V CONVEGNO CISM SULL’ANNUNCIO AI GIOVANI
SULLA STRADA DI EMMAUS
Il convegno si è
interrogato in particolare su linguaggi e modalità di tale evangelizzazione. Proposto
come icona di riferimento, per nuovi progetti e metodi, l’episodio lucano dello
“Sconosciuto” che si fa compagno di viaggio dei due discepoli perduti sulla
strada verso Emmaus.
Con felice e coerente intuizione l’area evangelizzazione della
ALCUNI SNODI
PEDAGOGICI
Con puntualità la sintesi finale di don C. Bissoli sdb ha dato ragione dell’articolato
percorso di quattro giorni di riflessione «sugli ambiti di vita reale dei
giovani, segnatamente sul loro mondo comunicativo e affettivo, per giungere a
una triplice sintesi: come comunicare loro il messaggio del Vangelo in sintonia
alla loro ricettività, come impostare e proporre non soltanto delle
informazioni sulla fede ma uno stile di vita spirituale, come aprire per noi e
per loro stessi un impegno missionario in aree significative di vita».
L’icona ispirante dell’incontro sulla strada di Emmaus tra Gesù, lo
“Sconosciuto”, e i due discepoli perduti e ritrovati (Lc 24, 13-35) ha scandito
gli obiettivi del convegno, secondo i verbi sottesi al cammino: incontrare,
comunicare, condividere, testimoniare. «Il rapporto “Emmaus e giovani”, ha detto
Bissoli, si propone come un permanente invito a una pedagogia della ricerca,
della compagnia, dell’annuncio, della convivialità, della gioia e della
speranza».
In questo quadro pedagogico fondato sul paradigma evangelico, si è puntato
innanzitutto sul problema di come mettere le risorse di consacrazione
nell’evangelizzazione giovanile: la presentazione delle esperienze era da
leggere proprio come un mezzo di riflessione, per coniugare sempre meglio cosa
significhi stare tra i giovani e con i giovani come persone consacrate, e per
rendere manifesta la radice più importante della fecondità vocazionale. Un
ulteriore snodo è stato quello della comunicazione: formarsi per diventare
competenti nei nuovi linguaggi dell’affettività e della spiritualità. Infine, occorre
non perdere mai di vista la giusta visione prospettica dello stare in strada
con i giovani: l’obiettivo infatti è che essi passino da destinatari del
Vangelo a soggetti protagonisti dell’annuncio. Su questa linea esattamente
vanno le indicazioni di Benedetto XVI: «Costruire la vita su Cristo,
accogliendone con gioia la parola e mettendone in pratica gli insegnamenti:
ecco giovani del terzo millennio, quale deve essere il vostro programma! È
urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella parola di
Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere
dappertutto il Vangelo…
E se Gesù vi chiama, non abbiate paura di rispondergli con generosità,
specialmente quando vi propone di seguirlo nella vita consacrata o nella vita
sacerdotale. Non abbiate paura; fidatevi di lui e non resterete delusi».
Padre F. Taccone passionista, animando il momento di scambio sulle
esperienze di incontro tra e con i giovani di cui è anch’egli organizzatore, ha
collegato il tutto con la ricerca Cop/Iard sulla religiosità giovanile
presentata lo scorso anno da mons. Sigalini, richiamando il fatto che
nell’evangelizzazione dei giovani la soggettività prevale sull’appartenenza, la
relazione interpersonale su quella istituzionale. Occuparsi dei giovani è
investire il tempo, accettare di ripensare il cristianesimo in chiave
relazionale, mentre essi sono immersi in internet. La domanda di Vangelo (lo
conferma il successo commerciale di operazioni mediatiche quali The Passion o
Il Codice Da Vinci) oggi c’è ma non legata a luoghi o sacramenti. Attenzione a
non considerare il giovane come un vuoto da riempire: egli ha bisogno di
sentirsi ascoltato da un cuore ospitale. Le nuove esperienze di primo annuncio
dicono poi che le nostre comunità vanno liberate da stereotipi e logiche di
controllo, per aprirle alla comunicazione tra adulti e giovani (con la
coscienza del dato di fatto: già in partenza i primi si sentono sconfitti e i
secondi si percepiscono imprendibili).
IL METODO
DELLO “SCONOSCIUTO”
Alla base di un progetto di evangelizzazione sta la comprensione della fede
come circolarità di incontro e racconto personalizzato. L’annuncio della fede
avviene tramite il racconto di incontri: quelli raccolti nella Scrittura come
paradigma, quelli post-evangelici (donne e uomini di Dio) come conferma
storica, quelli personali come testimonianza confessante. Gli incontri si fanno
dove la gente sta, in particolare dove oggi i giovani stanno: non nelle
parrocchie o nei nostri centri! Il metodo dello “Sconosciuto” con i due di
Emmaus si è rivelato molto illuminante a questo riguardo.
I giovani, siano essi destinatari dell’annuncio o evangelizzatori, sono per
strada, nelle stazioni, nelle piazze, nei locali, nelle sale giochi ecc.
(esperienza della
Li troviamo ancora in caserma (don Lionello Torosani, cappellano militare
al Celio in Roma), in mezzo al popolo dei poveri (cf. volontariato Caritas e
Sant’Egidio), nel mondo dello sport (vedi testimonianza dal Centro sportivo
italiano, CSI), nella missione ad gentes (testimonianza del comboniano p.
