RILEGGENDO IL MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI

LA GRAMMATICA DELLA PACE

 

Benedetto XVI, nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1º gennaio 2007, afferma che è la persona umana il cuore della pace e che nella coscienza di ogni persona sta la base per il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra credenti e non credenti.

 

Ora che la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio è passata, se c’è un auspicio da formulare è che i responsabili delle sorti del mondo, compresi i nostri politici, riprendano in mano – se mai l’avranno letto – il messaggio che Benedetto XVI ha scritto per questa circostanza. Non devono infatti illudersi, o far finta di illudersi, che per promuovere la pace nel mondo basti agire in maniera, come si dice, politically correct, che è un modo per non dispiacere a nessuno, ma che lascia le cose così come sono, magari affidando l’ultima parola alle armi e agli eserciti.

Così è da auspicare che leggano questo messaggio anche coloro che stanno sull’altro fronte e che pensano di risolvere i problemi con il terrorismo e le continue orrende carneficine.

Il papa con la lucidità che gli è propria ha indicato le condizioni – potremmo dire i pilastri – su cui costruire la pace, una pace che sia vera e duratura. Il cardine che tutto regge è la persona umana, come dice il titolo del messaggio: Persona umana: cuore della pace. «Sono infatti convinto, scrive, che rispettando la persona si promuove la pace, e costruendo la pace si pongono le premesse per un autentico umanesimo integrale. È così che si prepara un futuro sereno per le nuove generazioni». Il papa ha in mente «quanti sono nel dolore e nella sofferenza, chi vive minacciato dalla violenza e dalla forza delle armi o, calpestato nella sua dignità, attende il proprio riscatto umano e sociale». Ha in mente «i bambini, che con la loro innocenza arricchiscono l’umanità di bontà e di speranza e, con il loro dolore, ci stimolano a farci tutti operatori di giustizia e di pace».

La persona umana quindi è il cardine che sostiene tutto l’edificio su cui si regge la pace. Se non si tiene conto di questo presupposto si continuerà a girare a vuoto e a costruire sulla sabbia, sapendo, come sottolinea appunto il papa, che essa è dono di Dio, ma anche impegno dell’uomo. E questo impegno riguarda la promozione e la difesa del diritto alla vita e alla libertà religiosa, l’uguaglianza di natura di tutte le persone, il rispetto della natura e dell’ambiente, il problema dei rifornimenti energetici, una visione della persona non viziata da pregiudizi ideologici e culturali e il rispetto dei diritti dell’uomo tenendo presente che una concezione relativistica della persona è del tutto insufficiente quando si tratta di giustificarne e difenderne i diritti. Credere pertanto di risolvere i problemi relativi alla pace con la guerra è una scelta del tutto insensata. «La guerra, scrive il papa, rappresenta sempre un insuccesso per la comunità internazionale e una grave perdita di umanità».

Bisogna, pertanto, avere il coraggio della verità, poiché, scrive, è nella verità che sta la pace. La verità infatti porta alla pace, la menzogna la impedisce: al giorno d’oggi, purtroppo, la verità della pace continua a essere compromessa e negata dal terrorismo, dal nichilismo e dal fondamentalismo.

 

VERITÀ E PACE:

DONO E COMPITO

 

La prospettiva entro cui il papa si colloca per descrivere che cosa intende per persona è quella biblica: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1,27). Posta in questa luce la persona umana non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno, capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone. Al tempo stesso è chiamata, per grazia, a un’alleanza con il suo Creatore, a offrirgli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione». Una citazione da sant’Agostino riassume questa verità dell’uomo: «Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi».

E la pace si colloca dentro questa cornice antropolo­gica, presentandosi come dono e come compito.

Richiamando un famoso passaggio del discorso di Giovanni Paolo II all’Assemblea generale delle Nazio­ni Unite del 1995, Benedetto XVI af­ferma che la trascendente “gram­matica”, vale a dire l’insieme di regole dell’agire individuale e del reciproco rapportarsi delle persone secondo giustizia e solidarietà, è iscritta nelle coscienze, nelle quali si rispecchia il progetto sapiente di Dio. Come recentemente ho voluto riaffermare, scrive, «noi crediamo che all’origine c’è il Verbo eterno, la ragione e non l’irrazionalità» (omelia all’Islinger Feld di Regensburg, 12/09/2006). Rispettare la grammatica del mondo e della natura umana è insomma il criterio che deve orientare il compito della pace, senza pretese di autosufficienza verso Dio.

