IN MARGINE AL CONVEGNO DI VERONA
Da comunità
credenti a comunità credibili. La sfida che il convegno ecclesiale di Verona ha
lanciato alla Chiesa italiana è di passare da comunità credenti a comunità
credibili, comunità testimoni di speranza ossia di futuro. Noi religiosi
possiamo essere in prima fila nel rispondere a questa sfida.
Sarebbe un vero peccato se l’eco del Convegno
ecclesiale di Verona si spegnesse e noi perdessimo la ricchezza dei suoi contenuti
e l’appello rivoltoci da Benedetto XVI a vivere la freschezza del Vangelo, a
essere “testimoni di Gesù risorto, speranza dell’uomo”. Certo, viviamo in un
mondo dove «Dio sembra divenuto superfluo ed estraneo» e l’uomo «un semplice
prodotto della natura» che si sente libero e invece è vittima di tutti. Avremmo
molte ragioni per essere scoraggiati, ma il papa a Verona ha affermato che la
Chiesa in Italia è ancora un «terreno favorevole per la testimonianza
cristiana», un segno di speranza per un’Europa e un mondo che stanno
smarrendola.
IN UN MONDO SMARRITO
E SENZA SPERANZA
Il “secolo breve”, chiusosi con la caduta del
Muro di Berlino, non ci ha lasciato in eredità un nuovo secolo di pace. L’11
settembre 2001 ha inaugurato invece un tempo di paura, terrorismo e nuove
guerre. Sono rinate le minacce nucleari, all’orizzonte si profilano nuove
superpotenze, come la Cina e l’India, che mettono in crisi le altre economie
dell’occidente; l’ONU non è in grado di rispondere alle sfide attuali e non riesce
neppure a rispettare gli impegni del Millennium sottoscritti da tutti per
vincere lo spettro della fame nel mondo. Anzi, una globalizzazione anarchica e
non governata aggrava la situazione dei paesi poveri e allarga il fossato tra
il Nord e il Sud. Il mondo ricco del Nord con il suo strapotere mediatico detta
la sua cultura al Sud aggravando le reazioni di quei paesi che si sentono
minacciati. Si tratta di fenomeni vecchi, ereditati dal secolo passato, ma che
rendono ancora più tenue la speranza. Non mancano i segni positivi, per es.
l’Unione Europea si è allargata, ma la Costituzione europea è stata rifiutata
da stati di antica fede europeistica; le superpotenze nucleari hanno dimezzato
il loro armamento atomico, ma gli USA hanno ripreso gli esperimenti nucleari
mentre anche l’Iran e la Corea del Nord pretendono di entrare nel numero di
coloro che dispongono di armi atomiche; si sono aperte delle prospettive
democratiche in Afghanistan e in Iraq, ma esse non riescono ad affermarsi e
sono, comunque, pagate con il sangue di troppe persone, soprattutto civili. Col
ritiro dei coloni israeliani dai territori occupati da Israele la pace avrebbe
fatto un notevole passo, se la divisione tra Al Fatah e Hamas non stesse
compromettendola e la guerra in Libano ha dato un ulteriore colpo al processo
di pace nella regione. I progressi nella scienza e della bioingegneria hanno
aperto speranze per la cura di gravi malattie, come il Parkinson o l’Alzheimer,
ma hanno spianato la strada ad esperimenti che non possono lasciare tranquilli
Anche in Italia non mancano le preoccupazioni e
la speranza sembra venir meno. La crisi economica e finanziaria è tale che
molte famiglie non arrivano alla fine del mese, molti sono i lavoratori precari
e molti giovani non hanno un futuro sicuro. La crisi politica indotta dalle
scelte del governo passato, ma anche dalle incertezze dell’attuale, non porta
alla stabilità, ma alla politica del «muro contro muro» e ad una pericolosa
chiusura del dialogo. Ritoccando in modo frettoloso la costituzione, si è messo
a rischio lo sviluppo di intere zone solo per interessi particolaristici
(devolution). Si sono fatte delle leggi interessate e ora si perde tempo a
discutere e a rifare quello che è stato fatto, mentre cresce la criminalità
comune, la violenza, specie contro le donne e i bambini, la pedofilia e la
tossicodipendenza.
