I “MARTIRI” DEL 2006

SERVI DELL’AMORE

 

Vogliamo rendere omaggio ai missionari uccisi nel 2006 nelle varie parti del mondo. Al primo posto figura l’Africa a cui segue l’America e quindi gli altri continenti. Ma la realtà è assai più vasta se si pensa alle difficili condizioni in cui vivono le minoranze cristiane in tante parti del mondo.

 

Come di consueto alla fine dell’anno l’agenzia Fides pubblica l’elenco degli operatori pastorali che hanno perso la vita in modo violento nel corso del 2006. Quest’anno sono stati uccisi 24 tra sacerdoti, religiosi, religiose e laici, uno in meno rispetto all’anno precedente. Come sempre negli ultimi tempi, il conteggio non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutto il personale ecclesiastico ucciso in modo violento o che ha sacrificato la vita consapevole del rischio che correva, pur di non abbandonare il proprio impegno di testimonianza e di apostolato. I corpi di alcuni di loro sono stati trovati ore o giorni dopo il decesso, spesso vittime – almeno in apparenza– di aggressioni, rapine e furti perpetrati in contesti sociali di particolare violenza, degrado umano e povertà, che questi “artigiani di pace” cercavano di alleviare con la loro presenza e la loro opera.

L’agenzia avverte di non voler usare il termine “martiri”, per non entrare minimamente in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare di loro, e anche per la scarsità di notizie che, nella maggior parte dei casi, si riesce a raccogliere sulla loro vita e perfino sulle circostanze della loro morte. Li proponiamo comunque – scrive – al ricordo e al suffragio di tutti, proprio perché il loro sacrificio, ben noto a Dio, non sia dimenticato neanche dagli uomini, e per il tributo che hanno dato alla crescita della Chiesa in ogni parte del mondo, al servizio della promozione umana e dell’evangelizzazione.

 

ERANO

ARTIGIANI DI PACE

 

Come ha sottolineato il santo Padre Benedetto XVI ricordando alla preghiera dell’Angelus del 24 settembre proprio una di queste missionarie uccise, suor Leonella Sgorbati, tanti cristiani, «con umiltà e nel silenzio, spendono la vita al servizio degli altri a causa del Signore Gesù, operando concretamente come servi dell’amore e perciò “artigiani” di pace. Ad alcuni è chiesta talora la suprema testimonianza del sangue… Non c’è dubbio che seguire Cristo è difficile, ma, come Egli dice, solo chi perde la propria vita per causa sua e del Vangelo la salverà (cf. Mc 8,35), dando senso pieno alla propria esistenza. Non esiste altra strada per essere suoi discepoli, non c’è altra strada per testimoniare il suo amore e tendere alla perfezione evangelica».

Riguardo ai continenti dove nel 2006 sono state registrate il maggior numero di vittime, figura al primo posto l’Africa, che ha visto la morte violenta di 9 sacerdoti, 1 religiosa e 1 volontaria laica. La nazione con il maggior numero di sacerdoti uccisi è il Kenya, con 3 sacerdoti morti violentemente, cui fa seguito la Nigeria, con 2 sacerdoti uccisi. L’unica religiosa uccisa in Africa è suor Leonella Sgorbati, Missionaria della Consolata, uccisa a Mogadiscio (Somalia), mentre la volontaria laica, di nazionalità portoghese, è stata uccisa in Mozambico.

Il secondo continente per numero di vittime del 2006 è l’America, dove sono stati uccisi 6 sacerdoti, 1 religiosa ed 1 laico, cooperatore salesiano. Il Brasile è la nazione in cui la Chiesa ha pagato un duplice tributo di sangue. Tra le vittime in questo continente si conta anche una religiosa statunitense impegnata nel reinserimento sociale degli ex detenuti, che proprio da uno di loro è stata uccisa, e un laico, cooperatore salesiano, ucciso in Guatemala, molto probabilmente per non essersi piegato a ricatti e corruzioni.

