I “MARTIRI” DEL
2006
SERVI DELL’AMORE
Vogliamo rendere omaggio ai missionari
uccisi nel 2006 nelle varie parti del mondo. Al primo posto figura l’Africa a
cui segue l’America e quindi gli altri continenti. Ma la realtà è assai più
vasta se si pensa alle difficili condizioni in cui vivono le minoranze
cristiane in tante parti del mondo.
Come di consueto
alla fine dell’anno l’agenzia Fides pubblica l’elenco degli operatori pastorali
che hanno perso la vita in modo violento nel corso del 2006. Quest’anno sono
stati uccisi 24 tra sacerdoti, religiosi, religiose e laici, uno in meno
rispetto all’anno precedente. Come sempre negli ultimi tempi, il conteggio non
riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutto il personale
ecclesiastico ucciso in modo violento o che ha sacrificato la vita consapevole
del rischio che correva, pur di non abbandonare il proprio impegno di
testimonianza e di apostolato. I corpi di alcuni di loro sono stati trovati ore
o giorni dopo il decesso, spesso vittime – almeno in apparenza– di aggressioni,
rapine e furti perpetrati in contesti sociali di particolare violenza, degrado
umano e povertà, che questi “artigiani di pace” cercavano di alleviare con la
loro presenza e la loro opera.
L’agenzia
avverte di non voler usare il termine “martiri”, per non entrare minimamente in
merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare di loro, e anche per
la scarsità di notizie che, nella maggior parte dei casi, si riesce a
raccogliere sulla loro vita e perfino sulle circostanze della loro morte. Li
proponiamo comunque – scrive – al ricordo e al suffragio di tutti, proprio
perché il loro sacrificio, ben noto a Dio, non sia dimenticato neanche dagli
uomini, e per il tributo che hanno dato alla crescita della Chiesa in ogni
parte del mondo, al servizio della promozione umana e dell’evangelizzazione.
ERANO
ARTIGIANI DI
PACE
Come ha
sottolineato il santo Padre Benedetto XVI ricordando alla preghiera
dell’Angelus del 24 settembre proprio una di queste missionarie uccise, suor
Leonella Sgorbati, tanti cristiani, «con umiltà e nel silenzio, spendono la
vita al servizio degli altri a causa del Signore Gesù, operando concretamente
come servi dell’amore e perciò “artigiani” di pace. Ad alcuni è chiesta talora
la suprema testimonianza del sangue… Non c’è dubbio che seguire Cristo è
difficile, ma, come Egli dice, solo chi perde la propria vita per causa sua e
del Vangelo la salverà (cf. Mc 8,35), dando senso pieno alla propria esistenza.
Non esiste altra strada per essere suoi discepoli, non c’è altra strada per
testimoniare il suo amore e tendere alla perfezione evangelica».
Riguardo ai
continenti dove nel 2006 sono state registrate il maggior numero di vittime,
figura al primo posto l’Africa, che ha visto la morte violenta di 9 sacerdoti,
1 religiosa e 1 volontaria laica. La nazione con il maggior numero di sacerdoti
uccisi è il Kenya, con 3 sacerdoti morti violentemente, cui fa seguito la
Nigeria, con 2 sacerdoti uccisi. L’unica religiosa uccisa in Africa è suor
Leonella Sgorbati, Missionaria della Consolata, uccisa a Mogadiscio (Somalia),
mentre la volontaria laica, di nazionalità portoghese, è stata uccisa in
Mozambico.
Il secondo
continente per numero di vittime del 2006 è l’America, dove sono stati uccisi 6
sacerdoti, 1 religiosa ed 1 laico, cooperatore salesiano. Il Brasile è la
nazione in cui la Chiesa ha pagato un duplice tributo di sangue. Tra le vittime
in questo continente si conta anche una religiosa statunitense impegnata nel
reinserimento sociale degli ex detenuti, che proprio da uno di loro è stata
uccisa, e un laico, cooperatore salesiano, ucciso in Guatemala, molto
probabilmente per non essersi piegato a ricatti e corruzioni.
