Assemblea dei superiori generali

INSIEME PER IL REGNO

 

Per la prima volta un duplice e significativo incontro dell’USG, con le superiore generali e con il dicastero vaticano della vita consacrata. Sempre più urgente una specie di “globalizzazione” anche delle forze impegnate nel campo della vita consacrata.

 

L’ultima assemblea semestrale dell’Unione dei superiori generali (USG), svoltasi come di consueto presso il Salesianum di Roma, dal 22 al 24 novembre, ha avuto come tema centrale quello della collaborazione, sia con le superiore generali (UISG) che con la Congregazione vaticana per la vita consacrata. “Insieme per il Regno” è stato il tema di fondo che, per la prima volta, ha visto confrontarsi organismi di governo al vertice della vita consacrata finora, forse, anche troppo equidistanti l’uno dall’altro. Mentre nella prima giornata i superiori generali (un centinaio) si sono posti a confronto con le superiore generali (una settantina), nel secondo giorno l’incontro è avvenuto tra i superiori generali e il dicastero vaticano per la vita consacrata nella persona del suo nuovo segretario, mons. Agostino Gardin, dei due sottosegretari, sr. Enrica Rosanna, p. Vincenzo Bertolone e p. Eusebio Hernandez.

Il prefetto del dicastero, cardinal Franc Rodé, nella concelebrazione eucaristica della prima giornata, ha dilatato ulteriormente le prospettive della collaborazione invitando i consacrati a vivere il dono del proprio carisma insieme ai pastori della Chiesa, agli altri istituti di vita consacrata, ai fedeli laici e a tutti gli uomini di buona volontà. Inserendosi pienamente nella vita delle proprie chiese locali, anche i consacrati dovrebbero per primi saper vivere per la Chiesa, con la Chiesa e nella Chiesa. È fin troppo facile comprendere la portata di questa collaborazione e di questa corresponsabilità ecclesiale anche solo pensando ai numeri dei consacrati attualmente presenti nel mondo: 800.000 religiose e 196.000 religiosi circa.

«Se camminiamo insieme per il Regno, ha detto, aprendo i lavori, il presidente dell’USG, fr. Alvaro Rodriguez – giunto con questa assemblea al termine del suo mandato – è necessario che ci incontriamo, che ci sosteniamo a vicenda, che condividiamo le nostre esperienze e troviamo forza e appoggio nelle nostre difficoltà». Dopo la “meravigliosa esperienza” del congresso internazionale del 2004, «è indispensabile che ci aiutiamo perché la nostra vita religiosa possa offrire una scala di valori alternativa, critica rispetto allo status quo, modello ispiratore per la nostra società, ispirata da valori del Vangelo per la costruzione di una nuova società che abbia Gesù Cristo come modello di pienezza».

Sull’importanza e sulle difficoltà insieme della collaborazione fr. Alvaro ha voluto significativamente citare un passo di p. Kolvenbach, tratto da una sua conversazione con Jean-Luc Pouthier. Nell’assemblea dei superiori generali delle famiglie religiose, ha detto il superiore generale dei gesuiti, «l’ambiente è sempre eccellente. Siamo solidali malgrado le difficoltà. Regna l’amicizia tra noi. Però, esiste un progetto comune, una vera collaborazione? Se la mancanza di personale obbliga una famiglia religiosa a chiudere una istituzione importante (un caso meno frequente di quello che potrebbe sembrare), si apre forse la possibilità di unire le sue forze con quelle di un’altra famiglia religiosa? Sicuramente nessuno si negherebbe; però nessuno fa questo passo. Sono persino abbastanza visibili le manifestazioni di rivalità. Ammesso che la diversità costituisce una grazia per la Chiesa, però l’efficacia nella collaborazione si presenta carente in quasi tutte le parti. E molte volte, disgraziatamente, per ragioni meramente formali o istituzionali».1

 

PENSARE E AGIRE

GLOBALMENTE

 