L’Asia è stata bagnata dal sangue di 2 sacerdoti, una religiosa e un laico. In India sono stati uccisi un parroco e un laico, mentre ad Ambon, nelle Molucche, teatro negli ultimi anni di sanguinosi scontri e violenze, è stata uccisa una religiosa. Ad essi va aggiunto il nome di don Andrea Santoro, missionario Fidei donum in Turchia, ucciso a Trabznon mentre era in preghiera nella sua chiesa. Anche l’Oceania ha versato il suo contributo di sangue alla causa del Vangelo con un religioso dei Fatebenefratelli ucciso a Port Moresby, in Papua Nuova Guinea.A questo elenco provvisorio deve comunque essere aggiunta la lunga lista dei tanti “militi ignoti della fede” di cui forse non si avrà mai notizia, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano anche con la vita la loro fede in Cristo. «Penso anche a quei cattolici che mantengono la propria fedeltà alla Sede di Pietro senza cedere a compromessi, a volte anche a prezzo di gravi sofferenze. Tutta la Chiesa ne ammira l’esempio e prega perché essi abbiano la forza di perseverare, sapendo che le loro tribolazioni sono fonte di vittoria, anche se al momento possono sembrare un fallimento» (Benedetto XVI, Angelus 26 dicembre 2006).

 

UNA REALTÀ

ASSAI PIÙ AMPIA

 

L’agenzia Fides ha volutamente segnalato solo i nomi di coloro che erano impegnati nel lavoro missionario e sono stati uccisi. Ma c’è una realtà di sofferenza e spesso anche di morte che è infinitamente più ampia e che colpisce soprattutto le minoranze cristiane in tante parti del mondo, su cui il papa ha attirato più volte l’attenzione in questi ultimi tempi. Fra i vari interventi possiamo citare su tutti il richiamo del messaggio per la giornata mondiale della pace di quest’anno, in cui ha affermato: «Per quanto riguarda la libera espressione della propria fede, un altro preoccupante sintomo di mancanza di pace nel mondo è rappresentato dalle difficoltà che tanto i cristiani quanto i seguaci di altre religioni incontrano spesso nel professare pubblicamente e liberamente le proprie convinzioni religiose. Parlando in particolare dei cristiani, debbo rilevare con dolore che essi non soltanto sono a volte impediti; in alcuni stati vengono addirittura perseguitati, e anche di recente si sono dovuti registrare tragici episodi di efferata violenza. Vi sono regimi che impongono a tutti un’unica religione, mentre regimi indifferenti alimentano non una persecuzione violenta, ma un sistematico dileggio culturale nei confronti delle credenze religiose. In ogni caso, non viene rispettato un diritto umano fondamentale, con gravi ripercussioni sulla convivenza pacifica».

Il papa pensava certamente alla difficile condizione in cui vivono i cristiani in numerosi paesi musulmani dove sono impediti di professare liberamente la loro fede e vivono in una condizione di emarginazione e di privazione. Si pensi per esempio alla condizione esistente nell’Arabia saudita o in Pakistan, oppure in Indonesia e in numerosi altri paesi che sarebbe lungo anche solo elencare. Ma altrettanto difficile si è resa la loro situazione anche in India dove continuano a susseguirsi aggressioni e sopraffazioni a carico delle persone e degli edifici (200 nel 2006) e le assurde leggi restrittive emanate in qualche stato della federazione riguardo alle cosiddette conversioni.

Drammatico inoltre è il quadro del Medio Oriente dove per i cristiani è diventato sempre più difficile, per non dire impossibile, vivere. In una lettera ai cattolici di questa area in occasione delle feste natalizie il papa ha scritto: «Le notizie quotidiane che giungono dal Medio Oriente non fanno che mostrare un crescendo di situazioni drammatiche, quasi senza via di uscita…. Da lungo tempo si osserva come molti cristiani stiano lasciando il Medio Oriente, così che i Luoghi Santi rischiano di trasformarsi in zone archeologiche, prive di vita ecclesiale. Certo, situazioni geopolitiche pericolose, conflitti culturali, interessi economici e strategici, nonché aggressività che si cerca di giustificare attribuendo loro una matrice sociale o religiosa, rendono difficile la sopravvivenza delle minoranze e perciò molti cristiani sono portati a cedere alla tentazione di emigrare. Spesso il male può essere in qualche modo irreparabile…».

Un esodo analogo e forse ancora più drastico si sta verificando anche dall’Iraq dove per i cristiani sembra non esserci più spazio. Anche da qui quelli che possono se ne vanno.

