IL VIAGGIO DEL PAPA IN TURCHIA

DALLA CRITICA ALLA STIMA APERTA

 

Il papa durante il viaggio ha preferito affidarsi al linguaggio dei gesti e dei “segni” destinati a colpire l’immaginazione e il sentimento. Ben presto è così scomparsa ogni traccia di contestazione: la foto del papa nelle prime pagine dei quotidiani e cinque canali televisivi che trasmettevano i passaggi più significativi degli incontri.

 

I riflettori sulla visita di Benedetto XVI in Turchia si sono spenti. Ora si può osservare l’evento con maggiore obiettività.

Consideriamo prodigioso, umanamente parlando, il cambiamento di sentimenti e di atteggiamenti verificatosi nelle istituzioni politico-religiose e nell’opinione pubblica.

Si è passati da un atteggiamento di contestazione e di critica, ad attestazioni di stima e di aperta simpatia.

Solo qualche giorno prima del viaggio del papa, gruppi di ultranazionalisti legati ai “Lupi grigi” avevano occupato S. Sofia per protestare contro l’intenzione del papa di farvi visita.

Il giorno precedente all’arrivo del pontefice, il “Partito della Felicità” – una formazione islamico radicale – aveva organizzato una manifestazione, con cartelloni del tipo “Il papa non è il benvenuto” e “il papa ha fatto uno sbaglio: la nostra pazienza è finita”.

Poi, già al secondo giorno della sua presenza, il clima era cambiato: scomparsa ogni traccia di contestazione; la foto del papa nelle prime pagine dei quotidiani; cinque canali televisivi che trasmettevano i passaggi più significativi degli incontri accompagnati da commenti entusiasti. Alla conclusione del viaggio, un quotidiano della capitale commentava la partenza di Benedetto XVI con un titolo a piena pagina: “È venuto il papa: abbiamo scoperto un papà”.

Viene spontaneo interrogarsi sui fattori che possono avere provocato questo straordinario cambiamento.

 

SI È FATTO CONOSCERE

COME UN UOMO MITE

 

Indubbiamente ha pesato il suo portamento semplice, sobrio, essenziale, mite, quasi di profeta disarmato: caratteristiche che hanno qualificato il pontificato di Ratzinger fin dall’inizio. Esattamente l’opposto dell’immagine da “crociato” che molti si attendevano.

Ha impressionato anche l’atteggiamento sincero di rispetto e di stima dimostrato da Benedetto XVI nei confron­ti della religione, della cultura e delle consuetudini di questo antico popolo.

Emblematica, in tal senso, è stata la scelta di aver fissato come prima tappa del viaggio un omaggio al Mausoleo di Mustafà Kemal, che i turchi chiamano da sempre Atatürk (Padre dei Turchi).

Il papa sapeva che questo personaggio è considerato dall’intera popolazione un mito intoccabile, per aver egli guidato con successo la guerra di liberazione nazionale contro i greci nel 1920-22, e aver messo le basi, della moderna repubblica turca. Una repubblica laica, pienamente democratica, con il voto a suffragio universale. Tutto questo in un tempo (1923) in cui altre nazioni europee, quali la Germania e la Francia, stavano voltando le spalle al regime democratico per affidarsi al totalitarismo.

Nel Mausoleo di Atatürk, papa Ratzinger è entrato con grande rispetto: ha deposto una corona di fiori e ha scritto sul libro d’oro: «In questa terra, punto d’incontro e crocevia di religioni e culture diverse, cerniera tra l’Asia e l’Europa, volentieri faccio mie le parole del fondatore della Repubblica turca, per esprimere l’augurio: “Pace in patria, Pace nel mondo”». È stato il primo gesto simbolico, per manifestare al popolo turco in termini inequivocabili i suoi reali sentimenti.

 

LA VALENZA

PEDAGOGICA DEI GESTI

 

Dopo l’episodio di Regensburg, il papa si era sforzato più volte di chiarire il senso delle sue parole, per nulla offensive della religione islamica: non era riuscito a convincere il mondo musulmano.

Nel viaggio in Turchia ha tenuto anche splendidi discorsi, ma ha scelto soprattutto di affidarsi a dei gesti, a “segni” destinati a colpire l’immaginazione e il sentimento.

Del più eclatante di questi gesti, ha parlato egli stesso nell’udienza del mercoledì 6 dicembre: «Nell’ambito del dialogo interreligioso, la divina Provvidenza mi ha concesso di compiere… un gesto inizialmente non previsto e che si è rivelato assai significativo: la visita alla Moschea Blu di Istanbul». Prima di entrare, secondo la consuetudine comune, egli si era tolto le scarpe in segno di rispetto.

