VISITA DI CHRISTODOULOS A ROMA

SI APRE UNA NUOVA TAPPA

 

La venuta a Roma del patriarca ortodosso della Chiesa greca, Christodoulos, ha messo in risalto la necessità di avviare con urgenza una nuova fase nel dialogo ecumenico. Urgenza ribadita in una dichiarazione comune in dodici punti per un cammino verso la piena comunione.

 

A margine della tradizionale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), un appuntamento che, per non ridursi a un mero rituale da consumare sin troppo tranquillamente, ha bisogno di essere investito delle domande più urgenti, per provare a verificare lo stato di salute delle relazioni fra cattolici e ortodossi. Con l’impressione speranzosa, va detto da subito, che stia finalmente accadendo qualcosa di rilevante, dopo una lunga stagione di “stanca” (o di conflittualità aperta). Si potrebbe anzi pensare a una sorta di trittico che, nell’arco di poco meno di un trimestre, ha saputo riaprire al più alto livello i canali di comunicazione fra le due chiese, sino ad allora perlomeno inceppati.

Il primo quadro è stato rappresentato dalla IX sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la chiesa cattolica e la chiesa ortodossa nel suo insieme, svoltasi presso Belgrado dal 18 al 25 settembre 2006 e chiusasi con parecchi stimoli e reciproca soddisfazione; il secondo ha visto gli intensi colloqui e l’abbraccio fraterno tra Benedetto XVI e il patriarca ecumenico Bartolomeo I al Fanar, in occasione dell’attesissimo viaggio pontificio in terra turca di fine novembre. Il terzo quadro, infine, è coinciso con la visita romana di quattro giorni dell’arcivescovo di Atene e patriarca di tutta la Grecia, Christodoulos, culminata il 14 dicembre con l’incontro con papa Ratzinger e la firma di una dichiarazione comune. Fra l’altro, era la prima volta di un primate greco accolto in Vaticano. Qualche commentatore si è spinto a parlare di chiodo fisso per il nuovo pontefice, che sin dai primi discorsi dopo l’elezione ha fornito la netta impressione di voler lasciare un’impronta nella storia del cristianesimo soprattutto per il rilancio dei rapporti con le altre chiese: evidenziando, tra l’altro, che non basteranno buoni sentimenti ma occorreranno “gesti concreti”, e la purificazione delle reciproche memorie. Fra le altre chiese, per molte ragioni, ai suoi occhi quella ortodossa sembra decisamente rivestire una priorità: ma non certo per la facilità dell’impresa! Si tratta infatti di cercare di sanare una distanza allargatasi in oltre mille anni (lo scisma risale, com’è noto, al 1054): il processo, c’è da prevederlo, sarà dunque lungo e delicato, poiché vi sono alla base divisioni cronicizzate dalla storia, differenti percorsi culturali e, non ultimi, insoluti nodi teologici e dottrinari. Ma anche questioni più recenti, sorte in seguito all’esaurimento del regime comunista nei paesi dell’est Europa, quasi tutti a gran maggioranza figli dell’ortodossia.

 

URGENZA

DI UN DIALOGO

 

«Il tempo stringe»: ecco, è tutta in questo slogan l’urgenza di un dialogo che non può più attendere ancora. A pronunciarla nell’occasione è stato lo stesso Christodoulos, aggiungendo inoltre con la necessaria parresìa che «nel corso della storia le relazioni tra le nostre chiese non sono state delle migliori o non hanno mostrato ciò che l’amore cristiano chiedeva». D’altra parte, egli ha voluto ricordare «il cammino degli ultimi quarant’anni di mutua comprensione, riconciliazione e di pacificazione» che «la chiesa di Grecia appoggia pienamente, considerandolo il contributo di eccellenza alla questione dell’unità dei cristiani»

Secondo l’arcivescovo, è stata specificamente la positiva visita di Giovanni Paolo II ad Atene nel 2001 a fornire materia di riflessione al clero e al popolo greco ortodosso, aprendo nuovi cammini di collaborazione creativa e fraterna nel contesto della nuova realtà europea. Cammini che si chiamano oggi soprattutto, a suo parere, bioetica, istruzione, ecologia, pace, ma anche «opposizione alla secolarizzazione del messaggio cristiano e l’impegno per instaurare la giustizia di Dio nella nostra casa comune che è l’Europa, continente che ha sete di Cristo».