L’Asia è stata
bagnata dal sangue di 2 sacerdoti, una religiosa e un laico. In India sono
stati uccisi un parroco e un laico, mentre ad Ambon, nelle Molucche, teatro negli
ultimi anni di sanguinosi scontri e violenze, è stata uccisa una religiosa. Ad
essi va aggiunto il nome di don Andrea Santoro, missionario Fidei donum in
Turchia, ucciso a Trabznon mentre era in preghiera nella sua chiesa. Anche
l’Oceania ha versato il suo contributo di sangue alla causa del Vangelo con un
religioso dei Fatebenefratelli ucciso a Port Moresby, in Papua Nuova Guinea.A
questo elenco provvisorio deve comunque essere aggiunta la lunga lista dei
tanti “militi ignoti della fede” di cui forse non si avrà mai notizia, che in
ogni angolo del pianeta soffrono e pagano anche con la vita la loro fede in
Cristo. «Penso anche a quei cattolici che mantengono la propria fedeltà alla
Sede di Pietro senza cedere a compromessi, a volte anche a prezzo di gravi
sofferenze. Tutta la Chiesa ne ammira l’esempio e prega perché essi abbiano la
forza di perseverare, sapendo che le loro tribolazioni sono fonte di vittoria,
anche se al momento possono sembrare un fallimento» (Benedetto XVI, Angelus 26
dicembre 2006).
UNA REALTÀ
ASSAI PIÙ AMPIA
L’agenzia Fides
ha volutamente segnalato solo i nomi di coloro che erano impegnati nel lavoro
missionario e sono stati uccisi. Ma c’è una realtà di sofferenza e spesso anche
di morte che è infinitamente più ampia e che colpisce soprattutto le minoranze
cristiane in tante parti del mondo, su cui il papa ha attirato più volte
l’attenzione in questi ultimi tempi. Fra i vari interventi possiamo citare su
tutti il richiamo del messaggio per la giornata mondiale della pace di quest’anno,
in cui ha affermato: «Per quanto riguarda la libera espressione della propria
fede, un altro preoccupante sintomo di mancanza di pace nel mondo è
rappresentato dalle difficoltà che tanto i cristiani quanto i seguaci di altre
religioni incontrano spesso nel professare pubblicamente e liberamente le
proprie convinzioni religiose. Parlando in particolare dei cristiani, debbo
rilevare con dolore che essi non soltanto sono a volte impediti; in alcuni
stati vengono addirittura perseguitati, e anche di recente si sono dovuti
registrare tragici episodi di efferata violenza. Vi sono regimi che impongono a
tutti un’unica religione, mentre regimi indifferenti alimentano non una
persecuzione violenta, ma un sistematico dileggio culturale nei confronti delle
credenze religiose. In ogni caso, non viene rispettato un diritto umano
fondamentale, con gravi ripercussioni sulla convivenza pacifica».
Il papa pensava
certamente alla difficile condizione in cui vivono i cristiani in numerosi
paesi musulmani dove sono impediti di professare liberamente la loro fede e
vivono in una condizione di emarginazione e di privazione. Si pensi per esempio
alla condizione esistente nell’Arabia saudita o in Pakistan, oppure in
Indonesia e in numerosi altri paesi che sarebbe lungo anche solo elencare. Ma
altrettanto difficile si è resa la loro situazione anche in India dove
continuano a susseguirsi aggressioni e sopraffazioni a carico delle persone e
degli edifici (200 nel 2006) e le assurde leggi restrittive emanate in qualche
stato della federazione riguardo alle cosiddette conversioni.