Diversamente dalle altre assemblee, questa volta non ci sono state relazioni di fondo. Si è partiti dal presupposto di una sempre più urgente e necessaria azione comune. Ma forse non sarebbe stata fuor di luogo una seria rivisitazione storica delle ragioni per cui in passato, anche recente, ognuno ha sostanzialemente camminato per la propria strada, nel rispetto, certo, delle proprie legittime competenze, ma anche non senza, a volte, rilevanti contrapposizioni. Le due comunicazioni, nella prima giornata, di fr. Pascual Piles e di sr. Mary Wright, sono servite a stimolare la riflessioni dei gruppi di studio. Fr. Piles, sostituito nell’ottobre ascorso come superiore generale da fra Donatus Forkan, ha illustrato soprattutto la realtà della collaborazione in atto nel suo istituto dei Fatebenefratelli, un istituto con 1.350 membri (solo il 10% sacerdoti), presente in 51 paesi nei cinque continenti, alle prese ogni giorno con «collaboratori di religioni orientali, islamici, di confessioni cristiane non cattoliche, cattolici non praticanti, cattolici in situazione irregolare, ferventi cattolici e agnostici». Oltre ai propri religiosi, i Fatebenfratelli possono oggi contare su 45.000 collaboratori, 10.000 volontari e 300.000 benefattori. A tutti i collaboratori, ha detto, «presentiamo il nostro progetto, basato su valori umani che condividiamo, sostenuti dalla fede in Gesù Cristo, con quanti vivono con una certa profondità la nostra fede». Nella selezione del personale, a parità di condizioni, «cerchiamo di privilegiare la dimensione della fede in Gesù Cristo, dell’essere credenti, partendo comunque dalle qualità professionali e umane».

Amministrare, ha detto in particolare fr. Pascual Piles, significa «ripartire equamente le risorse, commisurare la partecipazione alle responsabilità, scegliere le persone adatte, delegare alcune funzioni, motivare, garantire una remunerazione soddisfacente, assicurare la sicurezza del lavoro, creare un senso di appartenenza, trasmettere i valori dell’istituzione, lavorare in équipe interdisciplinari, prevedere lo spazio da dare all’azione sindacale, valutare gli atteggiamenti da adottare nei mementi conflittuali».

Sr. Mary Wright ha cercato di chiarire il non facile cammino di collaborazione fra i diversi istituti di vita consacrata negli Stati Uniti. Spesso l’esigenza di unire le forze nasce dal semplice fatto che molti istituti oggi non sono più in grado, da soli, di rispondere alle finalità per le quali sono stati fondati. Quando si rifiuta di entrare in collaborazione, oggi si è sicuramente destinati a una morte prematura.

Bisogna avere il coraggio di invertire una diffusa tendenza del passato ad agire localmente e a pensare globalmente. Oggi è giunto il momento, invece, di agire globalmente, lavorando costruttivamente insieme, valorizzando tutte le proprie esperienze, le proprie risorse, i propri carismi. «La missione che noi serviamo non è nostra, non è del nostro istituto, e neanche, a volte, solo della Chiesa. è di Cristo».

 

COLLABORARE Sì

MA COME?

 

Nei vari dai gruppi di studio, si è provato a rispondere ad una domanda precisa: “Nel contesto della spiritualità di comunione del nuovo millennio, cosa significa “collaborare”? Significa, è stato detto, unire i carismi in vista della missione e soprattutto elaborare una strategia che renda più visibile, credibile ed efficace la vita consacrata nel mondo. Significa puntare decisamente sulla intercongregazionalità come “nuovo modello” di vita consacrata, convinti che prima del carisma di un singolo istituto viene il comune impegno per la costruzione del Regno e per la missione comune della Chiesa. Significa ancora privilegiare l’unità sulla diversità.

È molto positivo il fatto, è stato ancora osservato, che si mettano in evidenza le difficoltà concrete della collaborazione. È una spinta in più per ristrutturare radicalmente le proprie opere in vista dell’evangelizzazione. Rimane sempre vero il fatto, comunque, che non si può mai trasferire da un posto all’altro determinate esperienze di collaborazione. Bisogna che questa avvenga sempre nel pieno rispetto delle esigenze religiose, sociali, culturali dell’ambiente in cui si vive. Quando ci si trova insieme a collaborare per un grande progetto, è molto più facile relativizzare e ridimensionare i propri piccoli progetti. L’esperienza insegna che molto spesso è più facile dar vita a nuovi progetti che rivitalizzare quelli già esistenti.

La collaborazione, sicuramente più facile tra istituti con un carisma similare, non si inventa da un giorno all’altro. È necessaria una specifica formazione anche a questo riguardo. Per portare a termine un progetto di collaborazione servono tante cose: una convinzione decisa, un progetto chiaro, i mezzi umani ed economici adeguati, la consapevolezza di rispondere a necessità reali, la disponibilità alla verifica costante di ciò che si intende realizzare. È indispensabile, naturalmente, anche un leader autorevole, capace soprattutto di mantenere l’unità fra tutte le persone coinvolte nel progetto. Ciò che manca e che sarebbe invece particolarmente urgente far nascere un po’ in tutti gli istituti religiosi è una vera e propria “cultura della collaborazione”.

