PRIMO CONGRESSO MISSIONARIO ASIATICO

RACCONTARE GESÙ IN ASIA

 

La Chiesa in Asia cresce al ritmo del 4,5% all’anno: probabile dunque che nel prossimo futuro la missione della Chiesa nel mondo sarà affidata proprio a cattolici di quest’area. Il primo congresso missionario asiatico ha messo a tema la missione come racconto della storia di Gesù.

 

Per quasi una settimana il Lotus Hotel, grande complesso alberghiero a 5 stelle a Chiang Mai (nord Thailandia), è stato definito scherzosamente “il Vaticano dell’Asia”. Dal 18 al 22 ottobre 2006 ha infatti ospitato il primo Congresso missionario asiatico (Asian Mission Congress, Amc).1 Gli sforzi organizzativi sono stati enormi: per far vivere insieme persone di differenti culture e linguaggi, occorrevano traduzioni, servizi e strutture capienti.

Ma la chiesa thailandese è riuscita a penetrare nelle strutture turistiche del paese e nella sua ospitalità. La nazione, pur segnata da un recente colpo di stato, alquanto indolore, non ha negato il visto a nessuno dei partecipanti. Solo due delegati pakistani (su 13), con il nome simile a due ricercati di Al Qaeda, non hanno ricevuto il permesso d’entrata. In altri paesi, segnati da conflitti e tensioni (India, Pakistan, Sri Lanka, Cina, Taiwan, Afghanistan, Medio oriente, Asia centrale) non sarebbe stato possibile. Altre assenze significative: la Cina, da dove non è potuto venire nessuno; e il Medio oriente (erano però presenti rappresentanti libanesi e della Chiesa di Gerusalemme).

Grazie all’impegno e alla dedizione di molti insegnanti e studenti di scuole cattoliche thai, cristiani e buddisti, abbiamo assistito a un significativo paradosso: una Chiesa fra le più piccole dell’Asia (315mila cattolici su una popolazione di 64 milioni) ha accolto una comunità apocalittica “di ogni razza, popolo e lingua” che canta le lodi dell’Agnello (Ap 7, 9-10): il pakistano a fianco all’indiano; il tamil vicino al cingalese, il paria a braccetto col brahmino, il ricco in sostegno del povero.

 

RACCONTARE GESÙ

CON ENTUSIASMO

 

Il tema dell’Amc, Raccontare la storia di Gesù in Asia… Andate e ditelo a tutti (in origine era: … una celebrazione della vita e della fede), doveva approfondire il valore della fede cattolica in un continente dominato dalle grandi religioni (buddismo, induismo, islam) e dove i cattolici sono una minoranza. Allo stesso tempo, voleva spingere alla missione e all’annuncio in paesi che in gran parte proibiscono per legge la conversione a un’altra religione. P. Chalerm Kitmongkhol, vice segretario generale dell’Amc, ha spiegato che una delle più grandi sfide della missione nel continente asiatico è «la mancanza di sostegno o addirittura la persecuzione da parte dei governi». Per questo, il Congresso doveva spingere «a condividere la felicità e l’entusiasmo della nostra fede in Gesù Cristo, riconoscendo che Dio porta riconciliazione, soprattutto nei luoghi dove vi è divisione». E ha aggiunto: «Vogliamo celebrare l’evangelizzazione all’interno delle culture asiatiche, mettendo in luce la testimonianza quotidiana, valorizzando lo scambio di esperienze e il dialogo della vita».

Un simile entusiasmo è molto visibile proprio a Chiang Mai: nella diocesi ferve una grande attività missionaria fra le tribù dei monti, dove sono presenti anche i missionari del Pime. Villaggi interi dei gruppi Karen, Lahu, Miao, Akka si stanno infatti convertendo alla fede cattolica, tanto che la diocesi di Chiang Mai è costretta ogni mese ad aprire almeno una chiesa, organizzando luoghi di preghiera e catecumenato. Anche uno sguardo ai delegati, ai sacerdoti, alle religiose fa capire che l’Asia è un paese giovanissimo (il 50% della popolazione sono giovani al di sotto dei 25 anni) e pieno di speranze.