Drammatico
inoltre è il quadro del Medio Oriente dove per i cristiani è diventato sempre
più difficile, per non dire impossibile, vivere. In una lettera ai cattolici di
questa area in occasione delle feste natalizie il papa ha scritto: «Le notizie
quotidiane che giungono dal Medio Oriente non fanno che mostrare un crescendo
di situazioni drammatiche, quasi senza via di uscita…. Da lungo tempo si
osserva come molti cristiani stiano lasciando il Medio Oriente, così che i
Luoghi Santi rischiano di trasformarsi in zone archeologiche, prive di vita
ecclesiale. Certo, situazioni geopolitiche pericolose, conflitti culturali,
interessi economici e strategici, nonché aggressività che si cerca di
giustificare attribuendo loro una matrice sociale o religiosa, rendono
difficile la sopravvivenza delle minoranze e perciò molti cristiani sono
portati a cedere alla tentazione di emigrare. Spesso il male può essere in
qualche modo irreparabile…».
Un esodo analogo
e forse ancora più drastico si sta verificando anche dall’Iraq dove per i
cristiani sembra non esserci più spazio. Anche da qui quelli che possono se ne
vanno.
Questi accenni
non devono inoltre far dimenticare le gravi difficoltà in cui si svolge oggi
l’attività missionaria della Chiesa, non solo in Asia, ma anche in Africa,
soprattutto in seguito alle devastazioni provocate dalle continue guerre che
hanno distrutto ogni forma di legalità e di pacifica convivenza. Non a caso è
proprio questo il continente che ha avuto un numero maggiore di “martiri”
durante il 2006.
SOLIDALI
CON LA LORO
GENTE
Se ora si
esaminano le circostanze in cui sono avvenuti i tragici assassini di questi
missionari, la prima impressione che si ricava è che oggi generalmente non si
muore più per esplicite motivazioni di fede, ma per motivi ben più ordinari,
vorremmo quasi dire “banali”: furti, rapine, atti di banditismo, o azioni di
qualche squilibrato, oppure per togliere di mezzo persone scomode che si
occupano dei poveri o di altre categorie del genere. Realtà purtroppo frequenti
là dove manca ogni legalità.
Muoiono allo
stesso modo di tante altre persone povere e indifese il cui numero giunge a noi
solo attraverso dati statistici, tanto anonimi quanto burocratici che appaiono
sui giornali e le agenzie, facendoci quasi dimenticare che dietro ad ognuno c’è
una persona, una famiglia, un gruppo, un popolo, e purtroppo nell’indifferenza
generale dell’opinione pubblica mondiale. I missionari muoiono nella
solidarietà con la povera gente, con cui hanno voluto condividere le loro
condizioni di precarietà e di insicurezza, con tutti i rischi del caso.
Potremmo chiamarli “martiri della solidarietà”. Veri testimoni del Vangelo,
autentici seguaci di Cristo il quale si è fatto servo di tutti e ha preso su si
sé le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie.
C’è infatti
qualcosa di misterioso in queste morti che svela il significato profondo di
ogni vocazione cristiana, ma soprattutto della vocazione di coloro che, dopo
aver lasciato tutto, hanno accolto l’invito di Gesù a “perdere” la propria vita
per causa sua, abbracciando quell’amore più grande che consiste nel dare la
vita per i propri fratelli. È una fede fatta carità.
I LORO NOMI
SCRITTI ORA IN
CIELO
Ci pare ora
interessante presentare queste figure, sia pure attraverso brevi cenni
biografici, così come li ha raccolti l’agenzia Fides, per sentirci coinvolti
con il loro “martirio”, affinché esso non rimanga un semplice fatto di cronaca
che non tocca il cuore.
