LA BEATA ELISABETTA DELLA TRINITÀ

CON IL CIELO DENTRO IL CUORE

 

A cento anni dalla scomparsa il messaggio di Elisabetta della Trinità ci invita a tornare all’interiorità per trovare la presenza, la vicinanza e l’amore infinito del Dio trino che unifica la nostra vita e le conferisce il suo vero significato.

 

Esiste nel mondo d’oggi una forte ricerca del sacro e una nostalgia di Dio. Mentre negli anni sessanta si parlava della “morte di Dio” e della “città secolare” in cui prevalevano l’individualismo, l’indifferentismo religioso e il secolarismo, ora si proclama “il ritorno di Dio”. Ciò ha comportato la riscoperta della dimensione interiore della persona umana, non come spazio per trovare rifugio e per fuggire dalla realtà, ma come luogo di incontro con il nucleo personale dove si può sperimentare Dio, radice e fondamento dell’essere e dell’agire umano. È ciò che i mistici hanno descritto come il “centro dell’anima” o “castello interiore”.

I santi sono testimoni qualificati della presenza di Dio nel cuore e del mondo e delle persone. Ognuno, a partire dalla propria esperienza mette in risalto una o l’altra prospettiva dell’incontro con Dio.

Sono appena terminate le celebrazioni del centenario della morte di suor Elisabetta della Trinità, carmelitana scalza francese, beatificata nel 1984. Elisabetta è stata una testimone della realtà della presenza del Dio trino e uno in noi; una presenza della quale ha parlato Cristo quando disse: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).

In un mondo in cui si mischia insieme il regno della superficialità che cerca il contatto esclusivo con la realtà esteriore, con il “brulicare di religiosità vaghe e di mistiche fuorviate”, la beata carmelitana ci restituisce il volto del Dio di nostro Signore Gesù Cristo: un Dio che è amore, che non vive solitario, ma che è Trinità e che ci invita a vivere uniti a lui per essere capaci di amare con amore effettivo (come il Padre), a lasciarci amare (come il Figlio) e a creare comunione (come lo Spirito). Elisabetta della Trinità ci orienta a tornare all’interiorità per trovare la presenza, la vicinanza e l’amore infinito del Dio trino che unifica la nostra vita e le conferisce il suo vero significato. La sua esperienza e la sua dottrina possono aiutare ogni cristiano e specialmente le persone consacrate a vivere una spiritualità capace di rispondere alle necessità e alle inquietudini del nostro tempo.

 

CENTRARSI NEL MISTERO

DI DIO PRESENTE IN NOI

 

Elisabetta della Trinità è figlia del suo tempo e del suo ambiente, alla fine del secolo XIX e l’inizio del XX in Francia. Vive intensamente un cattolicesimo caratterizzato da pratiche devozionali: novene al Sacro Cuore, alla Vergine, a san Giuseppe. In quel tempo occupano un posto speciale l’adorazione al Santissimo e i culti in relazione con la Passione come la Via crucis. La devozione mariana è molto intensa in seguito alle apparizioni della medaglia miracolosa e di Lourdes. La beata pratica queste devozioni ma non si ferma ad esse. Va oltre e più in profondità attraverso la presa di coscienza della inabitazione trinitaria e una preghiera di stile teresiano intesa e vissuta come dialogo di amicizia con Dio.

Quando entrò nel carmelo, Elisabetta aveva già una coscienza chiara di essere inabitata dalla Trinità e qui approfondì dal punto di vista esperienziale e dottrinale questa verità soprattutto alla luce di san Paolo e di san Giovanni della Croce il quale parla della presenza di Dio nel centro dell’anima. In una lettera scritta al canonico Angles nel 1901 esclama: «è tanto bella questa presenza di Dio! È qui, nel profondo, nel cielo della mia anima che mi piace cercarlo, poiché mai mi abbandona. “Dio in me e io in lui”. Questa è la mia vita!».1 E in altre lettere scrive: «continuo a essere unita ai Tre in tutto; qui è dove ci troviamo»,2 «mi pare di aver trovato il mio cielo sulla terra, perché il cielo è Dio, e Dio sta nella mia anima».3

