I SALESIANI VERSO IL 26° CAPITOLO GENERALE
PER UNA RITROVATA PASSIONE PER I GIOVANI
Il capitolo si propone
di stimolare l’istituto a ritornare ai giovani e di farlo «con maggiore
qualificazione». È una questione di fedeltà alle origini. È tra i giovani
infatti che don Bosco ha elaborato il suo stile di vita, il suo patrimonio
pastorale e pedagogico, il suo sistema, la sua spiritualità.
I salesiani hanno iniziato già da alcuni mesi la preparazione al loro prossimo capitolo generale. Sarà il 26° della loro storia. Si aprirà a Torino il 24 febbraio 2008, ma si svolgerà a Roma, presso il Salesianum, nella casa generalizia.
In vista di questo importante appuntamento, il rettor maggiore, don Pascual Chávez Villanueva ha inviato a tutta la congregazione una lunga lettera, in data 24 giugno 2006, per indicare il tema del capitolo, Da mihi animas, cetera tolle, – un motto che riprende il programma spirituale e pastorale di don Bosco – e spiegare le ragioni di una tale scelta, sottolineando lo spirito che lo deve animare e con cui deve essere celebrato. La lettera termina con una preghiera a don Bosco in cui tra l’altro si chiede: «Fa che il nostro cuore possa essere infiammato dal fuoco dell’ardore e dello slancio evangelizzatore, per essere segni credibili dell’amore di Dio ai giovani». È un’invocazione che è insieme un programma.
IL MOTIVO
DI QUESTA SCELTA
Alla base di questa scelta, scrive don Pascual, sta la convinzione, maturata da tempo, che «la congregazione oggi ha bisogno di risvegliare il cuore di ogni confratello con la passione del Da mihi animas; così essa potrà avere l’ispirazione, la motivazione e l’energia per rispondere alle attese di Dio e ai bisogni dei giovani e per affrontare con coraggio e competenza le sfide odierne».
Scegliendo questo motto, prosegue il padre, «vogliamo assumere il programma spirituale e apostolico di don Bosco e la ragione del suo instancabile operare per “la gloria di Dio e la salvezza delle anime”. Così potremo ritrovare l’origine del nostro carisma, il fine della nostra missione, il futuro della nostra congregazione».
Il padre parla di “risvegliare”, di “ritrovare l’origine del carisma”. E ne spiega anche le ragioni, che in certo senso sono analoghe a quelle che si riscontrano oggi in tanti istituti. «Oggi, più che ieri e domani più di oggi, scrive, c’è il grave rischio di spezzare i legami vivi che ci tengono uniti a don Bosco. Siamo a oltre un secolo dalla sua morte. Sono ormai decedute le generazioni di salesiani che erano venute a contatto con lui e lo avevano conosciuto da vicino. Aumenta il distacco cronologico, geografico e culturale dal fondatore. Viene a mancare quel clima spirituale e quella vicinanza psicologica, che consentivano uno spontaneo riferimento a don Bosco e al suo spirito, anche alla semplice vista del suo ritratto. Ciò che ci è stato tramandato può andare smarrito. Allontanati dal fondatore, sbiadita l’identità carismatica, indeboliti i legami al suo spirito, se non ravviviamo le nostre radici corriamo il pericolo di non avere futuro né diritto di cittadinanza».
Ma, prosegue il padre, «più che di crisi di identità, ritengo che per noi salesiani esista oggi una crisi di credibilità. Ci troviamo in una situazione di stallo. Sembra di essere sotto la tirannia dello status quo; esistono resistenze al cambiamento, più inconsce che intenzionali. Anche se convinti dell’efficacia dei valori evangelici, facciamo fatica a raggiungere il cuore dei giovani, per i quali dovremmo essere segni di speranza. Siamo scossi dal fatto che nella costruzione della loro vita la fede risulti irrilevante. Constatiamo una scarsa sintonia con il loro mondo e una lontananza, per non dire estraneità, dai loro progetti. Percepiamo che i nostri segni, gesti e linguaggi non sono efficaci; sembra che non incidano nella loro vita».
Ma c’è un’altra insidia, forse ancora più pericolosa, ed è quella «della mediocrità nella vita spirituale, dell’imborghesimento progressivo e della mentalità consumistica». Nei documenti che la tradizione ha chiamato “testamento spirituale”, don Bosco ha lasciato scritto: «Dal momento che comincerà [ad] apparire agiatezza nella persona, nelle camere o nelle case, comincia nel tempo stesso la decadenza della nostra congregazione […] Quando cominceranno tra noi le comodità o le agiatezze, la nostra pia società ha compiuto il suo corso».