Questi accenni non devono inoltre far dimenticare le gravi difficoltà in cui si svolge oggi l’attività missionaria della Chiesa, non solo in Asia, ma anche in Africa, soprattutto in seguito alle devastazioni provocate dalle continue guerre che hanno distrutto ogni forma di legalità e di pacifica convivenza. Non a caso è proprio questo il continente che ha avuto un numero maggiore di “martiri” durante il 2006.

 

SOLIDALI

CON LA LORO GENTE

 

Se ora si esaminano le circostanze in cui sono avvenuti i tragici assassini di questi missionari, la prima impressione che si ricava è che oggi generalmente non si muore più per esplicite motivazioni di fede, ma per motivi ben più ordinari, vorremmo quasi dire “banali”: furti, rapine, atti di banditismo, o azioni di qualche squilibrato, oppure per togliere di mezzo persone scomode che si occupano dei poveri o di altre categorie del genere. Realtà purtroppo frequenti là dove manca ogni legalità.

Muoiono allo stesso modo di tante altre persone povere e indifese il cui numero giunge a noi solo attraverso dati statistici, tanto anonimi quanto burocratici che appaiono sui giornali e le agenzie, facendoci quasi dimenticare che dietro ad ognuno c’è una persona, una famiglia, un gruppo, un popolo, e purtroppo nell’indifferenza generale dell’opinione pubblica mondiale. I missionari muoiono nella solidarietà con la povera gente, con cui hanno voluto condividere le loro condizioni di precarietà e di insicurezza, con tutti i rischi del caso. Potremmo chiamarli “martiri della solidarietà”. Veri testimoni del Vangelo, autentici seguaci di Cristo il quale si è fatto servo di tutti e ha preso su si sé le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie.

C’è infatti qualcosa di misterioso in queste morti che svela il significato profondo di ogni vocazione cristiana, ma soprattutto della vocazione di coloro che, dopo aver lasciato tutto, hanno accolto l’invito di Gesù a “perdere” la propria vita per causa sua, abbracciando quell’amore più grande che consiste nel dare la vita per i propri fratelli. È una fede fatta carità.

 

I LORO NOMI

SCRITTI ORA IN CIELO

 

Ci pare ora interessante presentare queste figure, sia pure attraverso brevi cenni biografici, così come li ha raccolti l’agenzia Fides, per sentirci coinvolti con il loro “martirio”, affinché esso non rimanga un semplice fatto di cronaca che non tocca il cuore.

 

P. Elie Koma, della Compagnia di Gesù (SJ), di nazionalità burundese, è stato ucciso nella capitale, Bujumbura, nella serata di sabato 4 febbraio 2006. Il gesuita, 59 anni, passava in automobile nei pressi di un bar sulla strada principale dove un gruppo di uomini armati aveva aperto il fuoco contro un Maggiore delle forze nazionali di difesa del Burundi, Ruguraguza, e sua moglie. Padre Koma sarebbe stato ucciso per eliminare un possibile testimone del delitto: l’auto su cui viaggiava è stata infatti fermata sparando alle gomme, quindi il sacerdote è stato ucciso con cinque proiettili alla schiena. Il sacerdote era stimato e benvoluto da tutti, molto attivo soprattutto nella pastorale e nella direzione degli esercizi spirituali per gli istituti religiosi femminili autoctoni e i movimenti mariani. Sacerdote dal 1980, da 3 anni era il responsabile della chiesa dei gesuiti di Kamenge, in uno dei quartieri più poveri di Bujumbura.

 

Don Andrea Santoro, sacerdote Fidei donum della diocesi di Roma, ucciso a Trabzon (Turchia) il 5 febbraio 2006 mentre era raccolto in preghiera nella chiesa di Sancta Maria Kilisesi. Don Santoro, del clero romano, era nato a Priverno (LT), il 7 settembre 1945 ed era stato ordinato presbitero per la Diocesi di Roma il 18 ottobre 1970. Dopo aver prestato servizio religioso in diverse comunità parrocchiali di Roma, nel 2000 era partito come missionario Fidei donum per la Turchia, stabilendosi nella località di Trabzon, sul Mar Nero. Gli era stata affidata la chiesa di Sancta Maria Kilisesi. Nel 2003 aveva fondato l’associazione “Finestra per il Medio Oriente”: un gruppo dedicato allo studio, alla preghiera e al dialogo per far incontrare il mondo occidentale e il Medio Oriente. Don Andrea era tornato in Italia nell’ultima settimana di gennaio, come faceva regolarmente, per guidare alcune giornate di studio e di preghiera.