Questa presenza di Dio non è una presenza estatica: «Egli è sempre vivo, opera sempre nella mia anima. Lasciamoci costruire da lui e che egli sia l’anima della nostra anima, la vita della nostra vita affinché possiamo dire con san Paolo: «Per me vivere è Cristo».4

L’incontro con Cristo e con la Trinità permette di vivere nell’intimità con lui e di trasformare la vita in un «dialogo, in uno scambio di amore… allora non si è mai soli e si sente il bisogno della solitudine per godere della presenza di questo ospite adorato».5

Questa vita centrata nella inabitazione trinitaria non fa di Elisabetta una persona lontana e assente dalla realtà. Il suo raccoglimento interiore non le impedisce di essere semplice, allegra, amabile e servizievole come affermano coloro che sono vissuti insieme con lei. E non poteva essere diversamente dal momento che Dio non è solitario nella sua grandezza, ma è comunità di amore che si avvicina a noi e ci invita a entrare in essa e a esprimerla nella comunione con gli altri.

La vita cristiana e la vita consacrata trovano negli insegnamenti di Elisabetta della Trinità un orientamento fondamentale per nutrire una solida e profonda spiritualità. Il documento postsinodale Vita consecrata afferma che la vocazione alla vita consacrata è per la gloria della Trinità. Nell’amore gratuito del Padre si trova l’origine di questo carisma nella Chiesa affinché coloro che lo ricevono seguano Cristo con «un coinvolgimento totale, che comporta l’abbandono di ogni cosa (cf. Mt 19, 27), per vivere in intimità con lui e seguirlo dovunque egli vada (cf. Ap 14, 4)».6 Anche la vita consacrata, come ogni esistenza cristiana è posta in intima relazione con l’opera dello Spirito Santo. Le persone consacrate, «lasciandosi guidare dallo Spirito in un incessante cammino di purificazione, diventano, giorno dopo giorno, persone cristiformi, prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore risorto».7

L’esperienza e la dottrina di Elisabetta della Trinità possono aiutare anche ad approfondire esistenzialmente ciò che scrive Vita consecrata a riguardo dei consigli evangelici come dono della Trinità del riflesso della vita trinitaria presente in essi.8 Se è vero che la beata ha vissuto la sua vita religiosa entro i modelli classici anteriori al Vaticano II, la sua esperienza della inabitazione del Dio trino trascende questa cornice contestuale per illuminare la vita consacrata del nostro tempo che affronta sfide particolari e ha una visione diversa dell’essere umano, della società, della Chiesa e delle sue relazioni.

 

VIVERE L’ASCOLTO

DELLA PAROLA DI DIO

 

Elisabetta della Trinità ha vissuto in un’epoca in cui non si aveva nella Chiesa un accesso alla Scrittura come noi oggi. La Bibbia era poco conosciuta e letta dai cattolici. Nonostante ciò, Elisabetta cita continuamente testi della Scrittura che conosceva indirettamente attraverso la liturgia, la predicazione, le omelie, la catechesi, la lettura di altri libri. Aveva il dono di comprendere e di penetrare, guidata dallo Spirito, il significato dei passi biblici, specialmente quelli di san Paolo e di san Giovanni. Utilizzava anche i salmi, in particolare quelli che si riferivano alla lode, alla fiducia nella protezione del Signore, alla gioia di vivere con lui.

Delle lettere paoline, la più citata da Elisabetta è quella agli Efesini. Qui scoprì una luce per orientare la sua vita e centrarla nell’essere “a lode della sua gloria”. In questa lettera trovò bene espresso anche il mistero dell’incarnazione, la grazia della nostra elezione, filiazione, santificazione e glorificazione. La vita in Cristo di cui parla Paolo nella lettera ai Romani e ai Galati è un altro tema ricorrente nei suoi scritti. Attraverso Gal 2,20 esprime il processo di identificazione con Gesù che fa sì che sia lui a vivere in noi. Senza una grande cultura biblica, Elisabetta intuisce e vive gli aspetti essenziali del messaggio della Scrittura. E torna di tanto in tanto sul mistero della presenza divina in noi: «Pensa che la tua anima è il tempio di Dio. Lo dice anche san Paolo; in ogni istante del giorno e della notte le tre persone divine abitano in te… quando si sa questo, si vive in una intimità adorabile. Mai si sta soli… il maestro insiste di continuo si questo insegnamento: “rimanete in me e io in voi”».9