Sappiamo che il Gran Mufti, Mustafà Cagrigi che accompagnava il papa, mostrandogli l’edicola che, in ogni moschea, è rivolta verso la Mecca, gli disse: «Noi qui ci fermiamo a pregare per alcuni secondi, per prendere serenità. Se desidera ci possiamo raccogliere». E il papa accondiscese. Spiegherà lui stesso nella ricordata udienza del 6 dicembre il senso del suo gesto: «Sostando in quel luogo di preghiera, mi sono rivolto all’unico Signore del cielo e della terra, Padre misericordioso dell’intera umanità. Possano tutti i credenti riconoscersi sue creature e dare testimonianza di vera fraternità».

Ricco di indubbio significato è stato anche lo scambio di doni, tra il papa e il Gran Mufti: uno scambio di colombe. Com­poste in un mosaico d’oro le quattro colombe di Benedetto XVI, accompagnate da un auspicio: «È un messaggio di fraternità, in ricordo di una visita che non dimenticherò certamente». E il Gran Mufti confrontando con il dono papale la sua colomba incisa in una maiolica di Isnik, soggiunge: «Una coincidenza, forse sì, ma molto bella». Poi congedandosi soggiungeva commosso: «È stato un momento meraviglioso. Grazie Santità, si ricordi di noi».

Poco prima c’era stata la vista alla splendida basilica di S. Sofia, la più grande e gloriosa basilica d’oriente, trasformata in moschea dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 e che Atatürk, aveva deciso di convertire in museo. Il papa dopo aver ammirato il grande mosaico che raffigura gli imperatori Costantino e Giustiniano, nell’atto di donare la chiesa a Cristo, tenuto in braccio dalla Vergine Maria, ha firmato il libro d’oro scrivendo: «Nelle nostre diversità ci troviamo davanti alla fede del Dio unico; Dio ci illumini e ci faccia trovare la strada dell’amore e della pace».

Tanti “segni” eloquenti. Non ultimo quello in cui il papa a Efeso, alla “Casa di Maria” sventolò la bandiera turca e all’inizio della messa, pronunciò in turco le parole: «Amo i turchi», le stesse parole pronunciate da Angelo Roncalli, nel suo saluto di addio alla Turchia.

 

IL DIALOGO

INTERRELIGIOSO

 

Con il suo viaggio in Turchia, il Santo Padre non ha offerto solo un esempio di sapienza e di umanità, ma ha anche tracciato una metodologia di dialogo interreligioso.

Egli ha anzitutto chiarito che il dialogo è una dimensione costitutiva della Chiesa e in quanto tale è irrinunciabile. Nel saluto al governatore di Istanbul, prima del rientro a Roma, lo ha voluto sottolineare: «Penso che per il capo della Chiesa cattolica il dialogo sia un dovere. Rendo grazie a Dio per aver potuto dare un segno per questo dialogo e per una maggiore comprensione tra le religioni e le culture, in particolare con l’islam».

Le diversità anche profonde non impediscono il dialogo, ma impongono a ciascuno degli interlocutori di ricercare la “verità dell’altro”, senza ingenuità ma anche senza pregiudizi, individuando gli spazi di collaborazione, in rapporto ai bisogni dell’umanità.

In tal senso papa Ratzinger, rispondendo al presidente del Ministero per gli affari religiosi Ali Bardakog˘lu, che lamentava come l’imperante secolarismo avesse messo in ombra «il richiamo divino, producendo deviazioni a livello spirituale, morale, umano…», evidenziava due grandi ambiti di collaborazione possibile. Il primo è di «aiutare la società ad aprirsi al trascendente, riconoscendo a Dio onnipotente il posto che gli spetta». Il secondo è di offrire, «come uomini e donne di religione un contributo specifico sui temi della giustizia, dello sviluppo, della solidarietà, della libertà, della sicurezza della pace, della difesa dell’ambiente e delle risorse della terra».

Benedetto XVI ritornerà sul tema il 6 dicembre, confermando la sua convinzione che il dialogo tra cristianesimo e islam potrà aiutare il nostro tempo «da una parte a riscoprire la realtà di Dio e la rilevanza pubblica della fede religiosa, dall’altra assicurare che l’espressione di tale fede sia libera, priva di degenerazioni fondamentalistiche, capace di ripudiare ogni forma di violenza».

 

L’INCONTRO STORICO

CON BARTOLOMEO I°

 

Le circostanze storiche che hanno preceduto la visita del papa hanno influito senza dubbio sulle priorità evidenziate dai mass media, accentuando più l’aspetto interreligioso che quello ecumenico e pastorale.

Originariamente però il viaggio di Benedetto XVI costituiva una risposta all’invito rivoltogli dal patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I°, all’indomani della sua elezione, a «rendere visita alla chiesa sorella, per sviluppare i rapporti ecumenici, verso il ristabilimento della piena unità voluta da Gesù».

