INCONTRO TRA IL PAPA E IL PRIMATE ANGLICANO
OLTRE IL SEMPLICE ANNIVERSARIO
L’occasione è stata
offerta dal quarantesimo anniversario dell’incontro tra Paolo VI e l’allora
primate anglicano Michael Ramsey e della contestuale fondazione del Centro
Anglicano a Roma. Restano le difficoltà, ma i rapporti tra le due Chiese sono
cordiali e costruttivi.
Ha rischiato, sul piano mediatico, di finire compresso fra due avvenimenti assai attesi, per diversi motivi: da una parte, il primo faccia a faccia tra Benedetto XVI e il nuovo presidente della repubblica, Giorgio Napolitano (avvenuto il 20 novembre), e dall’altra il primo viaggio del papa tedesco in un paese musulmano strategicamente decisivo anche per il futuro dell’Unione Europea, quale la Turchia (dal 28 novembre al primo dicembre). Eppure, il faccia a faccia tra l’arcivescovo di Canterbury e capo degli anglicani, reverendo Rowan Williams, e il leader dei cattolici, svoltosi il 23 dello stesso mese, era a buon diritto ritenuto un evento rilevante, non solo dagli addetti ai lavori. Anche in questo caso, per più di una ragione.
UN MOMENTO
DELICATO
Sul piano storico, l’occasione del rendez-vous era stata offerta dal quarantesimo anniversario tanto dell’incontro tra Paolo VI e l’allora primate anglicano Michael Ramsey, che concretamente impresse un nuovo slancio ai rapporti fra le due confessioni cristiane, quanto della contestuale fondazione del Centro Anglicano a Roma. Rispetto all’oggi, poi, si trattava di tastare il polso alle relazioni attuali, in un momento variamente delicato per entrambe le chiese: con Roma impegnata a metabolizzare l’eredità del lunghissimo pontificato wojtyliano nell’ambito del dialogo interreligioso, e ancora scossa dalle polemiche con l’islam del dopo-Ratisbona, e Canterbury squassata da una crisi interna che si sta trascinando da gran tempo, su temi che riguardano il rapporto complesso con la modernità (dall’ordinazione femminile, approvata ufficialmente nel 1992, alla questione omosessuale, con l’ordinazione di pastori dichiaratamente tali e le unioni gay, e alla recentissima apertura all’ipotesi di eutanasia passiva per i neonati prematuri con gravi malformazioni). Senza dimenticare una tappa non secondaria nell’itinerario comune sul versante teologico, l’uscita – nel maggio 2005 – del documento congiunto su Maria: grazia e speranza in Cristo, incentrato sull’affermazione per cui quando Maria è vista chiaramente in relazione a Cristo e alla Chiesa, non provocando una diminuzione rispetto all’unico ruolo salvifico di Cristo stesso, la devozione a lei non rappresenta un ostacolo per le relazioni anglicano-cattoliche.
Viatico consolante alla visita romana si è rivelato un appuntamento che i commentatori hanno definito in qualche modo storico, la prima riunione bilaterale fra la Camera dei vescovi della Chiesa d’Inghilterra (anglicana) e la Conferenza episcopale dei vescovi di Inghilterra e Galles, tenutasi fra il 14 e il 15 novembre a Leeds. I lavori, presieduti dallo stesso arcivescovo Williams e dall’arcivescovo cattolico di Westminster, cardinale Cormac Murphy-O’ Connor, si sono svolti in un clima fraterno, basandosi – a detta degli stessi organizzatori – «sulla preghiera condivisa, sul dibattito e sul desiderio di un ulteriore sviluppo dei punti di vista cristiani condivisi». Le riflessioni si sono fondate sull’elaborazione della Commissione internazionale anglicano-cattolica per l’unità e la missione (IARCCUM), il cui documento finale dovrebbe essere pubblicato nel corso del 2007. In occasione del meeting, i due presidenti hanno emesso una significativa dichiarazione congiunta, in cui fra l’altro si recitava: «Molti di noi si ritrovano già regolarmente in riunioni regionali e locali, e sono coinvolti in una vasta gamma di progetti condivisi… riconosciamo l’importanza di lavorare insieme per presentare una testimonianza cristiana condivisa alla nostra società, e l’importanza di lavorare con altre denominazioni cristiane e con altri credo per far progredire il bene comune della società». E ancora: «La nostra fede cristiana è radicata nel nostro battesimo comune. La nostra comunione, tuttavia, rimane imperfetta. Il nostro entusiasmo per il dialogo significa che dobbiamo essere onesti nel trattare i temi sui quali non siamo d’accordo. Ciò è possibile quando ci sostiene il Vangelo. Confidiamo che lo Spirito Santo guidi il nostro pellegrinaggio verso l’unità e la missione comune».