P. Elie Koma,
della Compagnia di Gesù (SJ), di nazionalità burundese, è stato ucciso nella
capitale, Bujumbura, nella serata di sabato 4 febbraio 2006. Il gesuita, 59
anni, passava in automobile nei pressi di un bar sulla strada principale dove
un gruppo di uomini armati aveva aperto il fuoco contro un Maggiore delle forze
nazionali di difesa del Burundi, Ruguraguza, e sua moglie. Padre Koma sarebbe
stato ucciso per eliminare un possibile testimone del delitto: l’auto su cui
viaggiava è stata infatti fermata sparando alle gomme, quindi il sacerdote è
stato ucciso con cinque proiettili alla schiena. Il sacerdote era stimato e
benvoluto da tutti, molto attivo soprattutto nella pastorale e nella direzione
degli esercizi spirituali per gli istituti religiosi femminili autoctoni e i
movimenti mariani. Sacerdote dal 1980, da 3 anni era il responsabile della
chiesa dei gesuiti di Kamenge, in uno dei quartieri più poveri di Bujumbura.
Don Andrea
Santoro, sacerdote Fidei donum della diocesi di Roma, ucciso a Trabzon
(Turchia) il 5 febbraio 2006 mentre era raccolto in preghiera nella chiesa di
Sancta Maria Kilisesi. Don Santoro, del clero romano, era nato a Priverno (LT),
il 7 settembre 1945 ed era stato ordinato presbitero per la Diocesi di Roma il
18 ottobre 1970. Dopo aver prestato servizio religioso in diverse comunità
parrocchiali di Roma, nel 2000 era partito come missionario Fidei donum per la
Turchia, stabilendosi nella località di Trabzon, sul Mar Nero. Gli era stata
affidata la chiesa di Sancta Maria Kilisesi. Nel 2003 aveva fondato l’associazione
“Finestra per il Medio Oriente”: un gruppo dedicato allo studio, alla preghiera
e al dialogo per far incontrare il mondo occidentale e il Medio Oriente. Don
Andrea era tornato in Italia nell’ultima settimana di gennaio, come faceva
regolarmente, per guidare alcune giornate di studio e di preghiera.
P. José Alfonso
Moreira, della congregazione dello Spirito Santo (Spiritani), di nazionalità
portoghese, ucciso il 9 febbraio 2006 nella sua residenza a Bailundo, in
Angola. Il missionario, 80 anni, di cui 40 trascorsi a Bailundo, è stato ucciso
con 7 colpi di arma da fuoco esplosi a distanza ravvicinata. Era appena andato
a dormire quando una quindicina di persone armate, molto probabilmente banditi,
hanno fatto irruzione nella sua camera e lo hanno ucciso senza neanche dargli
il tempo di scendere dal letto, quindi hanno messo a soqquadro la casa. Padre
Moreira era benvoluto da tutti perché ha reso un’autentica testimonianza di
amore per la missione anche in tempi difficilissimi. Durante la drammatica guerra
civile del 1975-2002 la località dove si trovava a svolgere la sua missione era
stata conquistata dalla guerriglia dell’UNITA (Unione Nazionale per
l’Indipendenza Totale dell’Angola) e poi dall’esercito di Luanda. Ma P. Moreira
era riuscito sempre a conservare la propria neutralità, senza cedere a
compromessi con nessuno, per poter annunciare il Vangelo e servire il prossimo
nella piena libertà dei figli di Dio.
Don Michael
Gajere, sacerdote nigeriano, è stato ucciso da un gruppo di uomini armati a
Maiduguri, capitale dello Stato di Borno (Nigeria), il 18 febbraio 2006, nel
corso di gravi violenze seguite a una manifestazione di protesta iniziata
pacificamente. Negli scontri hanno trovato la morte almeno 15 persone, sono
state bruciate 4 chiese cattoliche, l’abitazione del vescovo, alcune strutture
di altre confessioni cristiane e diverse abitazioni di fedeli cristiani. Il
sacerdote, ordinato 14 anni fa, era arrivato solo da un mese come parroco nella
parrocchia di Santa Rita a Bulunkutu, quartiere di Maiduguri. Prima di essere
ucciso don Michael è riuscito a mettere in salvo i leader dei gruppi giovanili
della parrocchia.
