SEMPLICITÀ VIRTÙ
DA RISCOPRIRE
ESSERE SEMPLICI NON
È COSÌ SEMPLICE
La semplicità è la virtù della persona
che è priva di artificio e affettazione, che non finge e non è preoccupata
della propria immagine o della propria reputazione, che non è mossa da calcolo,
è trasparente e naturale. Ma per viverla bisogna tornare all’essenziale,
semplificando tanti aspetti della propria vita.
La vita moderna,
società di spettacolo e di consumo, segnata dalla complessità e
dall’abbondanza, fa sentire forse in modo più acuto il bisogno di ritorno
all’essenziale, di riduzione della complessità, di semplificazione della vita
stessa: nell’organizzazione della nostra esistenza, nei rapporti
interpersonali, nel nostro modo di pensare e considerare la realtà. Sembra
inoltre che di maggior semplicità si senta il bisogno anche quando si leggono
le analisi, spesso acute e dettagliate, sui vari aspetti della vita religiosa,
oggi, e si ipotizzano proposte per far fronte ai problemi del momento... In
fondo, gli istituti religiosi dove le cose funzionano bene si assomigliano un
po’ tutti (mentre le situazioni di crisi presentano ciascuna una propria
specificità), la vita di consacrazione autentica è in realtà qualcosa di
semplice e ciò fa apparire non necessario riproporre ogni volta elaborate
sintesi teologiche e approfonditi richiami dottrinali. La stessa vita
cristiana, in definitiva, è qualcosa di semplice sia nella sua formulazione che
nella traduzione pratica, come sottolinea spesso Benedetto XVI, il quale ci
ricorda anche che «il segno di Dio è la semplicità».1
LA PERSONA
SEMPLICE
Volendo
descrivere la semplicità, si può affermare che essa si riscontra nella persona
che è priva di artificio e affettazione, che non finge e non è preoccupata
della propria immagine o della propria reputazione, che non è mossa da calcolo,
è trasparente e naturale. Semplicità è oblìo di sé, autenticità, distacco,
serenità, modestia; suoi opposti sono il narcisismo, la presunzione, il
sussiego, il fasto, lo snobismo, l’artificio, la doppiezza, la complessità. La
semplicità è quiete contro inquietudine, leggerezza contro gravità, spontaneità
contro riflessione. «La semplicità non è una virtù che si aggiunge
all’esistenza. È l’esistenza stessa, in quanto nulla vi si aggiunge. Sicché è
la più lieve delle virtù, la più trasparente, e la più rara. È il contrario
della letteratura: è la vita senza discorsi e senza menzogne, senza
esagerazione, senza magniloquenza. È la vita insignificante, e la vera».2
Parlando di
semplicità si affaccia spontaneamente alla mente l’immagine del bambino: egli
si presenta come una persona ridotta alla sua espressione più semplice, è la
vita senza menzogne o esagerazioni, è libertà e leggerezza, è incuranza, è
immediatezza. J. Guitton parla della semplicità – pur non citandola
espressamente – quando, in un’immaginaria Lettera a un bimbo piccolo, così si
rivolge a lui: «I grandi ti insegneranno lo sforzo. Tu insegnerai loro l’atto
dell’abbandono che si chiama grazia. Noi ti daremo le regole. Tu, in cambio, ci
darai la tua fantasia, la tua innocenza. Ti imponiamo la nostra gravità, tu ci
insegni l’allegria. Ti spieghiamo che tutto è più difficile di quanto tu creda.
E tu insegni alle nostre fronti già coperte di rughe che tutto è più facile di
quanto non si fosse creduto!».3
SEMPLICITÀ
E VITA CRISTIANA
Nella
prospettiva della vita cristiana, la semplicità – che è sinonimo di verità,
abbandono, umiltà, spirito di infanzia – esprime un atteggiamento fondamentale
di chiunque voglia essere fedele al Vangelo. La semplicità, infatti, appare un
tratto caratteristico e originale di Gesù: nelle parole, nei gesti, nel suo
stile di vita. Per questo, ogni virtù cristiana, senza di essa, mancherebbe
dell’essenziale: cosa vale una carità ostentata, un’umiltà ricercata, un
coraggio soltanto dimostrativo, una povertà scelta per protesta?