In cantiere da più di tre anni, l’Amc è nato da alcune idee-speranze di Giovanni Paolo II: la prima, dopo il sinodo nell’Esortazione Ecclesia in Asia, secondo cui Cristo è asiatico e la fede cristiana non è una fede straniera, occidentale. La seconda è la profezia, nel suo libro Alzatevi, andiamo, per la quale il terzo millennio sarà dedicato a una promettente evangelizzazione dell’Asia, «l’Asia assetata dell’acqua viva che solo Gesù può dare». Queste sono idee-speranza perché la situazione è che, dopo secoli, la Chiesa in Asia è “un piccolo gregge”, come l’ha definito mons. Orlando Quevedo (Filippine), segretario generale della Federazione delle conferenze episcopali asiatiche (Fabc), che abbraccia circa l’1% del continente più popoloso (3,8 mld) e dà casa ai 2/3 dei poveri del mondo.

 

LA VIA ASIATICA

DELLA MISSIONE

 

Eppure, la Chiesa in Asia cresce al ritmo del 4,5% all’anno. Il fatto è strabiliante anche per le vocazioni: l’annuario statistico mostra che dal 1978 al 2004 i sacerdoti asiatici sono aumentati quasi del 100% (da 27.700 a 48.222); i seminaristi sono passati da 11.536 a 29.220 (più del 153%). A questi vanno aggiunti almeno alcune migliaia di vocazioni asiatiche negli istituti religiosi internazionali. Guardando alla riduzione di sacerdoti e vocazioni nelle chiese di antica data, la conclusione più probabile è che nel prossimo futuro la missione della Chiesa nel mondo sarà affidata a cattolici asiatici.

L’Amc doveva dunque celebrare questa vitalità strabiliante e spingere alla maturità una Chiesa che spesso vede la missione come un lavoro a cui delegare preti e suore.

 

Ma più che correggere il clericalismo, occorreva far cadere nei cattolici asiatici la mentalità di minoranza e di ghetto. Tale mentalità è molto diffusa, soprattutto a causa dell’enorme peso delle grandi religioni che da secoli plasmano le culture di questi paesi. Il senso di essere minoranza e il timore di essere accusati di proselitismo causa anche timidezza nel proporre o perfino nel dichiararsi cristiano. Per fare un solo esempio, in Thailandia centinaia di cattolici si allontanano ogni anno dalla fede cristiana dopo il matrimonio con un marito o una moglie buddista, preferendo la tranquillità silenziosa al dialogo e alla testimonianza all’interno della famiglia.

L’Amc ha puntato dunque molto nel far riscoprire l’orgoglio, la fierezza, l’entusiasmo dell’essere cristiani e poi spingere a proclamare la propria fede a tutti, coscienti che Gesù Cristo è già presente nei popoli, nelle religioni, nelle culture dell’Asia. A ognuno di questi tre campi è stata dedicata una giornata. Al mattino vi erano riflessioni teologiche e testimonianze, al pomeriggio i temi erano dibattuti in gruppi di studio, trasformando i piani dell’albergo in un enorme accampamento.

Per dare più coraggio, si è molto sottolineato il valore di una “via asiatica” della missione. Talvolta, ma non sempre, si sentiva nelle riflessioni una polemica con i missionari (occidentali) del passato. In generale però tutti i delegati, presentando la storia della loro chiesa, hanno dato ampio risalto e gratitudine ai primi evangelizzatori. D’altra parte, l’assenza delle chiese del Medio oriente (evangelizzatrici dell’India e della Cina nell’età apostolica) ha spesso ridotto la riflessione sulla storia della missione dalle conquiste coloniali in poi.

Il tema della “via asiatica” è stato affrontato in modo specifico dal giovane vescovo di Imus (Filippine), mons. Luis Antonio Tagle. Brillante e acuto, mons. Tagle ha detto che il vero metodo “asiatico”, è quello di “raccontare storie”. Il tema riprendeva quello dell’Amc (Raccontare la storia di Gesù in Asia): esso suppone una persona coinvolta con ciò che racconta, mostra i segni del suo racconto nella propria vita; non comunica “concetti” (di marca occidentale) ma fatti verificabili. Mons. Tagle ha detto anche che per “raccontare” occorre anche “ascoltare”, sottolineando il valore della contemplazione che, curiosamente, nel mondo cattolico asiatico non ha molta fortuna. I cattolici – ha affermato mons. Tagle – devono «ascoltare la storia dell’amore di Dio per noi, che è Gesù Cristo» e, dopo averla assimilata nella preghiera e nel silenzio, raccontarla a nostra volta dentro la nostra vita con «la parola, gli scritti, le foto, i video, i gesti, il silenzio, lavorando per i poveri, come Madre Teresa, ecc…». E ha concluso con l’invito ai presenti: «Andate, continuate a raccontate la mia (di Gesù) storia a tutti».