Don Pascual ribadisce con determinazione, di fronte anche a certe perplessità che serpeggiano qua e là: «Urge ritornare ai giovani» e farlo «con maggiore qualificazione». È una questione di fedeltà alle origini. In effetti «è tra i giovani che don Bosco ha elaborato il suo stile di vita, il suo patrimonio pastorale e pedagogico, il suo sistema, la sua spiritualità. Unica fu la sua missione. Egli fu sempre e solo con i giovani e per i giovani, anche quando per motivi particolari non poteva essere sempre materialmente a contatto con loro, anche quando la sua azione non era direttamente al loro servizio. Per questo egli difese tenacemente il suo carisma di fondatore per i giovani di tutto il mondo, di fronte alle pressioni di ecclesiastici non sempre lungimiranti». Di conseguenza, «missione salesiana è “predilezione” per i giovani».
LE SFIDE
DA AFFRONTARE
Il capitolo generale coincide con un’epoca piena di sfide a tutti i livelli, che dovrà tenere ben presenti se vuole attuare l’auspicato “risveglio” della congregazione.
In primo luogo, l’esistenza di due tendenze trasversali che caratterizzano il cambio epocale che stiamo vivendo: da un lato una tendenza all’omogeneità culturale, che cerca di ricopiare il modello occidentale con l’abolizione delle differenze; dall’altro, le forti contrapposizioni culturali di matrice religiosa che portano a una crescente differenziazione, per esempio, tra l’islam e l’occidente, tra la società secolarizzata e il cristianesimo.
In secondo luogo, il fenomeno della globalizzazione, incrementato dallo sviluppo tecnologico, e della cultura che permea molti strati della società, mentre dal punto di vista economico si sta diffondendo ovunque il modello neoliberale, basato sul sistema di mercato, che tende a predominare sugli altri valori umani delle persone e dei popoli. Dal punto di vista culturale si impone un processo di omologazione delle culture verso il modello occidentale, con il graduale dileguarsi delle differenze culturali e politiche dei popoli. Infine, l’impatto dei mezzi di comunicazione sociale e la rivoluzione informatica che inducono profondi cambiamenti nel costume, nella distribuzione della ricchezza, nell’impostazione del lavoro, attraverso una cultura mediatica e una società dell’informazione.
A queste sfide sono poi da aggiungere, sottolinea don Pascual, quelle della mobilità umana, della povertà, della paradossale cultura delle vita e della morte e della secolarizzazione.
Ma le sfide non provengono solo dal mondo esterno; sorgono anche dall’interno della stessa congregazione e sono d’indole diversa: l’invecchiamento dei confratelli in alcune zone della congregazione, la fragilità della funzione del governo ai vari livelli, la disparità di condizioni di vita dei salesiani rispetto all’ambiente di povertà e miseria.
Si notano anche un diverso impatto della cultura giovanile, con i suoi atteggiamenti e modelli di vita, sulla vita personale e comunitaria dei confratelli, la difficoltà a confrontarsi con un mondo giovanile molto variegato dal punto di vista delle idee e dei comportamenti, l’accentuazione diversa del rapporto tra educazione ed evangelizzazione, le differenti sensibilità in merito all’impatto sociale della nostra missione di promozione umana. In alcuni contesti fortemente secolarizzati risulta problematico il senso specifico da dare all’azione evangelizzatrice e alla proposta esplicita di Cristo Salvatore dell’uomo.
Persistono qua e là la superficialità spirituale, il genericismo pastorale, la lontananza dal mondo giovanile, le problematiche relative all’inculturazione del carisma, la scarsa conoscenza di don Bosco e della sua opera.
DOVE TROVARE
GLI ORIENTAMENTI?
Di fronte a realtà come quelle descritte, dove trovare gli orientamenti per una risposta efficace? È la Chiesa a proporceli, scrive don Pascual. Essi si trovano, nella esortazione apostolica Vita consecrata (1996), nella lettera apostolica Novo millennio ineunte (2001), nell’istruzione Ripartire da Cristo(2002) e nell’enciclica Deus caritas est
(2005).