UNA CERTA CRISI
NEL REGNO UNITO
Per collocare ancor meglio gli eventi di novembre, sarà utile tenere a mente qualche coordinata sull’anglicanesimo, che – nato sul suolo inglese e sin dall’origine strettamente intrecciato con le vicende e la cultura di quel paese – è oggi diffuso in tutto il mondo. Le ultime stime parlano di quasi 79 milioni di aderenti, con una quindicina di comunità anche in Italia, formate in prevalenza da cittadini di origine inglese, americana, canadese o australiana. Sorta in conseguenza dell’Atto di Supremazia del re Enrico VIII (1534), preceduto dalla scomunica di Roma, sin dai suoi esordi, la chiesa anglicana si presenta, nei fatti, come una sorta di terza via tra il protestantesimo e il cattolicesimo, storicamente divisa fra due movimenti detti chiesa alta (più filocattolica) e chiesa bassa (più filoprotestante).
Schematizzando al massimo, si può dire che essa accolga gli elementi essenziali della teologia protestante sul piano dottrinale (rifiuto del papato, giustificazione per fede, riduzione dei sacramenti all’eucaristia e al battesimo, sola Scriptura, e così via); mentre si mantiene assai prossima a quella cattolica sul piano liturgico e sulla struttura ecclesiastica (sostanzialmente gerarchica, con diocesi, vescovi e arcivescovi). Oggi, al contrario di quanto accade in svariati altri paesi su scala mondiale, dove gode di buona salute e viene segnalata in decisa crescita, la chiesa anglicana sta attraversando proprio nel Regno Unito una certa crisi, del resto non riducibile ai ben noti casi dell’ordinazione femminile e dell’omosessualità. Di tale crisi sarebbe sintomo, fra gli altri, il passaggio alla chiesa di Roma di non pochi personaggi pubblici: lo stesso primo ministro Tony Blair è da tempo segnalato in bilico fra le due appartenenze, sull’esempio della moglie, cattolica
Secondo alcuni analisti, il problema di fondo consisterebbe nello stretto legame fra chiesa e potere politico, risalente alle sue stesse origini (il sovrano del Regno Unito è, da sempre, automaticamente pure capo della Chiesa d’Inghilterra, anche se non della Comunione anglicana, su cui non ha invece alcuna autorità): se la tensione tra dimensione temporale e sfera spirituale può considerarsi una spina nel fianco per diverse confessioni cristiane, nel caso inglese la situazione si presenta particolarmente complessa. Oltre Manica, infatti, non si è verificata quella sorta di purificazione dal potere che – pur con ambiguità mai sopite del tutto – nel caso di Roma è derivata dalla fine del governo del papa-re e, nel caso dell’Est europeo, dalla persecuzione e dai martiri inflitti all’ortodossia dai regimi comunisti.
L’INCONTRO
CON IL PAPA
Ma veniamo ora all’incontro fra Benedetto e Rowan Williams, definito unanimemente cordiale: che ha prodotto, va detto da subito, uno scambio franco, ancorché rispettoso dei rispettivi carismi (questo, peraltro, dovrebbe essere il sale del dialogo autentico, più che un rituale cocktail di reciproche effusioni e reciproci salamelecchi!). I due uomini, fra l’altro, si stimano anche personalmente, tanto che nel palazzo apostolico sono stati ospitati anche la moglie del primate anglicano, Jane, e il figlioletto decenne Philip, che – riferiscono le cronache – ha portato in dono al pontefice una cartolina con le firme degli amici e la scritta: «Con amore dai ragazzi della cattedrale di Canterbury». Williams, in precedenza, si era recato a pregare sulla tomba di Giovanni Paolo II.
«Il nostro lungo cammino insieme – si legge nella Dichiarazione congiunta conclusiva – rende necessario riconoscere pubblicamente la sfida rappresentata dai nuovi sviluppi che, oltre a essere motivi di divisione per gli anglicani, costituiscono seri ostacoli al nostro progresso ecumenico». Richiamando la storica visita di Ramsey a papa Montini, il documento sottolinea «il bene che è uscito da questi quattro decenni di dialogo» ma afferma altresì l’urgenza, «nel rinnovare il nostro impegno nel proseguimento del cammino verso la piena e visibile comunione nella verità e nell’amore di Cristo», di impegnarsi «in un continuo dialogo per affrontare gli importanti argomenti» ecclesiologici ed etici «che rendono il percorso più arduo e difficile». Non è difficile leggere, e neppure fra le righe, che qui si alluda alle questioni sopra citate in ambito morale e al tema, sempre incombente, del primato petrino. Qualche tempo fa il cardinale Walter Kasper, presidente del pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, si è spinto a dichiarare che l’eventuale decisione anglicana di consacrare delle donne al rango di vescovo rappresenterebbe un «ostacolo insormontabile» al conseguimento della piena unità.