 

P. José Alfonso Moreira, della congregazione dello Spirito Santo (Spiritani), di nazionalità portoghese, ucciso il 9 febbraio 2006 nella sua residenza a Bailundo, in Angola. Il missionario, 80 anni, di cui 40 trascorsi a Bailundo, è stato ucciso con 7 colpi di arma da fuoco esplosi a distanza ravvicinata. Era appena andato a dormire quando una quindicina di persone armate, molto probabilmente banditi, hanno fatto irruzione nella sua camera e lo hanno ucciso senza neanche dargli il tempo di scendere dal letto, quindi hanno messo a soqquadro la casa. Padre Moreira era benvoluto da tutti perché ha reso un’autentica testimonianza di amore per la missione anche in tempi difficilissimi. Durante la drammatica guerra civile del 1975-2002 la località dove si trovava a svolgere la sua missione era stata conquistata dalla guerriglia dell’UNITA (Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola) e poi dall’esercito di Luanda. Ma P. Moreira era riuscito sempre a conservare la propria neutralità, senza cedere a compromessi con nessuno, per poter annunciare il Vangelo e servire il prossimo nella piena libertà dei figli di Dio.

Don Michael Gajere, sacerdote nigeriano, è stato ucciso da un gruppo di uomini armati a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno (Nigeria), il 18 febbraio 2006, nel corso di gravi violenze seguite a una manifestazione di protesta iniziata pacificamente. Negli scontri hanno trovato la morte almeno 15 persone, sono state bruciate 4 chiese cattoliche, l’abitazione del vescovo, alcune strutture di altre confessioni cristiane e diverse abitazioni di fedeli cristiani. Il sacerdote, ordinato 14 anni fa, era arrivato solo da un mese come parroco nella parrocchia di Santa Rita a Bulunkutu, quartiere di Maiduguri. Prima di essere ucciso don Michael è riuscito a mettere in salvo i leader dei gruppi giovanili della parrocchia.

 

Suor Maria Yermine Yamlean, 33 anni, delle Figlie di Nostra Signora del Sacro Cuore (FDNSC), nativa di Arui Das-Ambon (Indonesia) e residente nel convento di Jalan Pattimura, nella città di Ambon, capitale delle isole Molucche, è stata uccisa la mattina del 10 marzo 2006. La religiosa aveva sorpreso un intruso nel convento, forse un ladro, che spaventato l’ha aggredita e colpita con un coltello. Quando le consorelle l’hanno rinvenuta era ormai in gravi condizioni. Portata all’ospedale, è deceduta poco dopo il ricovero. La religiosa era molto attiva nella pastorale e nel movimento carismatico, era membro del consiglio provinciale della sua congregazione, vice superiora della comunità di Ambon e guida della formazione delle aspiranti.

 

P. Eusebio Ferrao, 61 anni, parroco della chiesa di San Francesco a Macasana, nella parte meridionale di Goa (India), è stato ucciso nella notte fra il 17 e il 18 marzo 2006. Il sacerdote è stato ritrovato la mattina del 18 marzo dai suoi parrocchiani che lo attendevano per la celebrazione della santa messa mattutina. Non vedendolo arrivare sono andati a cercarlo nella sua abitazione, dove però lo hanno trovato morto, sembra soffocato con un cuscino. Secondo i suoi parrocchiani p. Ferrao era un uomo pacifico che non aveva nemici. Era impegnato nella commissione per la liturgia della diocesi e serviva la sua comunità parrocchiale (circa 3.200 fedeli ) con zelo e umiltà.

 

Mons. Bruno Baldacci, sacerdote Fidei Donum della diocesi di La Spezia (Italia), 63 anni, è stato ritrovato la mattina di giovedì 30 marzo nella sua stanza, presso la parrocchia di Nossa Senhora das Candeias di cui era parroco, a Vitória da Conquista, stato di Bahia (Brasile). La segretaria e la portinaia lo hanno trovato che giaceva sul letto, nella sua stanza, con evidenti segni di percosse, mentre il locale era stato messo a soqquadro. Mons. Baldacci aveva trascorso 42 anni in Brasile, ove era giunto seguendo un vescovo missionario, qui era stato anche ordinato sacerdote nel 1968. Negli ultimi tempi si era dedicato in particolare ai poveri ed a strappare i giovani dalla tossicodipendenza.