 

IL “RITORNO A CASA”

DI MONS. GARDIN

 

Nella seconda giornata di lavori, con la presenza dei soli superiori generali, si è avviato un confronto con i responsabili del dicastero vaticano per la vita consacrata. Per il nuovo segretario, mons. Agostino Gardin, come ha detto fr. Alvaro nel suo saluto, e come lui stesso ha confermato, è stato in qualche modo un “ritorno a casa”. Mons. Gardin, infatti, oltre a essere stato dal 1995 al 2001 ministro generale dell’ordine dei francescani conventuali, per un breve periodo, aveva presieduto anche l’USG. La sua attuale responsabilità a livello di dicastero, ha sicuramente contribuito a favorire e a sollecitare questo incontro, molto spontaneo e informale, con i superiori generali.

Mons. Gardin ha esordito osservando di non poter e di non dover dire troppe cose, dal momento che il suo nuovo incarico è iniziato praticamente solo da due mesi. Ha riaffermato la sua ferma convinzione sull’importanza di questi incontri, impegnatosi formalmente a seguire anche in futuro le assemblee dei superiori/e generali. Visto dall’esterno, ha aggiunto, il dicastero vaticano per la vita consacrata potrebbe dare una accentuata impressione di burocratizzazione. Dall’interno è forse più facile coglierne tutta la sua complessità. Anche se i problemi di carattere giuridico non mancano, è sua intenzione favorire soprattutto l’animazione teologica e pastorale della vita consacrata.

Proprio per questo ha ribadito la sua convinzione di una più stretta collaborazione tra dicastero e USG. L’esigenza di camminare insieme, ha ricordato anche nell’omelia durante la celebrazione eucaristica, non può essere dettata da ragioni puramente funzionali. Si deve camminare insieme soprattutto e prima di tutto per delle ragioni profondamente teologiche.

Il confronto con i superiori generali si è svolto su un tono molto tranquillo, anche troppo se si pensa a situazioni e a tensioni verificatesi nel passato. L’intervento informale più lungo è stato quello di p. Eusebio Hernandez che ha illustrato il funzionamento concreto dei quattro uffici del dicastero vaticano, da quello per la promozione e la formazione a quello per l’approvazione e l’ordinamento, a quello per il governo, la vita e l’apostolato dei singoli istituti, a quello, infine, per la disciplina e i beni.

Subito dopo si è aperto un dibattito in assemblea. Numerose le domande dei superiori generali, come quelle relative ad un più facile ottenimento del visto per l’India,

all’opportunità di alcuni criteri nel sempre più frequente campo dell’alienazione dei beni immobili degli istituti religiosi, sul come conciliare il rispetto della persona da una parte e quello dell’istituzione dall’altra nel caso di religiosi che entrano in crisi, sulla opportunità di una maggiore e più diretta e reciproca conoscenza tra istituti religiosi da una parte e dicastero vaticano dall’altra, sugli aiuti economici da dare ai confratelli che lasciano l’istituto, sulla vexata quaestio, negli istituti religiosi clericali, della possibilità o meno di eleggere come superiore anche un fratello non sacerdote, sull’esigenza di una maggiore e più concreta leadership femminile negli ambienti ecclesiali, su una più sistematica collaborazione fra le due unioni dei superiori e delle superiore maggiori con il dicastero vaticano, sulla frequente scarsa considerazione della vita consacrata da parte dei vescovi.

Nel breve tempo a disposizione, era difficile dare una risposta esauriente a tutte queste domande. Alcune puntuali precisazioni sono state offerte di volta in volta anche da parte dei due sottosegretari. Ma al di là di quanto s’è detto o si sarebbe potuto dire, è forse il caso di osservare che qualcosa di nuovo sta nascendo nei rapporti tra USG e dicastero vaticano per la vita consacrata. Una buona parte di queste nuove responsabilità, nel prossimo triennio, ricadranno direttamente anche sulle spalle del nuovo presidente dell’USG, don Pascual Chávez Villanueva, rettor maggiore dei salesiani, eletto proprio al termine dell’assemblea. Quasi non bastassero gli impegni ordinari e i lavori preparatori per il capitolo generale del suo grande istituto, toccherà anche a lui stimolare i superiori generali a camminare verso il Regno insieme a quanti, organismi centrali, istituti e singoli religiosi, sta veramente a cuore il futuro della vita consacrata.

 

Angelo Arrighini

 

1 En la Calle del Espiritu Santo, Sal Terrae, 2005.