilo. Nell’estate successiva, sempre nella capitale, sostiene alcune famiglie di abusivi del Quai de la Gare.

 

CONTEMPLATIVO

E SCRITTORE

 

Molte le onorificenze che gli vengono conferite. Ma non gli sono risparmiate nemmeno le spine. Nel 1995 Roger Garaudy, ex deputato al parlamento com’era stato lui, e suo amico, pubblica il libro Les Mythes fondateurs de la politique israélienne. L’abbé Pierre, senza averlo letto, incautamente, gli offre il suo sostegno. Nei media scoppia una specie di scandalo e viene accusato di antisemitismo e di revisionismo. Nel luglio successivo, da un’abbazia benedettina italiana dove stava riposandosi, ritira quanto aveva detto e chiede perdono a quanti avesse potuto offendere. In una lettera indirizzata «agli sconosciuti che mi hanno scritto durante questo ciclone», ricorda gli odi che si sono abbattuti contro di lui: «Dopo aver fatto di me quasi un idolo, scrive, all’improvviso vengo linciato come un tizzone d’inferno». Ma la maggioranza della gente continua a confermargli la propria stima e fiducia.

L’abbé Pierre non è stato soltanto un uomo di azione, ma anche un contemplativo. Basti pensare che da 1985 al 1993 egli è vissuto nell’abbazia benedettina Saint-Vandrille de Fontanelle per rivivere il fervore dei primi anni della sua vita religiosa quand’era con i cappuccini. «Mi sono ritirato nel monastero di Saint-Wandrille – disse – per condividere per otto anni la vita di silenzio e di adorazione dei monaci», anche se come egli stesso ha spiegato di tanto in tanto doveva uscire per rispondere ad alcuni appelli pressanti. In seguito scelse di vivere a Esteville, in una comunità di Emmaus.

Nonostante la sua intensa attività, l’abbé Pierre trovò anche il tempo di scrivere personalmente o con la collaborazione di altri, una quindicina di libri, tra cui Regarder en face: la beauté face a la misère; C’est quoi la mort?; Mémoires d’un croyant; Testament; Confessions Mon Dieu… Pourquoi? Ma numerosi sono anche i libri scritti su di lui e la sua esperienza.

In Mon Dieu… Pourquoi?, del 2006, confessa con molta umiltà alcune sue debolezze morali passeggere e affronta alcuni problemi delicati come la sessualità dei preti, l’ordinazione delle donne, il matrimonio tra omosessuali, il papato nella Chiesa, l’Eucaristia, l’ecumenismo, ecc., suscitando numerose perplessità e dando occasione a un insieme di commenti non sempre favorevoli. Anche in questo, tuttavia, egli si manifesta un uomo libero fino in fondo, un uomo – comunque si giudichino queste sue prese di posizione – che ha creduto fino in fondo all’amore di Dio e non è mai venuto meno ai suoi ideali, una persona che non ha mai cessato di amare appassionatamente gli ultimi.

 

LA “COLLERA

DELL’AMORE”

 

Un “gigante della misericordia” l’ha definito il card. Godfried Dannels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, dopo aver saputo della sua scomparsa. «Una figura insostituibile», ha detto il card. Lustiger, arcivescovo emerito di Parigi. Un uomo che, lottando per tutta la vita contro ogni forma di esclusione, ha trasmesso l’immagine dell’amore ai poveri di cui i santi del passato sono stati i testimoni e i rappresentanti. Ciascuno vedeva in lui come un riproporsi di questa evidenza, di questa esigenza dell’amore del prossimo vissuto per amore del Vangelo e per amore di Cristo».

«Per oltre 40 anni, ha dichiarato ancora il cardinale, sono stato a suo fianco, soprattutto nei momenti di grande prova, assicurandogli la mia amicizia. È nel libro Mémoires d’un croyant che egli ci svela il fondo del suo pensiero sacerdotale, un pensiero che non ha mai cessato di agonizzare con Dio per salvare l’uomo. Se l’abbé Pierre ha avuto un fremito di collera, si è trattato della collera dell’amore di Dio. Questo uomo dei media e delle grida era anzitutto l’uomo della preghiera solitaria e silenziosa. Raramente ho visto qualcuno irradiare come lui “la gioia della difficile e sicura speranza” (per usare le sue parole). Era un uomo molto concreto. Il suo libro Mémoires d’un croyant è splendido e lascia scoprire un vero mistico. I suoi compagni di Emmaus lo possono testimoniare meglio di me».

Da parte sua, il cardinale Roger Etchegaray lo ha definito «un pioniere della carità, un esempio vivente dell’amore verso il prossimo, una icona della solidarietà. L’abbé Pierre era una grande figura che ha manifestato con la propria azione quotidiana la forza del Vangelo, stringendo un legame particolare con i poveri. La sua scomparsa lascia un grande vuoto e non solo in Francia. Egli era molto amato. La gente lo apprezzava e si riconosceva in lui e anche se non era perfetto, si può considerare un vero discepolo del Vangelo. Una persona che ha messo in pratica la carità e l’amore».

Di testimonianze come queste se ne possono raccogliere a centinaia. Anche il papa, attraverso il card. Tarcisio Bertone, segretario di Stato, appresa la notizia della scomparsa, ha voluto rendergli omaggio. In un telegramma al card. Jean-Pierre Ricard, arc. di Bordeaux e presidente della conferenza episcopale francese ha ricordato «la sua attività a favore dei più poveri, con cui egli ha dato una testimonianza della carità che viene da Cristo».

L’abbé Pierre aveva detto: «Sulla mia tomba al posto dei fiori e delle corone, portatemi le liste delle migliaia di famiglie, delle migliaia di bambini a cui avrete dato le chiavi di un vero alloggio». E sulla lapide scrivete: Il a essayé d’aimer. Qui c’è tutto l’abbé Pierre, una persona che durante l’intera sua lunga esistenza ha cercato solo di amare.

 

A. Dall’Osto