La data stessa del viaggio papale non era casuale. Coincideva infatti con la festa di s. Andrea, fratello di Pietro che, secondo la tradizione fu il primo evangelizzatore di questa terra. E il successo di questo obiettivo “ecumenico” non va considerato inferiore alla ricucitura dello strappo con l’islam.

Né devono trarre in inganno le minuscole proporzioni numeriche della cristianità turca. I cristiani infatti in Turchia sono solo 120.000. Di loro, i cattolici di vari riti, non superano i 30.000. L’importanza storica di questa Chiesa è tale – vi hanno predicato oltre ad Andrea, altri tre apostoli, Giovanni, Filippo e Paolo di Tarso; ha visto fiorire alcuni eccelsi Padri della Chiesa (Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno); vi furono celebrati i primi sette concili ecumenici – che il patriarca di Costantinopoli è considerato il primo tra i patriarchi della chiesa ortodossa e il leader spirituale di 250 milioni di cristiani ortodossi sparsi nel mondo.

L’importanza dell’incontro ecumenico che ha occupato la parte centrale del viaggio si misura dagli obiettivi raggiunti.

Anzitutto la ripresa dei lavori della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, riunitasi a Belgrado in settembre, dopo sei anni di interruzione.

Inoltre la Dichiarazione Comune firmata ad Al Fanar, nella sala del Trono del patriarcato ecumenico di Istanbul, nella quale viene espressa la volontà di arrivare all’autentica comunione, ma insieme l’impegno a operare perché siano garantiti nel mondo la libertà religiosa e il rispetto delle minoranze, la tutela dei valori cristiani, la pace e la difesa della natura. Particolarmente rilevante nel contesto del mondo musulmano, l’affermazione: «L’uccisione di innocenti nel nome di Dio è un’offesa a lui e alla dignità umana».

Infine è importante la decisione di affrontare nella prossima riunione della commissione mista, che si terrà a Ravenna nel 2007, il tema del “Ministero petrino”, ossia del ministero papale nell’ambito della comunione tra le chiese.

Un grande valore simbolico hanno avuto anche in questa circostanza i “segni”: l’abbraccio prolungato e affettuoso tra Benedetto e Bartolomeo, la benedizione congiunta al termine della celebrazione liturgica nella festa di S. Andrea; lo scambio di doni, il calice e il Vangelo. Tutti particolari esprimenti l’ansia di giungere appena possibile alla piena comunione.

 

LA PICCOLA CHIESA

DENTRO LA CHIESA CATTOLICA

 

Alla comunità cattolica il papa ha riservato due momenti densi di emozione: la celebrazione eucaristica a Efeso, il 29 novembre e quella nella cattedrale dello Spirito Santo a Istanbul l’1 dicembre. In ambedue, ha voluto far sentire l’amore e la vicinanza della Chiesa universale alla piccola comunità che vive in Turchia, ma insieme ha dato ai suoi interventi un afflato ecumenico e universale.

A Efeso, nel Santuario di Meryen Ana Evi, ha intonato il Magnificat; ha ricordato con commozione don Andrea Santoro sacerdote romano, ucciso il 5 febbraio 2006 nella chiesa di S. Maria di Trabzon; ha implorato dalla Vergine la pace per tutti i popoli, per la terra santa. «Di questa pace – disse – la Chiesa è chiamata a essere non solo annunciatrice profetica, ma più ancora “segno e strumento”». Alla celebrazione partecipava anche un gruppo di musulmani. Un particolare che dà speranza: la proprietà del luogo – Casa di Maria – è formalmente intestata a un’associazione locale, riconosciuta dallo stato, formata da cristiani e musulmani. Qui tutti insieme venerano la Madre Maria, colei che il Corano «onora come unica donna non toccata dal demonio… Colei che generò virginalmente Gesù, in seguito alla parola di Dio, pronunciata dall’arcangelo Gabriele».

Il papa, infine, ha concluso solennemente il suo viaggio a Istanbul, con una celebrazione eucaristica alla presenza di Bartolomeo I°. Anche qui, un ultimo gesto simbolico: la liberazione di quattro colombe in segno di pace e di fraternità. Poi l’invocazione allo Spirito Santo, perché riunisca la sua Chiesa e un auspicio di fede: «Aiuti Iddio onnipotente e misericordioso il popolo turco con i suoi governanti e i rappresentanti delle diverse religioni a costruire insieme un futuro di pace, si che la Turchia possa essere un ponte di amicizia e di fraterna collaborazione fra l’occidente e l’oriente».

Un viaggio storico, forse il momento più alto finora espresso dal pontificato di papa Ratzinger.

Giuseppe Pasini