Roberto Minora). Sono le “feritoie della speranza” in cui si è confermato come
i giovani siano già dotati di risorse per essere loro stessi di aiuto ai
coetanei nella testimonianza evangelica.
L’effetto Emmaus ha fatto guardare a tutte queste esperienze con l’orecchio
di chi impara a comunicare con “nuovi registri”. «Il p. Walter Lobina2 ssp, ha
detto don Bissoli ai consacrati presenti, ci ha condotti in un contesto
culturale e di vita che forse ha spiazzato più di qualcuno di noi, ma ci
obbliga a riaprire gli occhi per vedere chi sono veramente questi giovani e lo
“Sconosciuto” con loro. Richiamo alcuni riferimenti centrali della differenza e
della crisi: la dissociazione tra segno e significato (vedi la croce nella moda
o una certa pratica dell’Eucaristia), la scarsa per non dire pessima
credibilità del mondo degli adulti, la forte immersione (quasi prigionia) del
giovane nella rete, in una visione policentrica della realtà, con il
superamento della dualità di oggettivo e soggettivo, l’annullamento delle
distanze e del tempo (il “per sempre” si muta in “per adesso felice della mia
esistenza che possa essere per sempre”).
Nel dialogo successivo, di fronte alle tante domande incalzanti, il
relatore ha richiamato il valore di prima pietra che spetta alla famiglia (ma
dove è?), il valore della testimonianza visibile di noi persone consacrate,
l’imparare a essere “pubblicità di Dio nel mondo” a condizione di averlo visto
noi per primi». Facciamo dunque entrare nella rete la nostra testimonianza di
aver incontrato Cristo, perché è l’unico modo perché nella rete lo
“Sconosciuto” tessa la sua relazione.
NUOVA SPIRITUALITÀ
E NUOVA APOLOGETICA
Don G. Roggia sdb, con un ragionamento un po’ complesso, ha offerto tre
passaggi di un percorso di spiritualità: a) tener conto di una socializzazione
religiosa flessibile e poco affidabile tra i giovani; b) riconoscere che la
lampada di Dio non è ancora spenta: anche se abbiamo occhi indeboliti è
indispensabile dare la parola allo “Sconosciuto”; c) proporre un cammino dove
la fede è rischio, la Chiesa è fuori dalla burocrazia e si fa sofferente coi
sofferenti, percorre le vie della bellezza (che garantisce la gratuità
dell’esperienza di Dio contro un’idea di consumo facile), della compagnia («la
vita consacrata ha come sua matrice di base accompagnare il popolo di Dio nel
cammino della fede, non bloccandosi sulla specificità carismatica»!), della
semina (la strada è quella del cuore).
Proprio il cuore si è messo in moto sulla strada verso Emmaus, insieme all’intelligenza,
e su questo Olimpia Tarzia ha messo in rilievo il contesto difficile e ambiguo
di una nuova necessaria educazione all’affettività (dentro il relativismo
etico, la banalizzazione delle scelte, la manipolazione del linguaggio fino a
inventare una vera e propria antilingua in campo sessuale e bioetico),
chiedendo alla VC una competenza “materna” aggiornata sull’educazione alla vita
come base dell’educazione all’amore, sul formare al binomio
libertà-responsabilità, sulla formazione della famiglia e alla vocazione. Anche
p. G. Salonia ofmcap ha sottolineato la scissura tra fede e cuore, tra annuncio
e linguaggio nella postmodernità, indicando il fatto che oggi il giovane ha
bisogno della relazione per elaborare il senso della sua vita (non gli basta
più l’appartenenza). Si tratta di elaborare una nuova apologetica, sapendo che
oggi le persone vogliono prima le relazioni e poi i contenuti. Gesù ha superato
la scissura del paradiso terrestre tra fede e felicità, riaprendo la strada di
accesso all’albero della Vita. Il suo è l’annuncio delle beatitudini, che
riscalda il cuore per rispondere ai due bisogni essenziali di ogni persona:
quello di integrità (mi sento al posto giusto) e quello di pienezza (mi sento
realizzato).
In questo modo il convegno ha confermato la visione pluralista del mondo
giovanile in un contesto di novità antropologiche (linguaggio, affetti, scelte,
valori). Il segno dei tempi per religiose/i è quello di essere non tanto “abiti
che camminano” quanto persone genuine che sanno aprire e mantenere relazioni
amicali ma significative coi giovani. Rivisitare i nostri stili di vita,
formare alla spiritualità e alla missionarietà, entrare nei nuovi linguaggi
interpersonali e affettivi, valorizzare l’esperienza (volontariato) come quel
“fare la verità” che fa nascere di nuovo: queste sono le modalità per
comunicare amore ai giovani. Come diceva infatti don Bosco «non basta amarli,
ma fare in modo che si accorgano di essere amati». La VC può dare molto in
questo senso, se, come ha detto durante la celebrazione eucaristica mons.
Mario Chiaro
1 Cf.
2 Walter Lobina ha offerto una apprezzata relazione su Linguaggi della
comunicazione e il mondo giovanile.