Semplicità e
spirito di infanzia si richiamano a vicenda; ciò spiega perché Gesù raccomanda
di essere come i bambini,4 perché il loro è uno stato di abbandono, non sono
presi dall’impazienza di crescere e di fare, non sono segnati dalla serietà del
vivere. Sono l’immagine più eloquente e convincente di quell’atteggiamento
evangelico descritto da Gesù quando dice: “Guardate gli uccelli del cielo...
Osservate come crescono i gigli del campo...” (Mt 7,26-28).
La semplicità
peraltro non è certamente virtù infantile, è piuttosto infanzia ritrovata,
riconquistata, frutto di dominio di sé e di progressiva liberazione dall’amor
proprio, si impara poco alla volta, è frutto di ascesi, si alimenta
costantemente alle fonti della parola di Dio e della vita dei santi. In quanto
tratto eminentemente evangelico, essa traspare in ogni comportamento del
cristiano e nella vita della Chiesa. Si può fare qualche esempio.
La semplicità fa
sì che la Chiesa, nel suo rapporto con il mondo, preferisca in tutto il vangelo
agli artifici della politica umana e si presenti al mondo con quello stile
sobrio, semplice, diretto, concentrato sull’essenziale che caratterizza in modo
tanto evidente lo stile di papa Benedetto XVI. Questo papa si presenta come un
cristiano dalla personalità accattivante, dotato di saggezza, semplicità,
umanità; un uomo dal cuore grande, che è sempre pienamente se stesso, nella
semplicità e gentilezza dei suoi atteggiamenti, nella serenità e mitezza che
traspaiono dal suo volto.
La semplicità
dovrebbe trasparire nelle nostre liturgie, accompagnata a decoro e buon gusto,
così da evitare pesantezze e oscurità nei riti, nelle parole, negli ornamenti
delle chiese.
La semplicità
evangelica caratterizza uno stile di esercizio dell’autorità che rifugge dalle
tattiche, dallo sfoggio di titoli e insegne, da ogni forma di privilegio, e si
caratterizza per il tratto umile e di servizio.
Anche il nostro
parlare e i rapporti interpersonali guadagnano in autenticità quando sono
ispirati a semplicità. Essa ci porta, infatti, a evitare ostentazioni di
sentimenti che non si provano, forme di servilismo e piaggeria, la retorica
vuota del discorso e il ricorso a espressioni linguistiche che suonano come
frasi fatte e di moda,5 la falsa modestia che cela la compiacenza vanitosa.
L’enfasi orna, complica: quando le parole non vengono dal cuore e rimbalzano
come un’eco lontana, si impone autocontrollo e sobrietà.
LA SEMPLICITÀ
DERISA
La semplicità
non va confusa con l’ingenuità, la sprovvedutezza, la dabbenaggine,
l’infantilismo. Ciò che impedisce che degeneri in simili atteggiamenti è il
fatto che essa è sempre congiunta alla virtù della prudenza: questa fa sì che
lo sguardo dell’uomo non si lasci ingannare dal sì o dal no della volontà, ma
fa dipendere il sì o il no della volontà dalla verità, da come stanno veramente
le cose,6 perché la realizzazione del bene presuppone la conoscenza e la
valutazione obiettiva della realtà concreta.
