LA STESSA ACQUA FA GALLEGGIARE O AFFONDARE
Narra una leggenda dell’antica India:«Un giorno si presentò al “maestro” un
straniero angosciato, che gli chiese: “Amo mia moglie ma non riesco a trovare
armonia con lei. Ci scontriamo continuamente. Non ci capiamo. Cosa debbo fare
per ritrovare l’armonia?”
“Ascolta ogni parola che ti dice!” gli rispose il maestro e lo congedò.
In seguito l’uomo tornò sempre preda a grande amarezza: “Maestro ho fatto
quello che mi hai suggerito: ho ascoltato tutte le parole che mia moglie mi ha
detto ma tutto è rimasto come prima: continuiamo a non capirci”.
“Adesso va a casa e ascolta tutte le parole che tua moglie non ti dice” gli
suggerì il “maestro” e sorridendo lo congedò.
L’uomo andò e fece come gli aveva suggerito il “maestro”. Le cose da quel
giorno in avanti cambiarono profondamente… nei rapporti tra i due sposi».
Non basta vedere le cose che si vedono, non basta ascoltare le parole che
si sentono… il più importante sta al di là, in quello che non si vede e non si
sente. In ognuno di noi c’è qualcosa che merita di essere sentito e a cui di
solito nessuno dà ascolto; in ciascuno di noi ci sono cose che meriterebbero di
essere viste ma alle quali nessuno presta attenzione…e magari sono le
caratteristiche più rilevanti della persona. C’è tanto sciupio di questa
umanità ignorata.
La prima umanità che ignoriamo siamo noi stessi. Sappiamo poco del nostro
corpo e molto meno del nostro potenziale spirituale. La parabola dei talenti
con quel terzo servo che nasconde sotterra quanto il talento che il padrone gli
ha dato… potremmo essere noi. Non diremo mai a sufficienza che al giudizio
finale non ci verrà chiesto perché non siamo diventati un personaggio famoso
(attore, scrittore, politico,manager…) ma perché non siamo diventati noi
stessi. Dio ha fatto un sogno su ciascuno di noi e ci ha dato gli strumenti per
realizzarlo. Sarebbe un guaio mancare a questo appuntamento.
La nostra cultura ci offre modelli standard di personalità che non tengono
conto dei valori che ogni persona custodisce ma sono funzionali al “gioco dei
ruoli” di cui ha bisogno la nostra società. Nessuno si prenderà conto di
aiutarci a diventare quello che siamo. Prendiamoci il tempo di farlo noi.
Quando una nuova creatura entra nell’avventura della vita Dio le mette a
disposizione un capitale di umanità: un corpo con capacità straordinarie, una
mente capace di intuire e di indagare, un cuore capace di sentire e di reagire
a tutti gli stimoli… Tutto questo rappresenta nell’individuo una sorta di
tastiera musicale per eseguire la sinfonia della vita, una tavolozza di colori
per poter dare alla vita i toni e le varietà giusti. Il problema è combinare le
varie note, i vari registri, i diversi colori e le loro tonalità. Dall’armonia
dei toni e dei colori si ottiene la “beatitudine” per cui esistiamo e alla
quale istintivamente tendiamo. Vizi e virtù sono i suoni e i silenzi, le luci e
le ombre di quella possibilità splendida che è la vita.
GIU’ LA MASCHERA
“La stessa acqua fa galleggiare la nave o la affonda” è il titolo e il
senso del lavoro a cui si fa qui riferimento e dice l’orientamento della
riflessione che in esso viene svolta. Non è saggio eliminare un torrente perché
nei momenti di piena rappresenta un rischio: si perderebbe la sua ricchezza.
Troppo spesso si è pensato di eliminare “il torrente” (il capitale umano che
Dio ci ha dato) o si è tentato solo di bloccarlo per la paura dei danni che ne
potrebbero venire. Ma bloccarlo è già un danno. Allo stesso tempo, troppe
potenzialità umane hanno creato dissesti nella personalità o sono rimaste
improduttive perché non educate. Siccome si tratta di un terreno difficile si è
preferito lasciare fare alla natura il suo decorso.
In Gesù noi abbiamo la realizzazione piena del sogno di Dio. Gesù ha
realizzato in modo splendido ed equilibrato il potenziale della sua personalità
umana. Non possiamo prescindere dal fare riferimento a lui.
Nel racconto di “una rapina in banca con ostaggi” si narra che i rapinatori
costrinsero i sequestrati a mettersi tuta e maschera uguali a quelle dei
rapinatori. In questo modo la polizia qualora avesse voluto fare irruzione non
sarebbe più stata in grado di distinguere i rapinatori dai sequestrati. A volte
i vizi si vestono dei panni delle virtù e allora nasce una seria confusione che
causa squilibri alla personalità. Quando la temerarietà pretende di essere il
coraggio, o il fanatismo si autopresenta come religione, l’intransigenza come
amore della verità, l’attivismo come operosità, la vigliaccheria come mitezza…
stiamo entrando nella logica della torre di Babele dove nessuno capiva nessuno.
Smascherare i travestimenti è operazione né facile né indolore. Ma è
necessaria.
La disinformazione della pubblica opinione sta creando un qualunquismo, che
ha aperto le porte a un impressionante impoverimento morale. Il ritorno delle
virtù, auspicato da più parti, potrebbe rinnovare lo stagnante clima spirituale
che pesa sulla vita delle persone e crea quel diffuso senso di disagio e di
insoddisfazione che da più parti è stato denunciato.
Abbiamo iniziato con una leggenda e con una leggenda concludiamo.
Parsimonia e Avarizia erano due vicine di casa, ma si ignoravano. Avarizia
soprattutto era infastidita dalla popolarità che l’altra godeva. Aveva fatto di
tutto per rubare all’avversaria l’attenzione che gli altri le riservavano.
Pochi o nulli i risultati. Cominciò così a pensare che fosse il suo modo di
vestirsi e di abbigliarsi. Provò addirittura a farsi fare dalla sarta abiti
simili. Risultati sempre nulli. Le si presentò l’occasione per rifarsi un
giorno in cui Parsimonia si stava bagnando al fiume. S’avvicinò di nascosto e
le sostituì gli abiti con quelli che si era fatti fare. Quando le due si
presentarono in pubblico quale non fu la sorpresa: tutti dopo aver guardato le
due si orientarono ancora verso Parsimonia. Prova che l’abito non fa il monaco.
Questo è quanto mi auguro anch’io per i lettori, che alla fine trovino il
piacere della “virtù” e una sana presa di distanza dal “vizio”.
Giuseppe Moretti