UNA DOMANDA SENZA PREGIUDIZI
CHE COSA SI È ECLISSATO?
La VR ha copiato dal
mondo a essere molto efficiente, ad avere una mentalità imprenditoriale, ma il
suo essere sta non in ciò che appare ma in ciò che traspare. Non affanniamoci
più a domandarci se serviamo a qualcosa. La VR avrà un futuro se ritroverà la
gratuità del suo essere.
Dicendo forme di vita evangelica (nuove e antiche) ci si riferisce alle
molteplici forme discepolari, riconosciute dalla Chiesa, organizzate attorno a
un carisma. Le nuove sono atipiche rispetto alle canoniche, grazie anche al
diverso soggetto approvante. Perché non si abbia l’impressione che la vita
religiosa (VR) venga omologata verso l’indifferenziato, è opportuno aggiungere
che questa ha il suo proprio nell’ essere parabola evangelica attraverso segni
«esagerati, provocatori, gratuiti, sovrabbondanti». Ciò che la dovrebbe
caratterizzare è l’intensità rappresentativa della Buona notizia a esprimere la
quale non basta aver fatto, un tempo, i voti, ma richiede il vivere, nei nuovi
contesti di vita, una istanza evangelica a tale tensione da farne voto.
Con queste riflessioni mi lascio interrogare senza pregiudizi da alcuni
tratti di debolezza dell’attuale VR nell’esprimere un valore, raffrontati con i
dati – relativi allo stesso valore – delle nuove forme, che vanno a esprimere
il sintomo di una richiesta di senso che non trova risposta in molte forme
spirituali consolidate. Mi servirò, come spunto, di varie espressioni
pontificie e di altre colte nel recente convegno ecclesiale di Verona che farà
da filigrana a tutte queste considerazioni.
SIMPATIA
CON IL PRESENTE
Il giorno di Pentecoste del 2005 il papa rivolgendosi ai membri dei
movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, disse: voi «discepoli in questo
nostro tempo convocati per proclamare la gioia del credere…». Dire discepoli di
questo nostro tempo significa sottolineare la capacità di misurarsi con i
paradigmi dell’oggi; non basta valutarsi preferibilmente e quasi esclusivamente
con riferimenti “ultimi”, la vita eterna, che corre il rischio di dispensarci
dal vivere in profondità la contemporaneità. Cogliere il senso del proprio
tempo è mai stata impresa facile perché si tratta di scoprire quella forma che
oggi lo Spirito sta realizzando per diventarne collaboratori; ma cambiare è
difficile specie se una data realtà è imbalsamata da tradizioni legate a
motivazioni del passato.
Inoltre, compito del discepolo – nel dire del papa – è di proclamare la
gioia del credere, cosa possibile se c’è un rapporto di simpatia con il
destinatario cioè il mondo; senza simpatia non viene fuori la gioia
dell’annuncio. Ciò è maggiormente possibile alla “creatura nuova” perché non ha
da porre in dubbio le certezze precedenti, mentre è un parlare arduo per quella
vita consacrata che nata dal monachesimo si è sviluppata nella prospettiva del
mondo come qualcosa da cui ci si difende con l’indicazione di Arsenio «fuggi,
taci, vivi ritirato». Senza una profonda purificazione anche delle figurazioni
storiche «la nostra VR assomiglierà sempre più a quelle immagini coloniali
della Vergine, soffocate sotto indumenti pesanti».
FINITA L’EPOCA
DEGLI SPAZI CHIUSI
Assistiamo oggi alla fine dello spazio che delimitava l’esperienza di una data
forma di vita ecclesiale. Il carisma delle nuove forme è di essere una
esperienza particolare di Vangelo offerta a tutti i credenti e non solo ad
alcuni, perché vie di vita cristiana in sintonia con l’oggi, da viversi nella
propria Chiesa particolare, nell’ambito di una grande varietà di ministeri. È
la conseguenza del fatto che Gesù non ha creato gruppi avulsi ma gruppi
missionari. La sfida per la VC è l’accettazione di questa ricollocazione che
obbliga a non rifugiarsi e chiudersi nel proprio recinto spazio-temporale. Emanuel
Levinas, pensatore ebreo che ha indagato in modo originale la filosofia
dell’alterità – scrive Simonetta A. – sostiene il primato della relazione sulla
identità: la scoperta di sé diventa scoperta dell’altro. L’identità procede
dall’alterità che la costituisce_: è la nostra relazionalità che struttura e
solidifica l’identità stessa. L’attuale situazione di mondo interdipendente
sollecita la ridefinizione di tante figure storico-culturali di identità.
La prima apertura relazionale è tra i carismi della VC. «Non si può più
affrontare il futuro in dispersione. È il bisogno di essere Chiesa, di vivere
insieme l’esperienza dello Spirito e della sequela di Cristo, di comunicare le
esperienze del Vangelo, imparando ad amare la comunità e la famiglia religiosa
dell’altro/a come la propria» (Ripartire da Cristo 30).