 

Don Luis Montenegro, 77 anni, da oltre 30 parroco di Nuestra Señora del Rosario a La Calera, nei pressi di Cordoba (Argentina), è stato trovato morto la mattina del 12 aprile 2006, ucciso a coltellate nel sonno. Autore del crimine un giovane pregiudicato, fermato dalla polizia, che aveva aggredito il sacerdote probabilmente a scopo di rapina.

 

Suor Karen Klimczak, 62 anni, delle Suore di San Giuseppe di Buffalo (SSJ), è stata uccisa nella città di Buffalo, stato di New York (Stati Uniti d’America), il Venerdì santo, 14 aprile 2006. La religiosa aveva dedicato tutta la sua vita ai poveri. Lavorava nella “Bissonette House”, una casa di accoglienza per ex detenuti che la religiosa aiutava a reinserirsi nella società. Proprio uno di loro, ospite della casa, l’ha aggredita per rapina e, dopo averla uccisa, preso dal panico, ha nascosto il suo corpo in una abitazione abbandonata ad alcune miglia dalla Bissonette House, dove è stato ritrovato la domenica di Pasqua. La religiosa era molto conosciuta in tutta Buffalo per la sua attività a favore dei poveri e della pace, cui aveva dedicato la vita.

 

Don Galgalo Boru, sacerdote kenyano della parrocchia di Bulesa, nel vicariato apostolico di Isolo (Kenya), è stato ucciso nel mese di aprile 2006 nella località di Lososia, distretto di Samburu, da alcuni banditi che hanno assalito il veicolo su cui stava viaggiando, aprendo il fuoco da entrambi i lati della strada. Insieme al sacerdote è morta un’altra persona che era a bordo dell’automobile.

 

Don Jorge Piñango Mascareño, Sottosegretario della Conferenza episcopale venezuelana, è stato trovato morto lunedì 24 aprile 2006 a Caracas. La Conferenza episcopale venezuelana, in un suo comunicato afferma che «il percorso umano e sacerdotale del Padre Piñango, è stata marcato, per più di venti anni, dal ministero sacerdotale, dallo spirito delle beatitudini evangeliche e dalla sua chiara vocazione di servizio». P. Jorge Piñango Mascareño era nato nel 1959 a Barquisimeto ed era stato ordinato sacerdote il 10 agosto 1985. Aveva studiato alla Pontificia Università Javeriana di Colombia ed alla Pontificia Università Gregoriana a Roma. Aveva ricoperto il ruolo di docente in diverse università e seminari. Era stato nominato sottosegretario della CEV nel 2002.

 

Don Josè Carlos Cearense, sacerdote diocesano brasiliano di 44 anni, è stato trovato ucciso a coltellate, con le mani legate dietro la schiena, nella casa parrocchiale accanto alla chiesa di Santa Maria dos Anjos, di cui era parroco, nella località di Delta, nello stato di Minas Gerais (Brasile). Il suo corpo è stato trovato la mattina del 9 maggio dalla donna che era andata a fare le pulizie. L’omicidio sarebbe avvenuto la sera prima, 8 maggio, intorno alle ore 22. Nei giorni seguenti la polizia ha arrestato il suo assassino, un maniaco che aveva compiuto una serie di omicidi tra la fine di aprile e l’inizio di maggio.

 

Don Jude Kimeli Kibor, sacerdote keniano, 57 anni, impegnato nella pastorale carceraria da 5 anni, è stato trovato morto l’11 maggio 2006 nei pressi di Eldoret, mentre stava recandosi a celebrare la messa, apparentemente a scopo di rapina. La sua cartella è stata rubata e la sua automobile è stata ritrovata a 10 chilometri dal luogo dove era il suo corpo. Il sacerdote aveva studiato a Springfield (USA) e contemporaneamente aveva svolto il ministero sacerdotale in diverse parrocchie. Era poi tornato nel suo paese di origine deciso ad aiutare il suo popolo, consapevole dei rischi che avrebbe corso.

 

Fra Luis Alfonso Herrera Moreno, francescano (OFM) colombiano di 46 anni, è stato ucciso a colpi di pietra in località Bonda (Colombia). Il religioso era economo del collegio San Luis Beltran, gestito dalla comunità francescana di Santa Marta. Il 28 giugno era salito sulla sua automobile per andare a svolgere alcune commissioni. Il giorno seguente è stato ritrovato il suo corpo senza vita. L’unico indizio è che sia stato ucciso in un tentativo di rapina.