È facile
immaginare che chiunque si presentasse non tanto come una persona semplice
quanto piuttosto ingenua o sprovveduta sarebbe oggetto di derisione e
compatimento, considerata alla stregua di chi non sa curare i propri interessi,
è facilmente manipolabile, uno che non farà strada nella vita... Detto questo,
però, occorre aggiungere che la persona genuinamente semplice – cioè colei che
vive la semplicità secondo lo spirito evangelico – può comunque essere
sottovalutata o guardata con una certa aria di sufficienza, quasi si tratti di
un soggetto un po’ fuori moda e che non sta al passo con i tempi. D’altra
parte, questo è sempre il destino di chi è autenticamente cristiano e segue
l’esempio di Gesù “mite e umile di cuore”. In un mondo segnato dalla brama di
potere, di successo, di affermazione – e a questo non sfugge a volte anche il
mondo ecclesiastico – può dunque capitare che la semplicità sia poco
apprezzata, guardata con diffidenza, ritenuta poco funzionale e, infine, anche
più o meno apertamente derisa. Ecco allora che si tende a servirsi del proprio
ruolo come di uno schermo dietro il quale proteggersi; si adotta uno stile
allusivo, un dire e non dire, che non appare necessario né dettato dalla
prudenza; si assume un atteggiamento reticente e un’aria di gravità come di chi
è chiamato a svolgere un compito assai difficile e di grande responsabilità; ci
si guarda dal manifestare i propri sentimenti per non esporsi alla critica o al
pericolo di essere considerati dei deboli; alla comunicazione diretta con la
persona interessata si preferisce l’informazione indiretta o generica; al
parlare semplice e piano si preferisce il linguaggio ricercato e ad effetto.
Merita di essere
citata, a questo riguardo, una pagina di s. Gregorio Magno per rendersi conto
di quanto essa sia sempre attuale. Nel suo Commento al libro di Giobbe, il
santo sottolinea come venga derisa la semplicità di Giobbe. Scrive infatti: «Ma
“viene derisa la semplicità del giusto” (Gb 12,4 volg.). La sapienza di questo
mondo sta nel coprire con astuzia i propri sentimenti, nel velare il pensiero
con le parole, nel mostrare vero il falso e falso il vero. Al contrario, la
sapienza del giusto sta nel fuggire ogni finzione, nel manifestare con le
parole il proprio pensiero, nell’amare il bene così com’è, nell’evitare la
falsità, nel donare gratuitamente i propri beni, nel sopportare più volentieri
il male che farlo, nel non cercare di vendicarsi delle ingiurie, nel ritenere
un guadagno l’offesa subìta a causa della verità. Ma questa semplicità del
giusto viene derisa, perché la purezza di intenzione è creduta stoltezza dai
sapienti di questo mondo. Infatti tutto ciò che si fa con innocenza, è ritenuto
da questi senz’altro una cosa stolta, e tutto ciò che la verità approva
nell’agire, suona come sciocchezza per la sapienza di questo mondo”.7
LA SEMPLICITÀ
DEI SANTI
Noi parliamo
della semplicità, ma i santi l’hanno vissuta e testimoniata. Conviene, dunque,
rivolgere a loro l’attenzione per comprenderla meglio e apprezzarla di più.
Naturalmente, qui è possibile limitarsi soltanto a qualche esempio.
San Francesco
amò sempre e in modo particolarissimo la pura e santa semplicità in se stesso e
negli altri. Tommaso da Celano ci ha lasciato una testimonianza significativa:
«Il Santo praticava personalmente con cura particolare e amava negli altri la
santa semplicità, figlia della grazia, vera sorella della sapienza, madre della
giustizia. Non che approvasse ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che,
contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto.
È quella che
pone la sua gloria nel timore del Signore, e che non sa dire né fare il male.
La semplicità che esamina se stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno,
che non desidera per sé alcuna carica, ma la ritiene dovuta e la attribuisce al
migliore. Quella che non stimando un gran che le glorie della Grecia,
preferisce l’agire all’imparare o all’insegnare. È la semplicità che in tutte
le leggi divine lascia le tortuosità delle parole, gli ornamenti e gli orpelli,
come pure le ostentazioni e le curiosità a chi vuole perdersi, e cerca non la
scorza ma il midollo, non il guscio ma il nòcciolo, non molte cose ma il molto,
il sommo e stabile Bene.
