ULTIMI SVILUPPI
LA CHIESA GUARDA ALLA CINA
C’è l’esplicita
volontà di proseguire il dialogo con il governo cinese per arrivare alla
normalizzazione dei rapporti diplomatici, interrotti dagli anni ’50, per poter
ricostruire una gerarchia cattolica nel paese. In attesa, Roma manda due
messaggi precisi, per chi voglia intendere, a Pechino.
Due giorni di riunione a porte chiuse sulla situazione della chiesa in
Cina, il 19 e il 20 gennaio, si sono conclusi con un comunicato stampa che è un
segnale inviato al governo di Pechino. Si dice chiaramente che è fallita la
politica di controllo della Chiesa cattolica che il governo ha cercato di
perseguire attraverso la longa manus
della cosiddetta “Associazione patriottica” fondata il 2 agosto 1957. Alla
riunione a porte chiuse, guidata dal cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone, ha partecipato il cardinale Zen di Hong Kong e poi
alcuni vescovi da Taiwan e Macao, oltre a diversi cardinali e arcivescovi di
curia.
Il comunicato conclusivo ribadisce la volontà di proseguire il dialogo con
il governo cinese per arrivare alla normalizzazione dei rapporti diplomatici,
interrotti dagli anni ’50, e poter ricostruire una gerarchia cattolica in Cina.
In attesa, Roma manda due messaggi precisi per chi voglia intendere a Pechino. Primo:
«Si è preso atto, con profonda riconoscenza – dice il comunicato – della
luminosa testimonianza, offerta da vescovi, sacerdoti e fedeli, i quali, senza
cedere a compromessi, hanno mantenuto la propria fedeltà alla sede di Pietro, a
volte anche a prezzo di gravi sofferenze. Con particolare gioia si è, altresì,
constatato che oggi la quasi totalità dei vescovi e dei sacerdoti è in
comunione con il sommo pontefice». Secondo: «Sorprendente, inoltre, è stata la
crescita numerica della comunità ecclesiale che, anche in Cina, è chiamata a
essere testimone di Cristo, a guardare in avanti con speranza e a misurarsi,
nell’annuncio del Vangelo, con le nuove sfide che la società sta affrontando».
In pratica Roma pungola Pechino dicendo che la politica di controllo della
Chiesa è fallita. Vescovi, sacerdoti e fedeli seguono la Santa Sede e non
l’Associazione patriottica; inoltre la crescita numerica dei fedeli è la
riprova che quando si limita la fede, questa aumenta. Il comunicato termina con
l’annuncio che Benedetto XVI sta per scrivere ai cattolici in Cina; lo stesso
fece Giovanni Paolo II nel 1999 alla vigilia del Giubileo per rassicurare i
fedeli delle sue preghiere per loro.
Per il governo cinese si pone ora il problema se negoziare direttamente con
la Santa Sede o usare ancora l’associazione patriottica. Una strada, la
seconda, difficilmente praticabile dopo le accuse al presidente di questa di
sequestrare i vescovi per costringerli a ordinazioni di sacerdoti e vescovi non
approvate dalla Santa Sede.
PREVISTA
UNA LETTERA DEL PAPA
Il card. Paul Shan, vescovo emerito di Kaohsiung
(Taiwan), presente all’incontro, ha definito “sincera e franca” l’atmosfera dei
colloqui. «Il comunicato pubblicato – spiega il porporato – rispecchia molto
bene i sentimenti dei partecipanti all’incontro». Il cardinale di Taiwan
sottolinea che «la lettera del papa sarà molto importante» e che «tratterà i
punti salienti della questione Cina». Il card. Joseph Zen di Hong Kong è pienamente soddisfatto del lavoro
svolto nei due giorni, che egli giudica “molto, molto positivi”. «L’organizzazione,
la conduzione, la documentazione – ha detto dopo la riunione all’agenzia AsiaNews – sono stati perfetti. Si vede che vi è stato
molto impegno e ____si avevano a cuore i frutti dell’incontro. È stato un
momento molto importante per tutto il Vaticano, tant’è
che hanno partecipato tutti i membri della Segreteria di Stato e tutta la
Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, insieme a esperti dei
dicasteri di diritto canonico, della Dottrina della fede e altri. Ognuno si è
espresso con vera libertà, franchezza e cordialità, senza alcun segno di
impazienza e in pieno ascolto. Tutti volevano comprendere in verità, chiarire i
fatti, interpretarli insieme, trovare le soluzioni. Questa riunione è un
inizio, e ha mostrato che si può collaborare tutti insieme. Il che è un buon
auspicio per l’eventuale Commissione sulla Cina. Essa è stata approvata in via
di principio, ma non si è ancora definita la sua composizione».