Questo ulteriore appuntamento «segna una nuova tappa del percorso comune delle nostre chiese per affrontare i problemi del mondo»: così Christodoulos si è rivolto a Benedetto XVI, al momento del primo approccio fra i due. Egli ha scelto di salutare il papa di Roma rievocando i contatti tra le delegazioni della chiesa greca e della Santa Sede, in particolare dal 2002: «Questo ricordo e la speranza di superare gli ostacoli dogmatici che impediscono il cammino dell’unità nella fede, rafforzano la nostra volontà di vivere in piena unità. Al riguardo speriamo molto che la Commissione mista internazionale appositamente incaricata riesca nel suo lavoro». Ha quindi ravvisato nella «scristianizzazione dell’Europa, nell’esclusione della Chiesa dalla vita pubblica, nelle migrazioni, nel divario tra ricchi e poveri, nel rischio di uno scontro tra civiltà e religioni e nello svilimento dell’essere umano, le sfide da affrontare». «La Chiesa – è stata la sua conclusione – deve opporsi allo stato e alle superpotenze quando le loro decisioni intaccano l’immagine di Dio, pur senza cedere alla tentazione di sentirsi una potenza».

«Le nostre relazioni riprendono lentamente, ma in profondità, e con una cura di autenticità. Sono per noi l’occasione di scoprire una gamma di nuove espressioni spirituali ricche nel significato e nell’impegno comune». Si è richiamato all’epistolario dell’apostolo Paolo, Benedetto XVI, per salutare a propria volta l’illustre ospite. «Nella prima Lettera ai Corinzi, i primi a conoscere le difficoltà e le tentazioni della divisione – ha infatti evocato il pontefice – vediamo un messaggio attuale per tutti i cristiani. Un pericolo reale quando delle persone vogliono identificarsi in questo o quel gruppo, “io sono di Paolo, io sono di Apollo, io di Cefa”. La Grecia e Roma intensificarono le loro relazioni e proseguirono i loro rapporti che hanno dato diverse forme di comunità e di tradizioni cristiane». Volgendo lo sguardo all’avvenire, egli ha quindi parlato della centralità strategica del riferimento all’Europa: «Mentre diversi paesi europei lavorano alla creazione di una nuova Europa che non può essere una realtà esclusivamente economica, cattolici e ortodossi hanno il dovere di difendere le radici cristiane dell’Europa»; operando a una voce a favore dei diritti umani, e «in particolare della libertà religiosa».

 

DICHIARAZIONE

CONGIUNTA

 

La dichiarazione congiunta con cui ha avuto termine il caloroso incontro ha compreso dodici punti, stilati in primo luogo al fine di ribadire l’urgenza del dialogo per ristabilire la piena unità, di rinnovare il desiderio di annunciare Cristo al mondo e soprattutto alle nuove generazioni, e di esortare tutti i capi religiosi a lavorare per il dialogo interreligioso. Ma anche di rendere l’omaggio dovuto ai progressi scientifici, con l’invito a rispettare il carattere sacro della persona umana e della sua dignità («è necessario non sfruttare in maniera abusiva la creazione, che è l’opera di Dio»), e di esortare sia a difendere i diritti umani sia a riconoscere le radici cristiane del vecchio continente. Il testo esprime poi l’auspicio di riuscire a fornire una testimonianza apostolica al mondo, consapevoli di avere una responsabilità comune nel superare le molteplici difficoltà e la memoria di non poche esperienze dolorose del passato. «Nostro compito – si legge in effetti nel documento – è quello percorrere l’arduo cammino del dialogo nella verità per ristabilire la piena comunione. Speriamo che il dialogo teologico bilaterale formuli delle proposte accettate da una parte e dall’altra in spirito di riconciliazione». Riaffermando «la necessità di perseverare nel cammino di un dialogo teologico costruttivo» Christodoulos e Benedetto XVI hanno infine rinnovato «il desiderio di annunciare al mondo il Vangelo specie ai giovani» ed esortato i leader religiosi «a rafforzare il dialogo tra le religioni e a lavorare per una società di pace», adoperandosi attivamente affinché le fedi non siano in alcun modo dei focolai di intolleranza e di violenza.