È questa la
semplicità che il Padre esigeva nei frati letterati e in quelli senza cultura,
perché non la riteneva contraria alla sapienza, ma giustamente sua sorella
germana, quantunque ritenesse che più facilmente possono acquistarla e
praticarla coloro che sono poveri di scienza. Per questo, nelle Lodi che
compose riguardo alle virtù, dice: “Ave, o regina sapienza. Il Signore ti salvi
con la tua sorella, la pura santa semplicità”».8
San Francesco di
Sales, santo della dolcezza e della mitezza, in un suo Trattenimento con le
suore della congregazione da lui fondata afferma che la semplicità «non si cura
di quello che fanno o possono fare gli altri... Questa virtù ha molta affinità
con l’umiltà... È solo l’amor proprio che ci fa guardare se quanto abbiamo
detto è stato ricevuto bene o male: la santa semplicità invece non sta dietro
alle sue parole e azioni; ma ne lascia la cura alla Divina Provvidenza, alla
quale è essenzialmente affidata. Perciò va avanti rettamente per il suo cammino
senza guardare né a destra né a sinistra».9 E poco più avanti il santo
aggiunge: «Colui che è attento a piacere amorosamente all’Amante Divino, non ha
il tempo per ritornare con affanno su se stesso: poiché l’anima sua tende
continuamente dove l’attrae l’amore. Questo esercizio di abbandono continuo in
Dio, nella sua semplicità, comprende eminentemente tutta la perfezione degli
altri esercizi: e poiché la pratica di esso è gradita a Dio, dobbiamo usarlo di
preferenza su tutte le altre pratiche».10
L’abbandono alla
volontà di Dio in santa semplicità segna tutta la vita di s. Teresa di Gesù
bambino, come si può facilmente ricavare da ogni pagina della sua
autobiografia. In una sua poesia, immagina che la Madonna si rivolga a una
postulante dicendole che «la virtù che in te veder m’è caro – sovra ogni altra,
è la semplicità»;11 quando poi un giorno sr. Agnese la invita a dire qualche
parola edificante al medico della comunità, rispose: «Oh! Madre mia, questo non
è il mio metodo... Io non amo che la semplicità; il contrario mi fa orrore».12
Infine, non si
può non citare papa Giovanni XXIII, il quale deve soprattutto alla sua bontà e
semplicità il fascino che sempre ha esercitato su chi l’ha potuto incontrare e
continua a esercitare su chi lo accosta attraverso i suoi scritti. «Per questo
papa bastava avere dei concetti semplici, avere un sonno tranquillo,
abbandonarsi al Signore come un bambino ed essere senza ambizioni e umile».13
Annota nel suo Il Giornale dell’anima: «l’essere semplice, senza pretesa
alcuna, a me costa nulla. È una grande grazia che il Signore mi fa. Voglio
continuare, ed esserne degno».14
È difficile
resistere al piacere di offrire un’ampia spigolatura di citazioni raccolte dai
suoi scritti, dove egli richiama ed esalta la virtù della semplicità...; mi
limito quindi a due sole citazioni.
Durante il
ritiro annuale nel novembre del 1948 faceva questa riflessione: «Più mi faccio
maturo d’anni e di esperienze, e più riconosco che la via più sicura per la mia
santificazione personale e per il miglior successo del mio servizio alla Santa
Sede, resta lo sforzo vigilante di ridurre tutto, principii, indirizzi,
posizioni, affari, al massimo di semplicità e di calma... Oh, la semplicità del
Vangelo, del libro della Imitazione di Cristo, dei Fioretti di s. Francesco,
delle pagine più squisite di s. Gregorio, nei Morali: “Deridetur justi
simplicitas”, con quel che segue! Come sempre più gusto quelle pagine, e torno
ad esse con diletto interiore! Tutti i sapienti del secolo, tutti i furbi della
terra, anche quelli della diplomazia vaticana, che meschina figura fanno, posti
nella luce di semplicità e di grazia che emana da questo grande e fondamentale
insegnamento di Gesù e dei suoi santi! Questo è l’accorgimento più sicuro che