Da Hong Kong, padre Gianni Criveller, del Pime, esperto del Holy Spirit Study Center, mette in
luce alcuni elementi importanti del comunicato diffuso dalla sala stampa della
Santa Sede: «Mi ha colpito in modo positivo – ha riferito sempre ad Asia News –
l’esplicito riferimento alle sofferenze di numerosi vescovi, sacerdoti e fedeli
che hanno mantenuto una limpida fedeltà alla fede cattolica e alla Santa Sede. È
stato anche riconosciuto, forse per la prima volta in modo pubblico ed
esplicito da parte della Santa Sede, che la stragrande maggioranza dei vescovi
della Chiesa ufficiale sono in comunione con il Santo Padre. A mio parere
queste parole hanno un valore simbolico enorme: sono la dichiarazione del
fallimento della politica religiosa del regime cinese, che ha cercato per
decenni di creare una chiesa nazionale indipendente da Roma». «È pure molto
importante il riferimento alla costituzione divina della Chiesa: essa è
governata dai vescovi, successori degli apostoli, in comunione con Pietro, il
loro capo. La chiesa in Cina è invece ancora sottoposta al controllo di una
Associazione voluta da un partito politico, manipolata da un signore, Liu Bainian, che continua a fare
un’incredibile quantità di male ai cattolici. È a lui, infatti, che si deve
imputare la maggiore responsabilità delle consacrazioni illegittime del 2000 e
del 2006, che hanno creato profonde divisioni e contrasti tra le comunità
cattoliche».
I PROBLEMI OGGI
PIÙ URGENTI
Attualmente i problemi più urgenti sono: l’evangelizzazione (soprattutto
dei giovani); la sfida della secolarizzazione; la scelta dei nuovi vescovi
(spesso molto giovani); la formazione (di vescovi, preti, religiose e fedeli
laici); l’unità; la liberta dal controllo dell’Associazione patriottica e del
suo segretario Liu Bainian.
Infatti il più grande ostacolo ai rapporti diplomatici fra Vaticano e Cina è
l’onnipresenza dell’Associazione patriottica. Fondata il 2 agosto 1957, con la
funzione di mediare fra gli ideali del partito e la Chiesa cattolica,
l’Associazione oramai cerca sempre di più di dominare la vita delle comunità
cinesi, all’insegna di una burocrazia soffocante. Con oltre 3 mila segretari,
vicesegretari e capo-uffici, più i diversi impiegati locali, l’Associazione
vuole dominare il piccolo gruppo di circa 5 milioni di cattolici ufficiali,
così che nessun passo della Chiesa possa sfuggire: essi decidono le nomine dei
vescovi; “consigliano” loro le nomine dei parroci; decidono gli insegnanti dei
seminari; valutano le vocazioni maschili e femminili per l’entrata in seminario
o nei conventi; sovrintendono alla gestione amministrativa delle diocesi. Il
controllo ideologico è pressoché totale. «Quando succede un fatto in una
parrocchia o una diocesi – racconta un cattolico del nord della Cina – il
segretario dell’Associazione locale non avvisa anzitutto il vescovo, ma i suoi
capi provinciali e regionali. Organizzano un incontro per vedere cosa fare e
come affrontare i problemi e poi comunicano al vescovo il problema e le
soluzioni». I seminaristi poi ricevono ogni mese un insegnamento supplementare
sulla politica religiosa del partito e vengono interrogati ogni volta per
vedere se hanno assimilato o no la lezione. L’Associazione decide e poi fa
accettare le sue scelte.
Si sa, ad esempio, che a Pechino, dove ci si prepara a sostituire il
vescovo patriottico Fu Tieshan, molto malato, è
l’Associazione ad aver stabilito i nomi dei candidati alla successione e ha
reso chiaro che non accetterà altri. Negli ultimi anni, molti vescovi della
Chiesa ufficiale hanno riconosciuto la loro situazione ambigua se hanno segretamente
chiesto perdono al papa, riconciliandosi con la Santa Sede e appartenendo
all’Associazione solo in modo formale. Grazie alle comunicazioni più frequenti
con la Cina – e a una certa distensione con il governo cinese – la Santa Sede è
pure riuscita a far eleggere come vescovi candidati scelti da lei.