 

GRAMMATICA

TRASCENDENTE

 

«Il dovere del rispetto per la dignità di ogni essere umano, nella cui natura si rispecchia l’immagine del Creatore – sottolinea il papa – comporta come conseguenza che della persona non si possa disporre a piacimento. Chi gode di maggiore potere politico, tecnologico, economico, non può avvalersene per violare i diritti degli altri meno fortunati. È infatti sul rispetto dei diritti di tutti che si fonda la pace».

È su questa base che la Chiesa rivendica il rispetto della vita e della libertà religiosa. Anzitutto il rispetto del diritto alla vita che rappresenta un punto fermo di decisiva importanza: «la vita è un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità».

In secondo luogo, il rispetto del diritto alla libertà religiosa che «pone l’essere umano in rapporto con un Principio trascendente che lo sottrae all’arbitrio dell’uomo». Di conseguenza: «il diritto alla vita e alla libera espressione della propria fede in Dio non è in potere dell’uomo. La pace ha bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è: saranno così evitate intromissioni inaccettabili in quel patrimonio di valori che è proprio dell’uomo in quanto tale».

Insistendo sul tema del rispetto alla vita il papa scrive: «È doveroso denunciare lo scempio che di essa si fa nella nostra società: accanto alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di violenza, ci sono le morti silenziose provocate dalla fame, dall’aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall’eutanasia. Come non vedere in tutto questo un attentato alla pace?». Inoltre, afferma, «l’aborto e la sperimentazione costituiscono la diretta negazione dell’atteggiamento di accoglienza verso l’altro che è indispensabile per instaurare durevoli rapporti di pace».

Non dimentica poi la difficile situazione in cui vivono oggi tanti cristiani a causa della loro fede. Scrive: «Un altro preoccupante sintomo di mancanza di pace nel mondo è rappresentato dalle difficoltà che tanto i cristiani quanto i seguaci di altre religioni incontrano spesso nel professare pubblicamente e liberamente le proprie convinzioni religiose. Parlando in particolare dei cristiani, debbo rilevare con dolore che essi non soltanto sono a volte impediti; in alcuni stati vengono addirittura perseguitati, e anche di recente si sono dovuti registrare tragici episodi di efferata violenza. Vi sono regimi che impongono a tutti un’unica religione, mentre regimi indifferenti alimentano non una persecuzione violenta, ma un sistematico dileggio culturale nei confronti delle credenze religiose. In ogni caso, non viene rispettato un diritto umano fondamentale, con gravi ripercussioni sulla convivenza pacifica. Ciò non può che promuovere una mentalità e una cultura negative per la pace».

A pregiudicare la pace sono inoltre sicuramente le tante ingiuste disuguaglianze ancora tragicamente presenti nel mondo. Tra esse particolarmente insidiose sono, da una parte, quelle nell’accesso a beni essenziali, come il cibo, l’acqua, la casa, la salute; dall’altra, le persistenti disuguaglianze tra uomo e donna nell’esercizio dei diritti umani fondamentali.

Ma elemento di primaria importanza resta sempre il riconoscimento dell’essenziale uguaglianza tra le persone umane, che scaturisce, sottolinea il papa, dalla loro comune trascendente dignità. Si tratta di un bene, afferma, iscritto in quella grammatica naturale desumibile dal progetto divino della creazione; un bene che non può essere disatteso o vilipeso senza provocare pesanti ripercussioni da cui è messa a rischio la pace. Cita in particolare le gravissime carenze di cui soffrono molte popolazioni, specialmente del continente africano, che sono all’origine di violente rivendicazioni e costituiscono pertanto una tremenda ferita inferta alla pace.

Ma anche la non sufficiente considerazione per la condizione femminile introduce fattori di instabilità nell’assetto sociale. Penso, scrive, allo sfruttamento di donne trattate come oggetti e alle tante forme di mancanza di rispetto per la loro dignità; penso anche – in contesto diverso – alle visioni antropologiche persistenti in alcune culture, che riservano alla donna una collocazione ancora fortemente sottomessa all’arbitrio dell’uomo, con conseguenze lesive per la sua dignità di persona e per l’esercizio delle stesse libertà fondamentali. Non ci si può illudere che la pace sia assicurata finché non siano superate anche queste forme di discriminazione, che ledono la dignità personale, inscritta dal Creatore in ogni essere umano.