«La comunione degli istituti di VC – scrive A. Montan_ – deve conoscere
nuove frontiere: quelle dell’ecclesiologia integrale, dove le diverse vocazioni
sono colte all’interno dell’unico popolo di convocati, la vocazione alla VC può
ritrovare la sua specifica entità di segno e di testimonianza». Il futuro è di
chi sa ripensarsi insieme a tutto il popolo di Dio, di chi sa mettere in
pratica e conciliare la generosità del dare – riferito al dono del carisma –
con la generosità del ricevere. A tal fine non è più sufficiente una
spiritualità “da religiosi” ma una spiritualità fornita di prospettiva laicale,
irrinunciabile nell’attuale sensibilità ecclesiale; spiritualità capace di
generare stili di vita e non soltanto devozioni; spiritualità in cui la
relazione con Dio, da esperienza prevalentemente individuale sia esperienza che
passa attraverso il rapporto con le persone.
Per la VR mettere al primo posto la relazionalità significa anche
«attenzione al locale»: il religioso/a non può essere un vagabondo, senza
radici, uno spiazzato. Si è mitizzata l’itineranza funzionale al sistema
istituzionale che a un punto della vita fa sentire le persone spaesate, in
contesti che fanno sperimentare la solitudine a motivo dei tanti sentieri
interrotti. Già da oggi ciò che “sala” e “fermenta” è l’esperienza di vita
evangelica fraterna, connotata dal carisma, espressa nella Chiesa in cui si
vive. Tutto ciò induce alla riflessione coloro – persone o istituti - che
pongono la validità del loro carisma nel numero dei membri e nella quantità e
molteplicità delle opere piuttosto che nella espressività, di una minoranza
significativa che si esprime nella chiesa locale.
CHIAMATI A UNA
CRISTOLOGIA NARRATIVA
È l’invito espresso nella traccia di riflessione in preparazione al
convegno di Verona. Ciò significa che il senso del nostro essere è nel narrare
con la vita il Gesù delle azioni guarenti, simboliche e trasformatrici.
In questi ultimi decenni la VR si è attardata in discorsi estetici sui suoi
ideali, in affermazioni teologiche, quasi che il compito della Chiesa fosse
comunicare delle idee piuttosto che una persona vivente, apportatrice di
speranza. La fortuna delle nuove forme, invece, non è data da argomentazioni
teologiche ma da concrete esperienze di Dio che le hanno portate a essere – nel
dire di Giovanni Paolo II – «manifestazione di energia e di vitalità
ecclesiale». In un altro articolo riportai il dire di un vescovo che alla
domanda se conoscesse quanto detto nell’esortazione Vita consecrata dove si
afferma che «ai vescovi è chiesto di accogliere e stimare i carismi della VC
dando loro spazio nei progetti della pastorale diocesana» (VC 48), rispose che,
a sua conoscenza, nelle chiese locali c’è interesse per le forme di vita
evangelica di cui la vita religiosa è una delle espressioni, però oggi
l’attenzione non è sulle etichette e sulle omologazioni ma sulle evidenze
evangeliche che tali si definiscono dalla vita in atto più che da
riconoscimenti giuridici o storici.
Da qui una domanda: che cosa si è eclissato, come elemento vivo, nella VR? Mai
come oggi molti istituti si sono trovati immersi in un gran da fare e un fare
di tutto diluendo la forza del proprio carisma che è innanzitutto esperienza di
Dio. La VR ha copiato dal mondo a essere molto efficiente, ad avere una
mentalità imprenditoriale, «ma il suo essere è nel non senso, nella
trasparenza: non in ciò che appare ma in ciò che traspare. Non affanniamoci più
a domandarci se serviamo a qualcosa. La VR avrà un futuro se ritroverà la
gratuità del suo essere. È la parabola dell’unzione di Betania. Per affrontare
il futuro, deve ritrovare il suo “senso” più profondo nel suo “nonsenso”…
perché il suo senso è altrove» (F. Ciardi); e qui siamo fragili perché abbiamo
investito sull’utilitaristico. Probabilmente
indicava questa strada il documento Vita consecrata (84) nell’invitare a
«esplorare vie nuove per attuare il Vangelo nella storia». Allora la scelta
necessaria – e oggi proponibile – è di passare dalla prevalente pastorale dei
servizi (sociali o religiosi) alla pastorale della spiritualità non fosse altro
per il fatto che molte opere non sono più governabili, non solo per la
complessità gestionale ma perché autonome rispetto a logiche di istituto.
“MOVIMENTAZIONE”
O
ISTITUZIONALIZZAZIONE?