confonde la sapienza del mondo, e si accorda ugualmente bene, anzi meglio, con
garbo e con autentica signorilità, a ciò che vi è di più alto nell’ordine della
scienza, anche della scienza umana e della vita sociale, in conformità alle
esigenze di tempi, di luoghi e di circostanze. “Hoc est philosophiae culmen:
simplicem esse cum prudentia”. Il pensiero è di san Giovanni Crisostomo, il mio
grande patrono d’oriente. Signore Gesù, conservatemi il gusto e la pratica di
questa semplicità che, tenendomi umile, mi avvicina di più al vostro spirito ed
attira e salva le anime».15
Ormai papa e
vicino al compimento degli ottant’anni, scriveva questa pagina straordinaria,
quasi sintesi di una saggezza accumulata con il trascorrere degli anni:
«Comunemente si crede e si approva che il linguaggio anche familiare del papa
sappia di mistero e di terrore circospetto. Invece è più conforme all’esempio
di Gesù la semplicità più attraente, non disgiunta dalla prudenza dei savi e
dei santi, che Dio aiuta. La semplicità può suscitare, non dico disprezzo, ma
minor considerazione presso i saccenti. Poco importa dei saccenti, di cui non
si deve tener calcolo alcuno, se possono infliggere qualche umiliazione di
giudizio e di tratto: tutto torna a loro danno e confusione. Il “simplex,
rectus et timens Deum” è sempre il più degno e il più forte. Naturalmente,
sostenuto sempre da una prudenza saggia e graziosa. Quegli è semplice che non
si vergogna di confessare il Vangelo anche in faccia agli uomini che non lo
stimano se non come una debolezza e una fanciullaggine, e di confessarlo in
tutte le sue parti, e in tutte le occasioni, e alla presenza di tutti; non si
lascia ingannare o pregiudicare dal prossimo, né perde il sereno dell’animo suo
per qualunque contegno che gli altri tengano con lui... La semplicità non ha
nulla che contraddica alla prudenza, né viceversa. La semplicità è amore, la
prudenza è pensiero. L’amore prega, l’intelligenza vigila. Vigilate et orate».
Conciliazione perfetta. L’amore è come la colomba che geme, l’intelligenza
operativa è come il serpente che non cade mai in terra, né urta, perché va tastando
col suo capo tutte le ineguaglianze del suo cammino».16
«Splendore di
ciò che è semplice!», affermava Heidegger, anche se tutti siamo consapevoli che
«non è così semplice essere semplice» (P. Reverdy). Eppure, «che cosa di più
semplice della semplicità? Cosa di più leggero? È la virtù dei saggi e la
saggezza dei santi».17
Aldo Basso
1 Benedetto XVI,
Omelia della Messa di mezzanotte di Natale, 25 dicembre 2006.
2
Comte-Sponville A., Piccolo trattato delle grandi virtù, Casa Editrice
Corbaccio, Milano 1996, 174.
3 GUITTON J,
Lettere aperte, Mondadori, Milano 1995, 40.
4 Mt 18,3.
5 Anche nel
campo ecclesiale si vanno diffondendo frasi fatte, luoghi comuni, slogan
stantii: un campionario linguistico che viene ormai designato con il termine
ecclesialese. Gli esempi abbondano: intercettare i bisogni, passaggi epocali,
opzione preferenziale, ottica comunionale, atteggiamenti profetici, lasciarsi
provocare dalle urgenze...
6 Cf. Pieper J.,
Sulla Prudenza, Morcelliana, Brescia 1956.
7 Cf. Liturgia
delle Ore, seconda lettura del venerdì della ottava settimana del Tempo
ordinario.
8 Tommaso da
Celano, “Vita seconda di s. Francesco d’Assisi”, in Fonti Francescane, Assisi
1977, n. 189.
9 Francesco di
Sales, Trattenimenti spirituali, Pia Società S. Paolo, Roma 1941, 217.
10 Ibidem, 225.
11 S. Teresa di
Gesù bambino, Storia di un’anima, L.I.C.E., Torino 1943, 448.
12 Ibidem, p.
328.
13 Guitton J, Il
libro della saggezza e delle virtù ritrovate, Piemme, Casale Monferrato 1999,
257.
14 Giovanni
XXIII, Il giornale dell’anima, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1964,
284.
15 Ibidem, pp.
275-276.
16 Ibidem, pp.
314-315.
17
Comte-Sponville A., Piccolo Trattato, 182.