Ma la situazione è piuttosto precaria, come si vede dalle ultime
ordinazioni illecite avvenute l’anno scorso. Almeno 45 diocesi (su 97) della
chiesa ufficiale non hanno vescovo o sono ormai molto anziani. È vero tuttavia
che in questa situazione molto fluida, la Santa Sede per non interrompere il
dialogo e non fornire nuove armi polemiche all’Associazione, ha finora
rinunciato ad annunciare l’applicazione delle sanzioni previste dal Codice di
diritto canonico per le ordinazioni illecite (la scomunica), limitandosi solo a
ribadire che è questa la pena prevista.
Resta da stabilire quanto sia forte il legame tra l’Associazione e il
governo. Si sa infatti che le autorità statali a Pechino si rendono conto del sostanziale
fallimento della politica di controllo della Chiesa attuata in questi anni,
anche se ancora non si avrebbe il coraggio o la volontà politica di limitare o
terminare l’attività dell’Associazione, anche se bisogna dire che uno dei
motivi per cui l’Associazione stessa tiene molto al potere acquisito riguarda i
beni della Chiesa che ha incamerato in questi anni, valutati in 13 miliardi di
euro e che altrimenti dovrebbe restituire.
In Cina comunque i cattolici che rifiutano il controllo dell’Associazione
si incontrano in luoghi non riconosciuti dal governo, con sacerdoti non
registrati e vescovi legati alla Santa Sede, ma non riconosciuti dal Ministero
degli affari religiosi. Secondo dati di Asia News almeno 17 vescovi sotterranei
sono scomparsi, arrestati o tenuti in isolamento; 20 sacerdoti sono in arresto.
L’ultimo arresto è avvenuto il 27 dicembre scorso nell’Hebei.
Dei 9 sacerdoti arrestati, 5 rimangono ancora in prigione e 4 sono stati
liberati. Dati del Holy Spirit
Study Center di Hong Kong rilevano che in Cina vi
sono attualmente oltre 12 milioni di cattolici e ogni anno vi sono circa 150
mila battezzati, provenienti soprattutto dal mondo della cultura, dalle
università, dall’imprenditoria. Nel 1949, prima dell’avvento di Mao Zedong, i cattolici erano 3
milioni.
Assegnando la porpora cardinalizia, nel 2006, ai vescovi di tre metropoli
cruciali come Hong Kong, Manila e Seul, Papa Ratzinger aveva già lanciato un
messaggio chiaro che ha confermato in modo inequivocabile scegliendo come
prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli il cardinale
Ivan Dias, esponente della vivace chiesa indiana. «L’Asia,
il nostro comune compito per il terzo millennio».
Del resto l’attenzione verso il “continente” cinese è sempre stata costante
da parte della Chiesa. Ricordiamo che Giovanni Paolo II nel 1979 aveva dato la
porpora cardinalizia a Ignazio Gong Pigmei, vescovo non ufficiale di Shanghai. A
buon diritto Giovanni Paolo II poté scrivere: «La sollecitudine per la chiesa
in Cina, che è stata sempre così viva nei miei recenti predecessori Pio XII,
Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo I, è diventata particolare e costante
assillo del mio pontificato, come ho manifestato più di una volta e in vari
modi» (Lettera Caritas Christi,
1982).
Trent’anni prima della Caritas Christi, dunque il 18 gennaio 1952, Pio XII pubblicava la
lettera apostolica Cupimus imprimis.
Il regime cinese aveva iniziato l’azione di controllo e contrasto istituendo
l’Ufficio affari religiosi e intensificando gli arresti di cattolici; seminari,
conventi e scuole cattoliche vengono chiusi. I missionari stranieri lasciano la
Cina, oppure sono espulsi (toccherà anche al nunzio Antonio Riberi).
Papa Pacelli esprime profonda solidarietà ai
cristiani cinesi e riafferma la necessità dell’unione con la sede di Pietro. Di
lì a due anni Pio XII pubblica l’Ad sinarum gentes,
in cui condanna il tentativo in atto, da parte del regime, di costituire una
chiesa nazionale. Il 29 giugno 1958 – un anno dopo l’istituzione ufficiale
dell’Associazione patriottica – arriva l’enciclica Ad Apostolorum
Principis, in cui Pio XII torna a denunciare la
violenta persecuzione maoista e dichiara gravemente illecita la consacrazione
dei vescovi senza l’approvazione della Santa Sede. Particolare interessante:
vescovi e preti coinvolti non vengono personalmente scomunicati, perché
ritenuti sottoposti a pressioni e a gravi limitazioni della libertà personale.
Fabrizio Mastrofini