SESTO RAPPORTO DELL’ISTITUTO IARD
UNA GENERAZIONE DI GIOVANI SFIDUCIATI?
Una generazione
di giovani sfiduciati, in cerca di protezione e senza progetto di vita.
Preferiscono la socialità ristretta e non l’impegno collettivo, non vogliono
fare scelte troppo vincolanti per il futuro. Chiamano in causa gli adulti e le
agenzie formative, in particolare la Chiesa.
In Svizzera nel 2004 di fronte ai giovani, un
Giovanni Paolo II stanco e malato, scelse una insolita pagina del Vangelo (Lc
7,11-17) per scuotere i suoi interlocutori: a Nain era morto un giovane, figlio
unico di una madre vedova. Gesù incontra il corteo diretto al cimitero, mentre
un corteo festoso attraversa il paese, formato dai discepoli e altre persone.
Quei due cortei hanno qualcosa da dire ai giovani: «Veramente avete dinanzi a
voi due vie divergenti: potete perdervi e, in un certo senso, morire; e potete
seguire la strada di Gesù che vi si avvicina, vi prende per mano, vi
risveglia».
In un contesto quotidiano, sovrastato
dall’effimero, si spingono i giovani a consumare e non ad ascoltare; o meglio,
ad ascoltare le voci più strane e non quelle della coscienza; a chiudere gli
occhi su uno stile di vita sfrontato, invece di tendere l’orecchio alle voci
dei poveri. Ecco i giovani disincantati, dopo che i diversi messianismi
secolarizzati del XX secolo si sono rivelati veri e propri inferni; perciò il
papa li sfidava: «Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo
non vi presterete a essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la
pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete a un
mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di
lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi
sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile
per tutti».
LA FOTOGRAFIA
DI UNA GENERAZIONE
Siamo appieno dentro la fotografia dal sesto
Rapporto dell’Istituto Iard (che ha al suo attivo venti anni di analisi a
confronto, dal 1983, per capire come sono cambiati i giovani italiani). Ci
viene incontro una generazione di giovani sfiduciati, privi di un progetto di
vita. Preferiscono la socialità ristretta e non l’impegno collettivo, credono
più nella famiglia e nella pace che nel lavoro e nella carriera.
Se nel 1983 usciva di casa il 17% dei 15-17enni,
oggi soltanto il 3%. Situazione simile anche per le altre fasce di età: per i
18-20enni si è passati dal 39% al 25%. Solo dopo i 25 anni si registrano le
prime consistenti uscite di casa, spesso in concomitanza con il matrimonio o la
convivenza; tuttavia quasi il 70% dei 25-29enni e oltre un terzo tra i
30-34enni (36%) vive ancora con i genitori. «Su questi processi esercitano
un’importante influenza molti aspetti della società odierna – commenta
Alessandro Cavalli, presidente del comitato scientifico Iard – percorsi di
studio più lunghi che in passato, con ingresso più tardivo nel mondo del
lavoro, si pensi che tra i 25-29enni c’è ancora un 35% di giovani che non
lavora e tra i 30-34enni è il 23%, e la precarizzazione del mercato del
lavoro». Inoltre, il tasso di nuzialità dei 20-24enni è più che dimezzato dal
1983 al 2004, passando dal 20% all’8%; similmente, è sceso dal 36% del 1992 al
27% per i 25-29enni. Non stupisce, pertanto che il tasso di natalità del nostro
paese risulti così basso: la percentuale di 20-24enni nel ruolo di genitori
passa dal 12% del 1983 al 4% nel 2004. Nel 1992, i 25-29enni genitori erano il
21% contro l’attuale 16%; nel 2000 i 30-34enni con figli erano il 44%, nel 2004
il 40%.
Impegnarsi in scelte troppo vincolanti non
piace: se questo era vero nel 1987 per il 65% degli intervistati oggi lo è per
l’80%. Nell’ultimo decennio si è diffusa proprio l’idea che nella vita anche le
scelte più importanti non sono “per sempre” (dal 49% del 1996 al 54% del 2004).
Seppure ogni scelta è considerata reversibile, ci sono valori però che
rimangono ai primi posti: la salute che raccoglie il consenso della quasi
totalità del campione (92%), seguita dalla famiglia (87%) e dalla pace (80%), a
pari merito con il valore della libertà. E ancora: l’amore (76%) e l’amicizia
(74%). Accanto alla famiglia considerata stabilmente negli anni quale valore
chiave, i dati mostrano una crescita dell’amicizia (nel 1983 era considerata
molto importante dal 58% dei giovani; nel 2004 dal 78%). L’importanza
attribuita alla dimensione lavorativa invece passa, negli anni 1983-2004, dal
68% al 61% dei consensi.