Il primo di questi orientamenti è ripartire da Cristo, ossia la santità come programma pastorale. «Ripartire da Cristo, commenta don Pascual, significa proclamare che la vita consacrata è speciale sequela di lui e «memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù». Ciò «comporta una particolare comunione d’amore con lui, diventato il centro della vita e la fonte continua di ogni iniziativa»… Gesù Cristo, “oggi, ieri e sempre” (Eb 13,8), è il programma pastorale della Chiesa del terzo millennio: «un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture…Non esito a dire, con Giovanni Paolo II, che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità»; è il «fondamento della programmazione pastorale».
In secondo luogo, testimoniare Cristo, ossia considerare l’evangelizzazione come missione prioritaria, ricordando quello che scrivono gli Atti: «Noi non possiamo non parlare delle cose che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Infatti, come diceva Benedetto XVI ai giovani alla conclusione della Giornata per la gioventù a Colonia, «chi ha scoperto Cristo, deve portare altri verso di lui. Una grande gioia non si può tenere per sé».
In terzo luogo, ritornare ai giovani mediante una presenza che sia segno dell’amore di Cristo. In questa pastorale va compresa anche quella vocazionale: «Vogliamo stimolare i giovani a prendere coscienza della propria attiva responsabilità nella vita ecclesiale… È “compito primario” di tutti noi, come si legge in Vita consecrata, “quello di proporre coraggiosamente, con la parola e l’esempio, l’ideale della sequela di Cristo, sostenendo poi la risposta agli impulsi dello Spirito nel cuore dei chiamati” (64)».
SFIDE E PROSPETTIVE
DALLA VITA CONSACRATA
Infine le sfide e le prospettive che derivano dalla vita consacrata. Don Pascual accenna soprattutto a quelle interne. Anzitutto la sfida riguardante la sua identità. Questa oggi è resa più incerta dall’insistenza che si pone su una sua rifondazione, sul mancato discernimento delle nuove forme di vita consacrata e dalla debolezza stessa della teologia delle vocazioni cristiane. Inoltre, ha precisato, la vita consacrata non riesce sempre a trovare le vie per esprimere la sua profezia e credibilità: «La missione ha bisogno di spingersi con maggior audacia sulle frontiere della povertà e dell’evangelizzazione. La sequela di Cristo domanda di trovare forme di autentica radicalità evangelica. La vita fraterna fa difficoltà a manifestare la comunione di fronte alle nuove esigenze dell’interculturalità e della globalizzazione. La vita spirituale è ancora alla ricerca delle modalità per essere vissuta e comunicata». Inoltre la sfida, sentita come una minaccia, dell’incertezza del futuro, soprattutto per gli interrogativi che si pongono sulla sua sopravvivenza in alcune aree geografiche.
Accennando infine alle prospettive, il padre ha sottolineato quanto sia importante saper suscitare fascino per la forma di vita consacrata «rendendola bella e attraente». In che senso? «Fascino è ciò che produce allegria comunicativa, forte attrazione, soave freschezza, stimolante ottimismo. La vita consacrata deve continuare a suscitare grazia e simpatia, fantasia e immaginazione; essa deve far sorgere forza, entusiasmo, aspettativa». In secondo luogo sviluppare l’identità carismatica, poiché «la debolezza di proposta provoca lo sviluppo di identità incerte e confuse».
In terzo luogo essere segno profetici e credibile, ossia «continuare la ricerca per trovare forme di profezia e credibilità non solo personali ma anche istituzionali», tornando «a uno stile di vita più semplice e povero, sobrio ed essenziale», semplificando « le strutture che sovente sono diventate un peso e che rendono servizi ma che non sempre fanno presente Dio».
Infine, formare persone appassionate, «appassionate per Dio e come Dio». Perciò «è importante confermare i fratelli nella vocazione, ravvivare il dono da essi ricevuto mediante la professione religiosa, motivare la risposta generosa, sostenere la fedeltà vocazionale. La formazione offre motivazioni, propone orizzonti di significato, indica cammini di crescita per tutte le fasi della vita, apre al discernimento spirituale, sostiene la vocazione». Fin qui don Pascual.
I salesiani hanno ora a disposizione un anno abbondante per prepararsi al capitolo e certamente durante questo tempo potranno raccogliere numerosi contributi da ogni parte del mondo, e completare così le linee indicate dal loro rettor maggiore, don Pascual Chávez.
A. D.