MESSAGGIO
CONSIGLIO PERMANENTE CEI
AMARE E
DESIDERARE LA VITA
In occasione
della 29a Giornata per la vita, che quest’anno si
celebra il 4 febbraio, il Consiglio permanente della conferenza episcopale
italiana ha emanato il seguente importante messaggio:
“In principio era il Verbo, il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio. In lui era la vita e la vita era la luce degli
uomini” (Gv 1,1.4).
La Vita precede
il creato e l’uomo: l’uomo – e con lui ogni realtà vivente – è reso partecipe
della vita per un gesto di amore libero e gratuito di Dio. Ogni uomo è riflesso
del Verbo di Dio. La vita è perciò un bene “indisponibile”; l’uomo lo riceve,
non lo inventa; lo accoglie come dono da custodire e da far crescere, attuando
il disegno di Colui che lo ha chiamato alla vita; non può manipolarlo come
fosse sua proprietà esclusiva.
La vita umana
viene prima di tutte le istituzioni: lo stato, le maggioranze, le strutture
sociali e politiche; precede anche la scienza con le sue acquisizioni. La
persona realizza se stessa quando riconosce la dignità della vita e le resta
fedele, come valore primario rispetto a tutti i beni dell’esistenza, che
conserva la sua preziosità anche di fronte ai momenti di dolore e di fatica.
Chi non vuole
essere libero e felice e non fa tutto il possibile per realizzare questa sua
massima aspirazione? Ognuno ha racchiusa nel segreto del suo cuore la propria
strada verso la libertà e la felicità. Ma per tutti vale una condizione: il
rispetto della vita. Nessuno potrà conquistare libertà e felicità oltraggiando
la vita, sfidandola impunemente, disprezzandola, sopprimendola, scegliendo la
via della morte. Questo vale per tutti, ma in modo speciale per i giovani, tra
cui non manca chi sembra ricercare la libertà e la felicità con espressioni
esasperate o estreme. L’uso pervasivo delle droghe,
che in taluni ambienti sono così diffuse da essere considerate cose normali;
l’assunzione di stimolanti nella pratica sportiva; le ubriacature e le sfide in
auto o in moto e altri comportamenti analoghi non sono semplicemente gesti di
sprezzo della morte, un gioco tanto infantile quanto incosciente. No, essi
dicono soprattutto indifferenza per la vita e i suoi valori; scarso amore per
se stessi e per gli altri.
Una società che
tollera una simile deriva e non si interroga sulle cause e sui rimedi, o che la
considera una malattia passeggera da prendere alla leggera, da cui si
“guarisce” crescendo, non si rende conto della reale posta in gioco: chi da
giovane non rispetta la vita, propria e altrui, difficilmente la rispetterà da
adulto. È nostro dovere, perciò, aiutare quei giovani che si trovano in
particolare disagio e difficoltà a ritrovare la speranza e l’amore alla vita, a
guardare con fiducia e serenità a progetti di matrimonio e famiglia, a servire
la cultura della vita e non quella della morte.
Un fattore
importante che incide sulla vitalità e sul futuro della nostra società, ma
tuttora trascurato, è sicuramente oggi quello demografico: sono molti i
coniugi, infatti, che hanno meno figli di quanti ne vorrebbero. Ma, oltre alla
mancanza di politiche organiche a sostegno della natalità, resta grave nel
nostro Paese il problema della soppressione diretta di vite innocenti tramite
l’aborto, dietro al quale spesso ci sono gravi drammi umani ma a cui, a volte, si
ricorre con leggerezza. Vanno valorizzati quegli aspetti della stessa legge
194, che si pongono sul versante della tutela della maternità e dell’aiuto alle
donne che si trovano in difficoltà di fronte ad una gravidanza. Davanti alla
piaga dell’aborto tutti siamo chiamati a fare ogni sforzo per aiutare le donne
ad accogliere la vita.Il rispetto della vita, infatti, comincia dalla tutela
della vita di chi è più debole e indifeso. Nessuno può dirsi padrone e signore
assoluto della vita propria, a maggior ragione di quella altrui. Rispettare la
vita, in questo contesto, significa anche fare tutto il possibile per salvarla.
Quando pensiamo a un nascituro, vogliamo, perciò, pensare a un essere umano che
ha il diritto, come ogni altro essere umano, a vivere e a ricercare la libertà
e la felicità.
Rispettare la vita significa, ancora, mettere al primo posto la persona. La persona governa la tecnica, e non viceversa; la persona, e non la ricerca o il profitto, è il fine. Chiedere l’abolizione di regole e limitazioni che tutelano la vita fin dal concepimento in nome della libertà e della felicità è un tragico inganno, che produce al contrario la schiavitù e l’infelicità di chi lascia che a costruire il futuro siano da un lato i propri desideri soggettivi, dall’altro una tecnica fine a se stessa e sganciata da ogni riferimento etico. Occorre continuare un capillare e diffuso lavoro di informazione e sensibilizzazione per aiutare tutti a comprendere meglio il valore della vita, le potenzialità e i limiti della scienza, il dovere sociale di difendere ogni vita dal concepimento fino al suo termine naturale. Se nel cuore cerchi la libertà e aspiri alla felicità, rispetta la vita, sempre e a ogni costo.