Suor Maria
Yermine Yamlean, 33 anni, delle Figlie di Nostra Signora del Sacro Cuore
(FDNSC), nativa di Arui Das-Ambon (Indonesia) e residente nel convento di Jalan
Pattimura, nella città di Ambon, capitale delle isole Molucche, è stata uccisa
la mattina del 10 marzo 2006. La religiosa aveva sorpreso un intruso nel
convento, forse un ladro, che spaventato l’ha aggredita e colpita con un coltello.
Quando le consorelle l’hanno rinvenuta era ormai in gravi condizioni. Portata
all’ospedale, è deceduta poco dopo il ricovero. La religiosa era molto attiva
nella pastorale e nel movimento carismatico, era membro del consiglio
provinciale della sua congregazione, vice superiora della comunità di Ambon e
guida della formazione delle aspiranti.
P. Eusebio
Ferrao, 61 anni, parroco della chiesa di San Francesco a Macasana, nella parte
meridionale di Goa (India), è stato ucciso nella notte fra il 17 e il 18 marzo
2006. Il sacerdote è stato ritrovato la mattina del 18 marzo dai suoi
parrocchiani che lo attendevano per la celebrazione della santa messa
mattutina. Non vedendolo arrivare sono andati a cercarlo nella sua abitazione,
dove però lo hanno trovato morto, sembra soffocato con un cuscino. Secondo i
suoi parrocchiani p. Ferrao era un uomo pacifico che non aveva nemici. Era
impegnato nella commissione per la liturgia della diocesi e serviva la sua
comunità parrocchiale (circa 3.200 fedeli ) con zelo e umiltà.
Mons. Bruno
Baldacci, sacerdote Fidei Donum della diocesi di La Spezia (Italia), 63 anni, è
stato ritrovato la mattina di giovedì 30 marzo nella sua stanza, presso la
parrocchia di Nossa Senhora das Candeias di cui era parroco, a Vitória da
Conquista, stato di Bahia (Brasile). La segretaria e la portinaia lo hanno
trovato che giaceva sul letto, nella sua stanza, con evidenti segni di
percosse, mentre il locale era stato messo a soqquadro. Mons. Baldacci aveva
trascorso 42 anni in Brasile, ove era giunto seguendo un vescovo missionario,
qui era stato anche ordinato sacerdote nel 1968. Negli ultimi tempi si era
dedicato in particolare ai poveri ed a strappare i giovani dalla
tossicodipendenza.
Don Luis
Montenegro, 77 anni, da oltre 30 parroco di Nuestra Señora del Rosario a La
Calera, nei pressi di Cordoba (Argentina), è stato trovato morto la mattina del
12 aprile 2006, ucciso a coltellate nel sonno. Autore del crimine un giovane
pregiudicato, fermato dalla polizia, che aveva aggredito il sacerdote probabilmente
a scopo di rapina.
Suor Karen
Klimczak, 62 anni, delle Suore di San Giuseppe di Buffalo (SSJ), è stata uccisa
nella città di Buffalo, stato di New York (Stati Uniti d’America), il Venerdì
santo, 14 aprile 2006. La religiosa aveva dedicato tutta la sua vita ai poveri.
Lavorava nella “Bissonette House”, una casa di accoglienza per ex detenuti che
la religiosa aiutava a reinserirsi nella società. Proprio uno di loro, ospite
della casa, l’ha aggredita per rapina e, dopo averla uccisa, preso dal panico,
ha nascosto il suo corpo in una abitazione abbandonata ad alcune miglia dalla
Bissonette House, dove è stato ritrovato la domenica di Pasqua. La religiosa
era molto conosciuta in tutta Buffalo per la sua attività a favore dei poveri e
della pace, cui aveva dedicato la vita.
Don Galgalo
Boru, sacerdote kenyano della parrocchia di Bulesa, nel vicariato apostolico di
Isolo (Kenya), è stato ucciso nel mese di aprile 2006 nella località di
Lososia, distretto di Samburu, da alcuni banditi che hanno assalito il veicolo
su cui stava viaggiando, aprendo il fuoco da entrambi i lati della strada.