Elisabetta sa unire la lettura e la meditazione della Scrittura con la preghiera anticipando il Vaticano II che ricorda, citando s. Ambrogio, che «la lettura della Sacra Scrittura deve accompagnarsi alla preghiera affinché si attui il dialogo tra Dio e l’uomo, poiché “quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini”».10

Vita consecrata sottolinea che la parola di Dio è la fonte prima di ogni spiritualità cristiana e più in particolare della spiritualità della vita consacrata poiché essa alimenta una relazione personale con il Dio vivo e con la sua volontà salvifica e santificatrice e di qui nasce l’intensità della contemplazione e l’ardore dell’attività apostolica. Dal contatto assiduo con la parola di Dio si attinge la luce necessaria per il discernimento personale e comunitario nella ricerca delle vie di Dio nella storia.11

Il messaggio di Elisabetta della Trinità sull’ascolto orante della parola di Dio è molto attuale per la vita cristiana e religiosa. Di fronte alla valanga di informazioni tecnologiche, politiche, sociali, culturali, ideologiche e religiose, molto spesso vuote o contraddittorie, una frase del prologo del vangelo di san Giovanni ci ricorda che “La Parola si fece carne e abitò fra noi”.

Attraverso di essa l’evangelista ci presenta un Dio che si comunica a noi; che ci parla per manifestarci il suo amore e farci scoprire il cammino che conduce alla pienezza umana. Dio è modello di comunicazione per il modo con cui lo fa e per la buona notizia che ci comunica. Dio entra nella nostra storia; si fa uno di noi per parlarci nel nostro linguaggio; ci comunica sempre una buona notizia: che egli ci ama e che l’unica cosa che chiede è che sappiamo amarlo amando i nostri fratelli e facendosi solidali con essi. La sua comunicazione è chiara e semplice, rispettosa della nostra libertà. Le informazioni che ci bombardano attraverso i mezzi di comunicazione sociale provocano vertigini e confusione. Abbiamo bisogno della comunicazione ma non dimentichiamo che, per saperci districare in mezzo al caos mediatico, abbiamo bisogno di silenzio, come ci dice Elisabetta della Trinità, per ascoltare la Parola che, fatta carne, dà significato alla nostra vita personale e alla storia. San Giovanni della Croce, maestro di Elisabetta, ci invita a questo: «Una Parola parlò il Padre, che fu suo Figlio, e questa parla sempre nell’eterno silenzio, e nel silen­zio deve essere ascoltata dall’anima».12

 

MARIA MAESTRA

DI INTIMITÀ CON DIO

 

Elisabetta della Trinità scopre in Maria colei che ci conduce a Gesù e ci introduce nel mistero trinitario. Come pure il modello di intimità con Dio con il suo atteggiamento silenzioso e contemplativo che l’apriva al dialogo con lui in un cammino di fede, di speranza e di amore. «Avviciniamoci alla Vergine, tutta pura, tutta luminosa affinché ci introduca a Colui che lei penetrò tanto profondamente e la nostra vita sia una comunicazione continua, un movimento semplice verso il Signore».13

Descrive Maria come colei che possedeva il Verbo incarnato, il dono di Dio che accoglieva nel silenzio e nell’adorazione. Questo stesso Dio è con noi e, perciò, dobbiamo mantenerci «uniti a lui con quel silenzio, con quell’amore della Vergine».14 In altre lettere augura che la Vergine riveli al destinatario il dolce segreto dell’unione con Dio, e faccia sì che in tutte le cose si rimanga con lui. E, come sintesi del suo marianismo trinitario, scrive all’abate Chevignard: «Vorrei rispondere, passando sulla terra, come la Santissima Vergine, “custodendo tutte queste cose nel mio cuore” seppellendomi per così dire nel profondo della mia anima per perdermi nella Trinità che ivi dimora, per trasformarmi in essa».15

Nella presentazione che Vita consecrata fa di Maria come ideale di sequela le persone consacrate sono invitate a contemplarla “come modello sublime di consacrazione al Padre, di unione con il Figlio e di docilità allo Spirito”.16 In questa stessa linea Elisabetta della Trinità ci ricorda la Vergine dell’incarnazione e della Trinità.