Sorprende la diminuita importanza attribuita al
valore della solidarietà: negli ultimi otto anni passa dal 59% dei consensi al
42%. «Le cose importanti per i giovani, commenta Antonio de Lillo, presidente
Iard, sono sempre più quelle legate alla sfera della socialità ristretta, a
scapito dell’impegno collettivo».
GIOVANI E
CITTADINANZA
A questo proposito va considerato il rapporto
con la politica: l’impegno vero e la fiducia negli uomini politici si attesta
su livelli molto bassi (rispettivamente 4% e 12%). Cresce contemporaneamente
l’atteggiamento di delega (il 35% pensa che si debba lasciare la politica a chi
ha la competenza per occuparsene, contro il 26% del 1996). Il fatto di sentirsi
disgustati verso certi modi di fare politica è un dato che dagli anni ‘80 è
cresciuto a lungo in modo esponenziale dal 12% al 23%.
Un trentenne su due dichiara comunque di aver
assistito a un dibattito politico, un 15-17enne su tre di aver partecipato a un
corteo, quasi 1 maggiorenne su 4 di aver firmato per un referendum e 1 su 10 di
aver aderito a un boicottaggio. Si assiste poi a un calo costante
dell’importanza attribuita a mantenere l’ordine della nazione (dal 36 % del
1992 al 26% del 2004) e a dare maggior potere alla gente nelle decisioni
politiche (dal 32% al 14%); mentre è in crescita l’idea che la politica debba
proteggere la libertà di parola dei cittadini (dal 25% al 35%).
Dagli anni ‘80 a oggi dunque si registra il
declino della fiducia nei confronti di molte istituzioni: scuola, polizia,
militari di carriera, banche e uomini politici. Crolla anche la fiducia da
parte dei giovani verso la televisione: si passa dal 47% di coloro che si
fidavano della televisione privata nel 1996, al 33% del 2004; e per quella
pubblica dal 53% dei consensi si passa al 38%. Una generale sfiducia verso chi
ha in mano l’amministrazione e un bisogno di maggiore tutela, che si confermano
in preoccupanti segnali che vengono dalla cronaca quotidiana e che in certi
casi fanno guardare ai giovani soprattutto come a un problema.
Questo scenario è confermato anche dal recente
Annuario statistico 2006, che dipinge un paese “deprimente”: un eccesso di
procedimenti pendenti nei tribunali civili e penali, l’affollamento sempre
maggiore delle carceri, la difficoltà di accesso ai servizi di pubblica
utilità, da quelli sanitari all’erogazione di acqua ai trasporti pubblici. Con
una popolazione che continua a invecchiare: l’indice di vecchiaia (che misura
il rapporto tra la popolazione ultrasessantacinquenne e quella con meno di 15
anni) ha registrato al 1° gennaio 2006 un ulteriore incremento, passando dal
137,8% dell’anno precedente al 140,4%. Ormai, quasi un italiano su cinque
raggiunge i 65 anni. In aumento anche la popolazione di quelli che la
statistica definisce “i grandi vecchi”, cioè gli ultraottentenni, che hanno
superato il 5% del totale. L’Italia continua a rimanere nell’Unione Europea il
paese con la maggiore percentuale di anziani.
LE RESPONSABILITÀ
DEGLI ADULTI
I dati allora possono in fondo essere letti al
rovescio: sono i giovani in fondo a essere disillusi dagli adulti. E tale
delusione non trova voce nella protesta, quanto nel ritrarsi nel mondo sicuro
degli affetti, la famiglia e gli amici. Per loro la società è pericolosa, la
scuola è estranea, la politica un gioco sporco. I giovani manifestano
certamente diverse fragilità pur restando aperti, disponibili e generosi.
Aspirano a rapporti autentici e sono in cerca della verità, ma non trovandoli
nella realtà, sperano di scoprirli dentro di sé. Un simile atteggiamento li
predispone facilmente a ripiegarsi sulle proprie sensazioni e
sull’individualismo, mettendo al proprio servizio i legami sociali e il senso
dell’interesse generale.
Tali personalità sono, riconosciamolo, anche il
risultato di un’educazione degli adulti che li abitua a vivere costantemente a
livello affettivo e sensoriale, a detrimento della ragione intesa come conoscenza,
memoria e riflessione. Ci troviamo pertanto in un fenomeno paradossale: da un
lato si vogliono rendere i bambini autonomi il più presto possibile, e
dall’altro si vedono adolescenti giovani che stentano ad attuare le operazioni
psicologiche della separazione. Ebbene, gli adulti, che hanno fatto di tutto
perché non mancassero di nulla, hanno finito per indurre i giovani a credere di
dover soddisfare tutti i propri desideri, confondendoli con i bisogni. In
questo modo la maggior parte di essi sono diventati giocoforza succubi delle
regole della società di mercato, che conosce tutte le astuzie per trasformare i
cittadini in consumatori.
La società insomma è infantile con i giovani
perché li
Mario Chiaro