Nei giorni precedenti, non erano mancati altri momenti significativi della visita romana del primate greco. In particolare, andrà citato un gesto dal forte valore simbolico: il dono allo stesso Christodoulos nella basilica di San Paolo fuori le Mura di una porzione delle catene con cui, secondo un’antica tradizione, sarebbe stato imprigionato l’apostolo delle genti. «Riceviamo questo frammento come una reliquia molto preziosa – ha ringraziato – poiché la Grecia è fiera di avere l’apostolo Paolo come padre spirituale e dottore, di essere stata iniziata da lui alla verità del Vangelo, e non soltanto essa ma l’Europa intera». L’arcivescovo aveva quindi espresso l’auspicio che gli anelli di quella stessa catena, sin qui regolarmente portati in processione all’interno della basilica romana e nel quartiere di San Paolo, «siano il legame infrangibile che unisce l’Oriente e l’Occidente». Alla pontificia Università lateranense, poi, gli è stata consegnata una laurea honoris causa in diritto civile e canonico.

 

RAGIONI

DELL’URGENZA

 

Ma perché, ci si può chiedere a questo punto, è così decisivo, oggi più che mai, questo percorso “ut unum simus”? Oltre agli ovvi motivi teologici e il rischio di una controtestimonianza evangelica, il fatto è che, a causa dei massicci fenomeni migratori (ma non solo per questo!), l’Europa sta vivendo un pluralismo religioso e culturale che dovrebbe spingere i cristiani a interrogarsi tanto su come contribuire a un incontro tra religioni e culture accelerando sul dialogo interreligioso, quanto su come annunciare a una voce il vangelo alle donne e agli uomini delle altre religioni. In tal senso, è arduo immaginare che si possa andare avanti nel dialogo ecumenico se non si conosce e vive il proprio cristianesimo in modo pieno e autentico, e senza ansie identitarie!

Certo, nel panorama dei rapporti col complesso e autocefalo universo ortodosso, resta bruciante il contenzioso giuridico-pastorale tuttora aperto con la chiesa russa guidata da Alessio II, col caso degli uniati e le accuse di proselitismo sin dal tempo di Giovanni Paolo II, su cui – almeno ufficialmente – non appaiono novità rilevanti. Possiamo registrare però, al riguardo, qualche voce ottimistica, come quella del cardinale Achille Silvestrini, prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, già segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa, una delle personalità della Santa Sede maggiormente esperta di questioni diplomatiche e di rapporti multilaterali. Il quale, a margine dei giorni turchi di Benedetto XVI, ha commentato: «La strada dell’unità con gli ortodossi ha avuto un’importante conferma dal viaggio del Santo Padre in Turchia e dai discorsi scambiati con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. In questo senso non vedrei improbabile che il percorso verso l’unità possa allargarsi presto con un incontro del papa con il patriarca ortodosso di Mosca Alessio II».

Una volta di più, in ogni caso, è necessario ammettere che il cammino ecumenico, questo “dono al mondo del ventesimo secolo”, sarà chiamato a fare nei prossimi anni ancora diversi passi, per compiere i quali non vanno sottaciute le svariate problematiche a tutt’oggi assai scottanti: basti pensare, per fare solo un esempio, al caso dell’intercomunione, triste ferita e, insieme, fotografia realista di una comunione ben di là da venire. Nel contempo, però, sta altresì aumentando la speranza che il barometro del dialogo, finalmente, dopo tanto inverno riprenda a schiudersi alla primavera. Si tratterebbe, fra l’altro, di un viatico indispensabile anche in vista della buona riuscita della prossima Assemblea ecumenica europea, la terza della felice serie inaugurata a Basilea nel 1989 e proseguita a Graz nel 1997, che dal 4 al 9 settembre di quest’anno convocherà nella città rumena di Sibiu i delegati di tutte le Chiese del nostro continente sul tema La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e unità in Europa. Sarà la prima volta di una manifestazione del genere in un paese ortodosso: in prospettiva, un banco di prova davvero non irrilevante per le legittime ambizioni di protagonismo del polmone orientale nel futuro del cristianesimo europeo.

 

B. S.