 

VIVERE IN COMUNIONE

CON GLI ALTRI

 

La contemplazione autentica conduce necessariamente all’amore del prossimo: «abbiamo ricevuto da lui questo comandamento: “chi ama Dio, ami anche suo fratello”».

L’ascolto di Dio conduce necessariamente all’impegno verso gli altri e aumenta la comprensione, la vicinanza, la solidarietà. È vero che Elisabetta non ci offre una dottrina completa sulla carità fraterna, ma certamente lei la vive e l’esprime nella sua comunità, come lo testimoniano le sue sorelle. Allo stesso tempo, le sue lettere rivelano un umanesimo profondo, frutto della sua unione con il Dio trino. La sua corrispondenza epistolare è piena di cordialità, di vicinanza, di interesse e preoccupazione per gli altri. Ha un amore appassionato verso la sua famiglia, apprezza i piccoli dettagli, sa ringraziare. L’accompagna nelle gioie e nelle pene. Ammira la creazione. Molti di questi atteggiamenti li troviamo nella sua lettera alla signora de Sourdon: «Non posso dirle quanto le sia grata per gli auguri per la mia festa e tutti i suoi dolci. Il suo cuore saprà indovinare tra le righe ciò che il mio non è capace di esprimere… Cara signora, mi fa molto piacere di sentirla vicina al Signore: in lui, in cui non ci sono distanze né separazioni… Sono persuasa, cara signora, che le inferriate non ci hanno separato e che il cuore della sua piccola carmelitana è sempre suo».17

La sua vita religiosa non la privò della capacità di amare teneramente. Al contrario, dilatò il suo cuore nella consegna agli altri: «A volte si pensa che nel chiostro non si sappia amare, ma è tutto il contrario, e da parte mia ti dico che mai ho amato di più. Mi pare che il mio cuore si sia dilatato».18

Lo sguardo contemplativo che la beata ha della realtà le fa scoprire la presenza e la bellezza di Dio nella creazione che lei invita gustare e a servirsene per giungere anche così a Dio attraverso la natura: «Valorizzate bene questo bel paese; la natura porta a Dio. Quanto mi piacevano queste montagne, quanto mi parlavano di lui. Ma, vedete, mie care, gli orizzonti del carmelo sono ancora più belli. È l’Infinito! Nel buon Dio io ho tutte le valli, i laghi, i panorami».19 Si può dire che Elisabetta attuò nella sua vita ciò che più avanti dirà il Vaticano II parlando dei cristiani: «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».20

L’esperienza e gli insegnamenti della beata Elisabetta della Trinità hanno una grande attualità per i cristiani e, in particolare, per le persone consacrate. Sono un invito a centrarsi nel mistero di Dio presente in noi, a vivere l’ascolto della sua Parola, a vedere in Maria il modello perfetto del discepolo di Gesù e a crescere in umanità a partire da una comunione con la Trinità. Al termine della vita, la beata scriveva: «Vi lascio la mia fede nella presenza di Dio tutto Amore che abita nelle nostre anime. Ve lo confido: questa intimità con lui “dentro” è stato il bel sole che ha illuminato la mia vita, facendo di essa un cielo anticipato. È questo che mi sostiene nonostante tutto nella sofferenza».21 Questo è il messaggio che Dio ci invia nella vita e nella dottrina di questa giovane carmelitana.

 

Camilo Maccise

 

114 giugno 1901.

2Lettera a sua sorella Guite, 30 maggio 1902.

3Lettera alla sig.ra de Sourdon, giugno 1902.

4Lettera alla sig.ra Angles, 9 novembre 1902.

5Lettera a Francesca de Sourdon, 28 aprile 1903.

6Vita consecrata, 18.

7Ib. 19.

8Ib. 20-21.

9Lettera a sua madre, maggio 1906.

10Dei Verbum, 25.

11cf. VC 94.

12Dichos de luz y amor, 99.

13Lettera all’abate Chevignard, 14 giugno 1903.

14Lettera a sua sorella, 22 novembre 1903.

15Lettera del 28 novembre 1903.

16VC 28

17Lettera del 19 novembre 1902.

18Lettera a Cecilia Mignon, fine giugno 1906.

19Lettera a sua madre, 13-14 agosto 1901

20Gaudium et spes 1.

21Lettera alla signora de Bobet, ottobre 1906.