Insieme al sacerdote è morta un’altra persona che era a bordo dell’automobile.
Don Jorge
Piñango Mascareño, Sottosegretario della Conferenza episcopale venezuelana, è stato
trovato morto lunedì 24 aprile 2006 a Caracas. La Conferenza episcopale
venezuelana, in un suo comunicato afferma che «il percorso umano e sacerdotale
del Padre Piñango, è stata marcato, per più di venti anni, dal ministero
sacerdotale, dallo spirito delle beatitudini evangeliche e dalla sua chiara
vocazione di servizio». P. Jorge Piñango Mascareño era nato nel 1959 a
Barquisimeto ed era stato ordinato sacerdote il 10 agosto 1985. Aveva studiato
alla Pontificia Università Javeriana di Colombia ed alla Pontificia Università
Gregoriana a Roma. Aveva ricoperto il ruolo di docente in diverse università e
seminari. Era stato nominato sottosegretario della CEV nel 2002.
Don Josè Carlos
Cearense, sacerdote diocesano brasiliano di 44 anni, è stato trovato ucciso a
coltellate, con le mani legate dietro la schiena, nella casa parrocchiale
accanto alla chiesa di Santa Maria dos Anjos, di cui era parroco, nella
località di Delta, nello stato di Minas Gerais (Brasile). Il suo corpo è stato
trovato la mattina del 9 maggio dalla donna che era andata a fare le pulizie.
L’omicidio sarebbe avvenuto la sera prima, 8 maggio, intorno alle ore 22. Nei
giorni seguenti la polizia ha arrestato il suo assassino, un maniaco che aveva
compiuto una serie di omicidi tra la fine di aprile e l’inizio di maggio.
Don Jude Kimeli
Kibor, sacerdote keniano, 57 anni, impegnato nella pastorale carceraria da 5
anni, è stato trovato morto l’11 maggio 2006 nei pressi di Eldoret, mentre
stava recandosi a celebrare la messa, apparentemente a scopo di rapina. La sua
cartella è stata rubata e la sua automobile è stata ritrovata a 10 chilometri
dal luogo dove era il suo corpo. Il sacerdote aveva studiato a Springfield
(USA) e contemporaneamente aveva svolto il ministero sacerdotale in diverse
parrocchie. Era poi tornato nel suo paese di origine deciso ad aiutare il suo
popolo, consapevole dei rischi che avrebbe corso.
Fra Luis Alfonso
Herrera Moreno, francescano (OFM) colombiano di 46 anni, è stato ucciso a colpi
di pietra in località Bonda (Colombia). Il religioso era economo del collegio
San Luis Beltran, gestito dalla comunità francescana di Santa Marta. Il 28
giugno era salito sulla sua automobile per andare a svolgere alcune
commissioni. Il giorno seguente è stato ritrovato il suo corpo senza vita.
L’unico indizio è che sia stato ucciso in un tentativo di rapina.
Don John Mutiso
Kivaya, 35 anni, sacerdote keniano assistente nella parrocchia di Masinga
(Kenya), è stato ucciso a Tala, diocesi di Machakos, la notte del 31 luglio
2006 da alcuni teppisti che hanno fatto irruzione nel ristorante dove stava
consumando la cena insieme ad altri due sacerdoti. Il sacerdote si trovava
nella sua città natale per fare visita ai familiari. I banditi, che hanno
rapinato i presenti del denaro e dei telefoni cellulari, hanno ucciso oltre al
sacerdote altre due persone, e ferito tre persone.