 

PER UNA ECOLOGIA

DELLA PACE

 

Il papa attira quindi l’attenzione sul concetto di ecologia della pace, che costituisce un originale sviluppo del concetto di ecologia umana della Centesimus annus. L’umanità che ha veramente a cuore la pace deve tenere sempre più presenti le connessioni tra l’ecologia naturale e l’ecologia umana su cui organizzare la società. Una delle caratteristiche più evidenti della nostra epoca è il fatto che ogni atteggiamento irrispettoso dell’ambiente naturale reca danni all’ambiente umano e viceversa. Di questa connessione il papa mostra un esempio collegando il concetto di ecologia della pace con il problema dell’energia e dei rifornimenti energetici: mentre si assiste a una nuova corsa alle risorse energetiche, molte nazioni in situazione pre-industriale vedono impedito il loro sviluppo dal rialzo dei prezzi dell’energia dovuto proprio a questa nuova corsa.

Si domanda: «Che ne sarà di quelle popolazioni? Quale genere di sviluppo o di non-sviluppo sarà loro imposto dalla scarsità di rifornimenti energetici? Quali ingiustizie e antagonismi provocherà la corsa alle fonti di energia? E come reagiranno gli esclusi da questa corsa?». Queste domande pongono in evidenza come il problema del rapporto con la natura sia strettamente collegato con la costruzione di rapporti umani ecologici, ossia rispettosi della dignità della persona e dei suoi autentici bisogni.

«Uno sviluppo infatti che si limitasse all’aspetto tecnico-economico, trascurando la dimensione morale-religiosa, non sarebbe uno sviluppo umano integrale e finirebbe, in quanto unilaterale, per incentivare le capacità distruttive dell’uomo». In particolare, osserva, «la distruzione dell’ambiente, un suo uso improprio o egoistico e l’accaparramento violento delle risorse della terra generano lacerazioni, conflitti e guerre, proprio perché sono frutto di un concetto disumano di sviluppo. Uno sviluppo infatti che si limitasse all’aspetto tecnico-economico, trascurando la dimensione morale-religiosa, non sarebbe uno sviluppo umano integrale e finirebbe, in quanto unilaterale, per incentivare le capacità distruttive dell’uomo». In particolare «la distruzione dell’ambiente, un suo uso improprio o egoistico e l’accaparramento violento delle risorse della terra generano lacerazioni, conflitti e guerre, proprio perché sono frutto di un concetto disumano di sviluppo».

Ciò che non si può ammettere, prosegue il papa, «è che vengano coltivate concezioni antropologiche che rechino in se stesse il germe della contrapposizione e della violenza. Ugualmente inaccettabili sono concezioni di Dio che stimolino all’insofferenza verso i propri simili e al ricorso alla violenza nei loro confronti».

 

Tenendo sempre fermo il tema della persona umana, il papa conclude: «Una pace vera e stabile presuppone il rispetto dei diritti dell’uomo. Se però questi diritti si fondano su una concezione debole della persona, come non ne risulteranno anch’essi indeboliti? Si rende qui evidente la profonda insufficienza di una concezione relativistica della persona, quando si tratta di giustificarne e difenderne i diritti. L’aporia in tal caso è palese: i diritti vengono proposti come assoluti, ma il fondamento che per essi si adduce è solo relativo. C’è da meravigliarsi se, di fronte alle esigenze “scomode” poste dall’uno o dall’altro diritto, possa insorgere qualcuno a contestarlo o a deciderne l’accantonamento?».

Il papa invita quindi i cristiani a essere infaticabili operatori di pace e strenui difensori della dignità della persona umana. E a trovare le ragioni nella fede nel Signore Gesù, che ha rivelato che «Dio è amore» (1Gv 4,8) e che la vocazione più grande di ogni persona è l’amore.

Ritornando sul tema della pace nel discorso ai membri della curia romana per la presentazione degli auguri natalizi il papa ha ribadito: «Noi uomini avremmo desiderato che Cristo bandisse una volta per sempre tutte le guerre, distruggesse le armi e stabilisse la pace universale. Ma dobbiamo imparare che la pace non può essere raggiunta unicamente dall’esterno con delle strutture e che il tentativo di stabilirla con la violenza porta solo a violenza sempre nuova. Dobbiamo imparare che la pace – come diceva l’angelo di Betlemme – è connessa con l’eudokia, con l’aprirsi dei nostri cuori a Dio. Dobbiamo imparare che la pace può esistere solo se l’odio e l’egoismo vengono superati dall’interno. L’uomo deve essere rinnovato a partire dal suo interno, deve diventare nuovo, diverso»

Quanti saranno ora disposti ad accogliere queste indicazioni del messaggio del papa?