Anche per bocca del papa, nel frangente, c’è stata l’occasione per ribadire che a suo vedere si tratta di temi «di vitale importanza per la predicazione del Vangelo nella sua integrità e che il dibattito in corso al riguardo al vostro interno condizionerà il futuro delle nostre relazioni». Dopo aver espresso gratitudine per la presenza di Williams ai funerali del suo predecessore e all’inaugurazione del suo pontificato di un anno e mezzo prima, Ratzinger ha reso esplicito l’auspicio che, nonostante le criticità, «il lavoro del dialogo teologico, che ha registrato un non basso grado di accordo su questi e altri importanti temi teologici, continuerà ad essere considerato seriamente nel vostro discernimento», fino a formulare l’augurio: «è nostra speranza che la Comunione anglicana rimanga fondata sui Vangeli e sulla Tradizione apostolica che costituiscono il nostro patrimonio comune e sono le basi della nostra comune aspirazione a lavorare per la piena e visibile unità».
Pure da parte di Williams non è mancato un riferimento alla complessità della fase attuale: e se «il percorso vero l’unità non è agevole» e le «discussioni su come applichiamo il Vangelo alle sfide della società moderna possono spesso oscurare o addirittura minacciare quanto è stato conseguito in termini di dialogo, comune testimonianza e servizio», a suo parere «solo un’amicizia fondata fermamente in Cristo ci renderà capaci di essere onesti nel parlare l’uno con l’altro di queste nostre difficoltà e nel discernere un modo» per essere «pienamente fedeli al nostro compito di discepoli di Cristo».
Nella Dichiarazione congiunta, quindi, sono presenti i richiami a una serie di ambiti comuni di testimonianza e servizio in cui le due chiese sarebbero chiamate a impegnarsi il più possibile assieme, fino a ipotizzare una più stretta cooperazione vicendevole: a partire dal perseguimento della pace in Terra Santa e in altre parti del mondo sfigurate dai conflitti e dalla minaccia del terrorismo, per giungere a un lavoro comune anche nella promozione del rispetto per la vita dal concepimento alla morte naturale; nella difesa della santità del matrimonio; nel soccorso ai poveri, agli oppressi e ai più vulnerabili, specialmente quelli che sono perseguitati a causa della fede; nella salvaguardia dell’ambiente e nella lotta agli effetti negativi del materialismo. Fino a ribadire la centralità del dialogo interreligioso attraverso cui congiuntamente raggiungere i fratelli e sorelle non cristiani.
Facendo memoria della visita del predecessore, quarant’anni fa, Williams ha proseguito: «Sono qui oggi per celebrare la crescente collaborazione tra anglicani e cattolici, ma anche per ascoltare e comprendere le preoccupazioni che Lei vorrà condividere con me». Per poi concludere: «Uno scambio onesto delle nostre preoccupazioni non potrà cancellare ciò che possiamo affermare e proclamare insieme».
Nell’eterno movimento a pendolo del cammino ecumenico, messi accanto alla recente ripresa di contatti fruttuosi fra le Chiese cattolica e ortodossa con la Commissione mista teologica (Belgrado, settembre 2006), i due eventi di Leeds e Roma possono consentirci finalmente di pensare a una stagione nuova, di frutti copiosi e di rinnovata speranza? Ovviamente, ci auguriamo di sì. Anche se non sono mancati, nel frangente, i commenti pessimisti, e le allusioni alla nebbia che, invece, sarebbe ormai calata sul percorso ecumenico. Senza nascondersi i tanti nodi ancora irrisolti, è sensato infatti rinviare ai primi propositi da vescovo di Roma di Joseph Ratzinger, tutti improntati a dichiarare come la ricostruzione di una piena e visibile unità delle chiese cristiane è uno dei compiti fondamentali del successore di Pietro. Fino ad affermare solennemente, proprio il 20 aprile 2005 (al termine della concelebrazione nella Cappella Sistina coi cardinali elettori), che per ricostruire tale unità non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti, ma occorrono gesti concreti che sollecitino gli animi a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso reale sulla via dell’ecumenismo.
Brunetto Salvarani