 

Don John Mutiso Kivaya, 35 anni, sacerdote keniano assistente nella parrocchia di Masinga (Kenya), è stato ucciso a Tala, diocesi di Machakos, la notte del 31 luglio 2006 da alcuni teppisti che hanno fatto irruzione nel ristorante dove stava consumando la cena insieme ad altri due sacerdoti. Il sacerdote si trovava nella sua città natale per fare visita ai familiari. I banditi, che hanno rapinato i presenti del denaro e dei telefoni cellulari, hanno ucciso oltre al sacerdote altre due persone, e ferito tre persone.

Don Chidi Okorie, 31 anni, nigeriano, ucciso ad Afikpo (stato dell’Ebonyi) in Nigeria, nella notte del 4 agosto 2006. È stato aggredito e pugnalato nella sua abitazione presso la St.Mary’s Catholic Church. Subito soccorso e trasportato in ospedale, vi è deceduto poco dopo. Molto probabilmente è stato vittima di ladri che si erano introdotti nella abitazione, da cui mancavano denaro e altri beni. Il giovane sacerdote era stato ordinato nel giugno 2004.

 

Fratel Augustine Taiwa, 40 anni, dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli), originario della Nuova Britannia orientale, è stato colpito a morte nella sera di lunedì 28 agosto 2006, nei pressi della capitale della Papua Nuova Guinea, Port Moresby. Il missionario è stato aggredito vicino all’Istituto Xavier di Bomana, dove negli ultimi tre anni aveva ricoperto l’incarico di coordinatore dei corsi pastorali. Il religioso è stato colpito con una lancia di acciaio mentre stava guidando un furgone, a bassa velocità e con il finestrino abbassato per parlare con i venditori del mercato ambulante. Tre giovani che erano ubriachi lanciavano pietre e altri oggetti contro le macchine di passaggio. Uno di loro ha scagliato una lancia contro la vettura del religioso, che lo ha colpito alla testa uccidendolo sul colpo. La polizia è intervenuta tempestivamente e lo ha portato al Port Moresby General Hospital, dove però hanno solo constatato il suo decesso.

 

Suor Leonella Sgorbati, missionaria della Consolata, italiana, 66 anni, è stata uccisa il 17 settembre 2006 a Mogadiscio (Somalia) colpita a morte mentre si recava all’ospedale in cui prestava servizio, da alcuni sicari che si erano appostati dietro una automobile. La religiosa nel 1970 era stata inviata in Kenya, dal 1970 al 1983 aveva prestato servizio negli ospedali della Consolata di Mathari, di Nyeri e di Nazareth, alla periferia di Nairobi. Nel 1985 era diventata l’insegnante principale nella scuola d’infermiera presso l’ospedale Meru di Nkubu. Il 26 novembre 1993 era stata eletta superiore regionale delle missionarie della Consolata del Kenya, compito che ha svolto per 6 anni. Nel 2001 Suor Leonella aveva trascorso diversi mesi a Mogadiscio per verificare la possibilità di creare una scuola infermieristica nell’ospedale locale gestito da una Ong. Il 18 aprile 2002 erano iniziati i primi corsi della scuola professionale, i primi allievi si sono diplomati nel 2006. In agosto, vincendo forti resistenze burocratiche, suor Leonella era riuscita a ottenere per i propri allievi un diploma internazionalmente riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

 

Don Ricardo Antonio Romero, 53 anni, salvadoregno, è stato ucciso all’alba del 25 settembre 2006 a colpi di pietra e bastone, mentre stava percorrendo la strada che congiunge Acajutia a Sonsonate (El Salvador). Il corpo senza vita è stato trovato vicino alla sua jeep. La polizia sospetta che l’omicidio sia stato compiuto da una delle bande giovanili che imperversano nella zona. Il sacerdote era parroco di Santa Catarina Masahuat, diocesi di Sonsonate, ed era molto conosciuto soprattutto per l’instancabile opera di evangelizzazione che portava avanti e l’assistenza ai poveri e ai più bisognosi.