LA MISSIONE DELLA CHIESA
PORTARE SPERANZA
In questa situazione tutti sentono l’urgente
bisogno di ritrovare speranza, di quella “che non delude” (Rm 5,5). I cristiani
hanno una carta vincente, «un grande mistero, il mistero della nostra salvezza,
che trova nella risurrezione del Verbo incarnato il suo compimento e insieme
l’anticipazione e il pegno della nostra speranza», ha detto il papa nel
discorso di Verona. La risurrezione di Cristo è, infatti, il principio della
speranza, perché è la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto decisivo”
che avvia un mondo nuovo, rinnovato, che non riguarda solo Gesù di Nazareth, ma
che coinvolge tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo.
Annunciare la fede nel Crocifisso risorto significa dire a tutti che la storia
umana, per quanto oscura e tragica, cammina verso la Vita, verso la salvezza
degli uomini nel regno di Dio, che l’ultima parola non è lasciata al male, ma
al bene e che alla fine l’umanità può partecipare alla felicità di Dio. La
speranza non è una vuota parola.
La strada dei cristiani dopo Verona è segnata da
due indicazioni centrali: il primato della Parola condivisa e la comunione
vissuta in verità nelle comunità. Il papa ha invitato i cristiani italiani a
credere nella ragione e a farla dialogare con la fede in una feconda relazione
di collaborazione, a credere che il mondo non è caos e irrazionalità, ma che ha
in sé il riflesso dell’amore di Dio, anche quando esso presenta aspetti
sconcertanti. L’invito del papa a coniugare fede e ragione non mira solo a
risolvere gli enigmi teorici, ma avvia anche un’azione coordinata tra i popoli
che, insieme, nel dialogo e nel rispetto reciproco, possono collaborare per
diffondere il bene, difendere la pace e crescere nella solidarietà, nella
fratellanza e nella comune fede in Dio. Così la Chiesa da credente diventerà
anche credibile. Noi dobbiamo credere, ma renderci credibili per una “fede che
opera nella carità” (Gal 5,6), una fede che alimenta la speranza attraverso le
opere della carità che sono, secondo Benedetto XVI, le carte di credito della
fede e della speranza, la prova che la speranza cristiana non è vuota, fatta di
belle parole, che lasciano poi il mondo nelle sue contraddizioni. Gesù nella
passione ha espresso un amore infinito che lo ha riportato alla Vita, perciò la
sua risurrezione è stata come «un’esplosione di luce e di amore che ha fatto
nascere un mondo nuovo». Per la sua risurrezione Gesù è divenuto “spirito datore
di vita” (1Co 15,45) , sorgente di vita e di futuro per coloro che credono in
lui. Nella storia umana, dominata dal peccato e dalla morte, ha fatto irruzione
una Vita nuova, che ne ha cambiato il corso, avviando un movimento che vince il
peccato e la morte, tutte quelle forme di sofferenza e di ingiustizia che
anticipano e annunziano la morte.
La Pasqua ha inaugurato una ri-creazione
dell’uomo e del mondo grazie alla “dynamis della risurrezione” (Fil 3,10),
quella forza che risana l’uomo perché sia libero, e rinnova le strutture del
mondo perché servano al bene. La potenza della risurrezione non agisce
ovviamente in modo automatico, sta all’uomo accettarla o respingerla. Questa è
la missione della Chiesa che il papa ha affidato ai cristiani nel convegno di
Verona. Infatti la vittoria di Cristo è stata decisiva, ma non definitiva: tale
sarà solo alla fine quando la morte sarà vinta (1Co 15,26). Per ora il male ha
ancora una parola da dire, intensifica anzi i suoi tentativi, ma l’ultima
parola non potrà essere più sua, perché è di Gesù Cristo, il Signore della
storia. Questa speranza è l’Evangelo, la straordinaria notizia che il cristiano
porta al mondo di oggi accompagnandolo con le opere della santità e della
carità, segno del regno di Dio ormai inaugurato. Il cristiano e le comunità
cristiane sono i missionari della speranza.