Capisco bene che non sono due termini necessariamente da contrapporsi, però
il problema così posto ci aiuta a evidenziare alcune possibili derive o su
quale versante oggi investire. «Molti
teologi – scrive J.Maria Vigil, cmf – affermano che la VR si trovi in una
situazione di cattività istituzionale, mentre è per sua natura chiaramente e
perennemente carismatica e profetica»_, perché lo Spirito oggi non meno di ieri
continua soffiare le sue continue primavere: «le vostre numerose realtà
ecclesiali mostrano quanto viva sia l’azione dello spirito santo nel popolo di
Dio».
È il
momento, difficile, in cui la VR si trova a essere destinataria di cambiamento
molto più che promotrice. In effetti si assiste oggi, alla fine di un mondo
come pure alla fine di certo cristianesimo – scrive Andrè Fossion – per cui la
fede cristiana si trova in uno stato generalizzato di cominciamento e
ricominciamento. Chi dice ricominciamento dice contemporaneamente processo di
morte e di rinascita. È tempo di una ineluttabile purificazione come tramonto
di ciò che non serve più, ma anzi ostacola la crescita, cercando di cogliere il
messaggio indirettamente rivolto agli antichi carismi, espresso nel discorso di
Benedetto XVI al recente convegno di cui si sta parlando: « Giovanni Paolo II,
grande evangelizzatore della nostra epoca, più volte ha definito provvidenziali
le vostre associazioni e comunità soprattutto perché lo Spirito santificatore
si serve di esse per risvegliare la fede nei cuori di tanti cristiani
aiutandoli a essere testimoni di speranza». Espressioni queste che collocano
nella qualità evangelica della vita dei membri l’efficacia missionaria. Si può
dire altrettanto per gli istituti in cui l’apostolato si esprime
prevalentemente attraverso le opere? La risposta è nel dire del camaldolese F.
Mosconi al convegno: «nell’istituzione i confratelli sono apprezzati per la
loro efficienza e capacità di lavoro, parte di una macchina. Importa il
prestigio dell’istituzione che non può esimersi dalle richieste della cultura
dell’immagine cioè la potenza, il successo, la forma dei numeri e dei mezzi».
Tutte cose che non raccontano Cristo.
ATTENTI
ALLE
LEGITTIME ASPIRAZIONI
Il convegno ecclesiale oltre a invitare a esprimere l’originalità di
ispirazione di ogni vocazione nei nuovi orizzonti ecclesiologici, aggiunge
l’attenzione antropologica e lo fa soffermandosi in particolare sulla
dimensione affettiva. Un dire rivolto a tutti, da realizzarsi in forme
espressive diverse a seconda delle differenti vocazioni. Il discorso si è
sviluppato a partire dal fatto che la vita umana si mostra nella sua struttura
più sensibile con l’ambito degli affetti: «Ciascuno trova qui la dimensione più
elementare e permanente della sua personalità e la sua dimora interiore». Nell’evento
affettivo, è stato detto, «l’uomo fa l’esperienza primaria della relazione
buona (o cattiva), vive l’aspettativa di un mondo accogliente ed esprime con la
maggiore spontaneità il suo desiderio di felicità» (n.15), pur nella consapevolezza,
come afferma il documento preparatorio dei vescovi, che «il mondo degli affetti
subisce oggi un potente condizionamento in direzione di un superficiale
emozionalismo che ha spesso effetti disastrosi sulla verità delle relazioni». Desiderio
di felicità significa desiderio di vita: «Cari amici – disse Benedetto XVI il
giorno di Pentecoste alle nuove comunità e movimenti – i vostri cammini sono
nati proprio dalla sete della vera vita; sono movimenti per la vita sotto ogni
aspetto». È questo un modo diverso per dire cammino di santità. Nel convegno di
Verona il monaco F. Mosconi nel commentare la 1 Lettera di Pietro disse:
«Santità significa costruire la propria maturità umana come Dio la sogna,
guardando il Figlio». A commento di queste espressioni, mons. Ravasi scrisse:
«Santità, un termine ormai relegato tra gli incensi e spogliato della sua
carica originaria fatta di trascendenza e di esistenza intrecciate tra loro. Nella
santità la creatura con il suo limite e la sua colpa non si dissolve in una
sorta di aura sacrale ma si libera e si ricrea»._
Le brevi annotazioni di questa riflessione hanno lo scopo di far capire che
ci troviamo nel momento in cui non è possibile perdersi in dettagli – pericolo
frequente in vari consessi della VR – ma è tempo di porre una nuova pietra
miliare nella storia della vita religiosa.
1 VC 104-105.
2 Simonetta A., Incontro 1 (2006).
3 Cf. Consacrazione e Servizio 4 (2006).
4 Vita Consacrata 6 (2006) 565.
5 Benedetto XVI al Convegno di Verona.
6 Ravasi R., “Al Convegno parole roventi”, in Circolare 10, dell’Istituto
Secolare Oblate di Cristo Re.