 

Don Pascal Koné Naougnon, 51 anni, della diocesi del Callao (Perù) è stato ucciso il 31 ottobre 2006 a Divo, in Costa d’Avorio, dove si trovava missionario dal 2003.

È stato vittima di un tentativo di rapina nella casa parrocchiale della parrocchia della Sacra Famiglia di Divo: stava per coricarsi quando, insospettito da alcuni rumori provenienti dal salotto, è andato ad accertarsi di cosa stesse succedendo e si è trovato faccia a faccia con i banditi che non hanno esitato a sparare. Portato dai suoi confratelli nel vicino ospedale, il sacerdote è morto per le gravi ferite riportate. Nato a Bouaké (Costa d’Avorio) in una famiglia animista, a 12 anni aveva chiesto di ricevere il battesimo. A 25 anni entrò a far parte del Cammino neocatecumenale, e qui scoprì la sua vocazione al sacerdozio. Nel 1990, dopo aver partecipato a un incontro internazionale, venne mandato in seminario in Perù, nel seminario Redemptoris Mater del Callao. Nel 1999 fu ordinato sacerdote e ha svolto il suo ministero sacerdotale in diverse zone del Perù, dove si distinse per il suo carattere generoso e lo spirito di servizio. Nel 2003, su richiesta del vescovo di Gagnoa, don Pascal fu inviato a servire la chiesa ivoriana e nella parrocchia “Sacra Famiglia” di Divo. Si fece apprezzare da tutti per il suo stile semplice e il suo impegno per la promozione umana. Seguiva in particolare i giovani, che avevano abbandonato la scuola, offrendo una formazione tecnica per trovare un lavoro.

 

Padre Waldyr dos Santos, gesuita brasiliano, 69 anni, e la volontaria laica portoghese Idalina Neto Gomes, 30 anni, sono stati uccisi alle prime ore del 6 novembre 2006 da un gruppo di uomini armati che ha assalito la residenza di Angonia, nella provincia di Tete (Mozambico), ferendo altre due persone. Gli assalitori, dopo aver rubato denaro e altri oggetti, sono fuggiti a bordo delle auto della comunità. Idalina Neto Gomes, avvocato, faceva parte dell’associazione portoghese “Laici per lo sviluppo” e si trovava nella comunità dei gesuiti con altri membri dell’associazione. In questa zona di frontiera tra Mozambico, Malawi, Zambia e Zimbabwe, la delinquenza ha ripetutamente colpito le missioni cattoliche e le comunità religiose. I gesuiti hanno una lunga storia in questo territorio, e si dedicano all’evangelizzazione, all’educazione, alla sanità e ai progetti sociali per lo sviluppo della popolazione.

 

Jacob Fernandez, laico cattolico, gestore della libreria annessa al Santuario del Monte di San Tommaso a Chennai, nello stato del Tamil Nadu (India), il 26 novembre 2006 è stato aggredito senza motivo mentre era sul posto di lavoro, da un uomo che lo ha ucciso a colpi di machete. Secondo la ricostruzione, l’uomo, in uno stato di esaltazione violenta, chiedeva di incontrare il parroco e gridava rivendicando la proprietà indù del colle dove sorge il santuario. La polizia ha arrestato l’omicida definendolo “mentalmente instabile”. Secondo le testimonianze di alcuni fedeli che lo conoscevano, Jacob, che lascia la moglie e tre figli, era un laico cattolico molto devoto, che partecipava ogni mattina alla santa messa nel santuario, e viveva la sua vita come una missione.

 

Johnny Morales, 34 anni, Cooperatore Salesiano del Guatemala, è stato ucciso l’8 dicembre 2006 in seguito a una imboscata che gli è stata tesa mentre usciva dal lavoro. Il veicolo sul quale si trovava è stato crivellato di proiettili sparati da vari punti che hanno provocato la sua morte immediata. Johnny Morales collaborava con il “Centro Salesiano P. Sergio Checchi” insieme a sua moglie, anche lei Cooperatrice Salesiana nello stesso Centro. Si erano sposati appena un anno fa. Johnny lavorava nella Segreteria dell’Amministrazione Tributaria (SAT) e solo due giorni prima era stato destinato alla frontiera di Tecún Umám (Messico), dove c’è un elevato livello di narcotraffico e contrabbando.

La causa del crimine sembra vada ricercata proprio nella sua integrità, in quanto avrebbe rifiutato di compiere atti illeciti.