SEGNI DI RISURREZIONE
E DI SPERANZA
Verona ha indicato alcuni ambiti in cui la
comunità cristiana è chiamata a offrire la sua speranza: l’ambito della
«fragilità» umana dove la speranza deve farsi servizio e accoglienza per tutti,
dal nascituro all’anziano, dal malato al povero, da chi si sente escluso a
chiunque soffre; l’ambito del «lavoro e della festa», che tocca i temi delicati
degli attuali cambiamenti sociali e indica nella dottrina sociale della Chiesa
gli orientamenti per l’azione sociale e politica oggi; l’ambito della
«tradizione» ossia della trasmissione della fede così problematica eppure
necessaria alle nuove generazioni; l’ambito della «vita affettiva» con le istanze
di prossimità e comunione e di sostegno alla famiglia e alla maturazione delle
persone, e quello della «cittadinanza» che si apre sui problemi mondiali della
fame, della povertà, della giustizia internazionale, dell’emigrazione, della
pace e dell’ambiente. Sono ambiti (o poli d’azione e di impegno) che attendono
la presenza e l’azione dei cristiani, in particolare dei laici, animati
dall’energia divina che viene dal Mistero cristiano, l’Eucaristia.
In sostanza, la sfida che Verona ha lanciato
alla Chiesa italiana è di passare da comunità credenti a comunità credibili,
comunità testi-moni di speranza ossia di fu-turo. Se la Chiesa non si
convertirà e non diventerà una Chiesa testimone coraggiosa del Vangelo, capace
di “rendere conto della speranza” che porta in sé, ma “con dolcezza e rispetto
e retta coscienza” come dice la prima lettera di Pietro (1Pt 3,15-16), sarà
difficile che si faccia ascoltare. Invece di ricercare di imporsi con la forza
d’una onnipresenza efficiente, deve diventare una luce che illumina dolcemente
il mondo. Solo così sarà la chiesa del Cristo Risorto.
E NOI RELIGIOSI SIAMO
PORTATORI DI SPERANZA?
Non ci pare che Verona abbia parlato molto dei
religiosi, ma la loro presenza c’era e dovrà esserci soprattutto nel
dopo-Verona. Noi religiosi possiamo essere in prima fila come testimoni dei
valori del Regno e della speranza. E lo saremo proprio in questo momento in
cui, paradossalmente, diminuiamo di numero e siamo costretti ad abbandonare
molte opere. Saremo segno di speranza nella misura in cui nella nostra povertà
attuale sapremo continuare a sperare e a impegnarci perché il carisma che ci è
stato affidato sia trasmesso alla generazione successiva nella sua purezza e
nella sua attuabilità. Sì, abbiamo ancora qualcosa da dire, ma anche noi, come
la Chiesa in Italia, dobbiamo credere alla dynamis della risurrezione, alla sua
capacità di rinnovarci e di incidere nella storia, di rispondere alle attese
del mondo. Verona è stata un’iniezione di speranza, certo, ma anche e
soprattutto l’appello a vivere pienamente la risposta all’appello di Dio senza
coltivare nascosti disegni di ripresa del potere e neppure la voglia di
mostrare la forza e lo spettacolo della nostra potenza.
Dobbiamo mostrare di essere davvero “lieti nella
speranza” e lo potremo fare se saremo “forti nella tribolazione e perseveranti
nella preghiera” , come scrive Paolo ai Romani (12,12). Se saremo fedeli
all’ora che viviamo, coraggiosi nel progettare il nostro futuro, non malgrado,
ma grazie alla povertà dei nostri numeri, se saremo capaci di sperare per noi
stessi e il nostro futuro, saremo capaci di trasmettere quella speranza di cui
la nostra Chiesa e la nostra società hanno oggi tanto bisogno, un tempo in cui
la gente si interroga sul senso della vita, del male e della sofferenza che
persiste al di là dei progressi della scienza, il senso della morte, la nostra
speranza sarà quel sì detto a Dio e al mondo che il Papa si attende dalla
chiesa italiana.
Gabriele
Ferrari s.x.