La proposta di mons. Tagle è affascinante perché sottolinea che nella missione sono importanti i fatti e non i concetti, la testimonianza gioiosa e non i discorsi o le ideologie. Alla fine però, questo metodo asiatico è in fondo lo stesso di Gesù, del “vieni e vedi”, della testimonianza apostolica. In questo senso esso è sì asiatico (perché Gesù era asiatico), ma è pure il metodo che Cristo suggerisce alle chiese d’occidente!

 

COMUNICARE LA FEDE

NEL DIALOGO INTERRELIGIOSO

 

La seconda giornata di lavori è stata dedicata alla testimonianza e dialogo con le religioni del continente. Si è molto sottolineato uno sguardo positivo verso le religioni, scoprendo il molto che abbiamo in comune con loro, per attuare un dialogo pacifico con esse, ma nulla sui problemi cocenti quali i conflitti religiosi, le leggi anticonversione; il diritto alla libertà religiosa. In privato gli organizzatori mi hanno spiegato che il congresso non voleva affrontare temi “conflittuali” (confrontational).

Nei testi preparatori dell’Amc, come anche nei documenti di lavoro compilati dai teologi della Fabc, si nota una preferenza per il dialogo piuttosto che per l’annuncio o la proclamazione, uno sguardo a Cristo come compimento indolore delle altre religioni, senza che il passaggio presenti crisi, purificazioni e soluzioni di continuità. Non così nelle testimonianze che invece hanno fatto una apologia, per nulla forzata, del cristianesimo: un giapponese che ha deciso di convertirsi a partire dal buddismo, un brahmino divenuto predicatore laico cattolico; tribù intere convertite dall’animismo. Un musulmano del Bangladesh ha perfino raccontato della sua collaborazione con altri cristiani, spesso «più vicini ai poveri rispetto ai miei fratelli musulmani».

Il terzo giorno, dedicato al racconto della storia di Gesù fra le culture dell’Asia, ha mostrato soprattutto alcuni ambiti sociologici in cui è presente la testimonianza di fede. Molto toccanti due esperienze: quella di un ricco businessman thailandese, che ha salvato un’azienda salvando anche il posto di lavoro a 700 impiegati, mostrando che la fede ha vinto sul profitto e sul consumismo; e quella dei migranti filippini, per i quali la povertà che spinge a emigrare, è un’occasione per la missione in altri paesi asiatici, come l’Arabia saudita o altri paesi del Golfo.

A conclusione del congresso, nella Giornata missionaria mondiale, mons. Vincent Conçessao, segretario per il settore evangelizzazione della Fabc, ha dato lettura del messaggio finale. Si spingono i cattolici a comunicare con coraggio e rispetto la loro fede nel dialogo con popoli, religioni, culture del continente. Si afferma che (in un mondo segnato da “conflitti etnici e tensioni religiose”) l’evangelizzazione è la strada per costruire la convivenza in Asia; che i giorni vissuti insieme mostrano come i popoli possano divenire un unico “grande arazzo” tessuto “dalla storia di Gesù”.

Anche nel messaggio comunque l’annuncio di Cristo morto e risorto viene subito assorbito nel triplice dialogo con popoli, religioni e culture, lasciando poco spazio alla proclamazione esplicita della fede. È vero che molti vescovi hanno esortato i cattolici a «essere il volto di Cristo per l’Asia», ma rimane l’impressione che “la predicazione della croce” (come san Paolo definisce l’annuncio) sia un po’ ai margini delle riflessioni teologiche della Fabc. In questi giorni alla parola “croce” si sono sempre preferiti i termini “buio”, “difficoltà”. Un altro termine per nulla usato in questi giorni è stata la parola “martirio”, anche se i vari gruppi di lavoro erano chiamati col nome dei martiri asiatici. È toccato al card. Sepe ricordare nell’omelia finale che una delle strade più fruttuose della missione è il martirio, che segna così a fondo il passato e il presente delle chiese in Asia. Del resto, fra le comunità più vive in Asia (e con meno complessi) vi sono proprio quelle chiese i cui martiri sono stati canonizzati da Giovanni Paolo II: Corea, Cina, Giappone, Vietnam, Filippine. Proprio questi paesi non solo non temono di parlare di croce e martirio, ma hanno missionari sparsi per tutta l’Asia e per il mondo intero.

 

p. Bernardo Cervellera

 

1 Accolti 5 cardinali – fra cui Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e legato papale, e Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli – oltre a 19 arcivescovi, 50 vescovi, 398 laici, 385 sacerdoti, 190 fra religiose e religiosi, più 30 rappresentanti extra asiatici da America, Oceania ed Europa.