Don Chidi
Okorie, 31 anni, nigeriano, ucciso ad Afikpo (stato dell’Ebonyi) in Nigeria,
nella notte del 4 agosto 2006. È stato aggredito e pugnalato nella sua
abitazione presso la St.Mary’s Catholic Church. Subito soccorso e trasportato
in ospedale, vi è deceduto poco dopo. Molto probabilmente è stato vittima di
ladri che si erano introdotti nella abitazione, da cui mancavano denaro e altri
beni. Il giovane sacerdote era stato ordinato nel giugno 2004.
Fratel Augustine
Taiwa, 40 anni, dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio
(Fatebenefratelli), originario della Nuova Britannia orientale, è stato colpito
a morte nella sera di lunedì 28 agosto 2006, nei pressi della capitale della
Papua Nuova Guinea, Port Moresby. Il missionario è stato aggredito vicino
all’Istituto Xavier di Bomana, dove negli ultimi tre anni aveva ricoperto
l’incarico di coordinatore dei corsi pastorali. Il religioso è stato colpito
con una lancia di acciaio mentre stava guidando un furgone, a bassa velocità e
con il finestrino abbassato per parlare con i venditori del mercato ambulante.
Tre giovani che erano ubriachi lanciavano pietre e altri oggetti contro le
macchine di passaggio. Uno di loro ha scagliato una lancia contro la vettura
del religioso, che lo ha colpito alla testa uccidendolo sul colpo. La polizia è
intervenuta tempestivamente e lo ha portato al Port Moresby General Hospital,
dove però hanno solo constatato il suo decesso.
Suor Leonella Sgorbati,
missionaria della Consolata, italiana, 66 anni, è stata uccisa il 17 settembre
2006 a Mogadiscio (Somalia) colpita a morte mentre si recava all’ospedale in
cui prestava servizio, da alcuni sicari che si erano appostati dietro una
automobile. La religiosa nel 1970 era stata inviata in Kenya, dal 1970 al 1983
aveva prestato servizio negli ospedali della Consolata di Mathari, di Nyeri e
di Nazareth, alla periferia di Nairobi. Nel 1985 era diventata l’insegnante
principale nella scuola d’infermiera presso l’ospedale Meru di Nkubu. Il 26
novembre 1993 era stata eletta superiore regionale delle missionarie della
Consolata del Kenya, compito che ha svolto per 6 anni. Nel 2001 Suor Leonella
aveva trascorso diversi mesi a Mogadiscio per verificare la possibilità di
creare una scuola infermieristica nell’ospedale locale gestito da una Ong. Il
18 aprile 2002 erano iniziati i primi corsi della scuola professionale, i primi
allievi si sono diplomati nel 2006. In agosto, vincendo forti resistenze
burocratiche, suor Leonella era riuscita a ottenere per i propri allievi un
diploma internazionalmente riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità.
Don Ricardo
Antonio Romero, 53 anni, salvadoregno, è stato ucciso all’alba del 25 settembre
2006 a colpi di pietra e bastone, mentre stava percorrendo la strada che
congiunge Acajutia a Sonsonate (El Salvador). Il corpo senza vita è stato
trovato vicino alla sua jeep. La polizia sospetta che l’omicidio sia stato
compiuto da una delle bande giovanili che imperversano nella zona. Il sacerdote
era parroco di Santa Catarina Masahuat, diocesi di Sonsonate, ed era molto
conosciuto soprattutto per l’instancabile opera di evangelizzazione che portava
avanti e l’assistenza ai poveri e ai più bisognosi.
Don Pascal Koné
Naougnon, 51 anni, della diocesi del Callao (Perù) è stato ucciso il 31 ottobre
2006 a Divo, in Costa d’Avorio, dove si trovava missionario dal 2003.
È stato vittima
di un tentativo di rapina nella casa parrocchiale della parrocchia della Sacra
Famiglia di Divo: stava per coricarsi quando, insospettito da alcuni rumori
provenienti dal salotto, è andato ad accertarsi di cosa stesse succedendo e si
è trovato faccia a faccia con i banditi che non hanno esitato a sparare.
Portato dai suoi confratelli nel vicino ospedale, il sacerdote è morto per le
gravi ferite riportate. Nato a Bouaké (Costa d’Avorio) in una famiglia
animista, a 12 anni aveva chiesto di ricevere il battesimo. A 25 anni entrò a
far parte del Cammino neocatecumenale, e qui scoprì la sua vocazione al sacerdozio.
Nel 1990, dopo aver partecipato a un incontro internazionale, venne mandato in
seminario in Perù, nel seminario Redemptoris Mater del Callao. Nel 1999 fu
ordinato sacerdote e ha svolto il suo ministero sacerdotale in diverse zone del
Perù, dove si distinse per il suo carattere generoso e lo spirito di servizio.
Nel 2003, su richiesta del vescovo di Gagnoa, don Pascal fu inviato a servire
la chiesa ivoriana e nella parrocchia “Sacra Famiglia” di Divo. Si fece
apprezzare da tutti per il suo stile semplice e il suo impegno per la
promozione umana. Seguiva in particolare i giovani, che avevano abbandonato la
scuola, offrendo una formazione tecnica per trovare un lavoro.
Padre Waldyr dos
Santos, gesuita brasiliano, 69 anni, e la volontaria laica portoghese Idalina
Neto Gomes, 30 anni, sono stati uccisi alle prime ore del 6 novembre 2006 da un
gruppo di uomini armati che ha assalito la residenza di Angonia, nella
provincia di Tete (Mozambico), ferendo altre due persone. Gli assalitori, dopo
aver rubato denaro e altri oggetti, sono fuggiti a bordo delle auto della
comunità. Idalina Neto Gomes, avvocato, faceva parte dell’associazione
portoghese “Laici per lo sviluppo” e si trovava nella comunità dei gesuiti con
altri membri dell’associazione. In questa zona di frontiera tra Mozambico,
Malawi, Zambia e Zimbabwe, la delinquenza ha ripetutamente colpito le missioni
cattoliche e le comunità religiose. I gesuiti hanno una lunga storia in questo
territorio, e si dedicano all’evangelizzazione, all’educazione, alla sanità e
ai progetti sociali per lo sviluppo della popolazione.
Jacob Fernandez,
laico cattolico, gestore della libreria annessa al Santuario del Monte di San
Tommaso a Chennai, nello stato del Tamil Nadu (India), il 26 novembre 2006 è
stato aggredito senza motivo mentre era sul posto di lavoro, da un uomo che lo
ha ucciso a colpi di machete. Secondo la ricostruzione, l’uomo, in uno stato di
esaltazione violenta, chiedeva di incontrare il parroco e gridava rivendicando
la proprietà indù del colle dove sorge il santuario. La polizia ha arrestato
l’omicida definendolo “mentalmente instabile”. Secondo le testimonianze di
alcuni fedeli che lo conoscevano, Jacob, che lascia la moglie e tre figli, era
un laico cattolico molto devoto, che partecipava ogni mattina alla santa messa
nel santuario, e viveva la sua vita come una missione.
Johnny Morales,
34 anni, Cooperatore Salesiano del Guatemala, è stato ucciso l’8 dicembre 2006
in seguito a una imboscata che gli è stata tesa mentre usciva dal lavoro. Il
veicolo sul quale si trovava è stato crivellato di proiettili sparati da vari
punti che hanno provocato la sua morte immediata. Johnny Morales collaborava
con il “Centro Salesiano P. Sergio Checchi” insieme a sua moglie, anche lei
Cooperatrice Salesiana nello stesso Centro. Si erano sposati appena un anno fa.
Johnny lavorava nella Segreteria dell’Amministrazione Tributaria (SAT) e solo
due giorni prima era stato destinato alla frontiera di Tecún Umám (Messico),
dove c’è un elevato livello di narcotraffico e contrabbando.
La causa del
crimine sembra vada ricercata proprio nella sua integrità, in quanto avrebbe
rifiutato di compiere atti illeciti.