TRA CATTOLICI E
ORTODOSSI
DIALOGO CHE SI
RIATTIVA
In un cammino ecumenico che procede per
piccoli segnali, si registra con gioia la ripresa dei colloqui bilaterali tra
Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. In agenda la questione cruciale del
primato del papa.
«Tutto sommato,
si può dire che sarebbe assolutamente fuori luogo parlare di una crisi
generalizzata nelle relazioni con le chiese orientali. Anzi, è vero il
contrario. I nostri rapporti con singole chiese orientali seguono un cammino
positivo e pieno di promesse. Per capire a che punto ci troviamo, non possiamo
partire da risultati sensazionali e a breve scadenza. Se è vero che a volte ci
imbattiamo in ostacoli che ci fanno fermare e anche retrocedere, è altrettanto
vero che lo Spirito Santo ci riserva sorprese nuove e positive. Generalmente,
con piccoli passi, più che con grossi balzi, si arriva più lentamente, ma in
modo più sicuro alla meta». Così, in occasione dell’assemblea plenaria del
2003, si era espresso nella sua relazione introduttiva il card. Walter Kasper,
presidente del pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, a proposito dei
rapporti attuali fra chiesa cattolica e ortodossa.
UN DIALOGO
CHE VIENE DA
LONTANO
Una
considerazione densa di ottimismo, tesa a fugare la percezione diffusa che una
lunga serie di incomprensioni (in buona parte collegate all’annosa vicenda
delle chiese uniate in Ucraina nell’orizzonte del dopo-1989) abbiano scalfito
pesantemente il tracciato di un dialogo, sia pur carsico, che viene da lontano
e ha l’ambizione di portare lontano. In tale contesto, va perciò salutata con
estremo interesse la ripresa formale dei colloqui bilaterali, siglata
ufficialmente dalla IX sessione plenaria della Commissione mista internazionale
per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo
insieme, svoltasi nei dintorni di Belgrado dal 18 al 25 settembre scorso. Con
questa riunione, infatti, sono ricominciati i lavori, interrotti dopo la
sessione di Baltimora (Stati Uniti, luglio 2000), dell’organismo presieduto
dallo stesso Kasper e dal metropolita Giovanni Zizjulas di Pergamo, del
Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.
I primi passi di
un riavvicinamento sul piano teologico – dopo la straordinariamente feconda
stagione degli abbracci fra Paolo VI e il patriarca Atenagora I, con l’avvio
del dialogo della carità (Gerusalemme, 5/1/1964) e la cancellazione delle
reciproche scomuniche dell’anno 1054 (7/12/1965) – risalgono al giugno del 1980
con l’incontro di Patmos e Rodi e in conseguenza della visita di papa Wojtyla
al Fanar (sede del Patriarcato ecumenico) al patriarca Dimitrios I. L’obiettivo
dei lavori, già nell’incontro del 1980, era stato definito nei seguenti
termini: «Lo scopo del dialogo tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa
ortodossa è il ristabilimento della piena comunione. Tale comunione, basata
sull’unità di fede secondo l’esperienza comune e la tradizione della chiesa
primitiva, troverà la sua piena espressione nella comune celebrazione
dell’Eucaristia». In attesa della piena comunione, tra i risultati raggiunti va
segnalato il fatto che ora, sulla base della confessione della fede apostolica,
della partecipazione agli stessi sacramenti e della successione apostolica dei
vescovi «la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa si riconoscono
reciprocamente chiese sorelle» (documento di Balamand, Libano 1993).
DALLA COMUNIONE
ALL’UNITÀ
Oggi «la
riattivazione del dialogo – spiegava in una nota ufficiale il dicastero
vaticano citato – è stata possibile grazie a una costante azione di mediazione
e convincimento, incoraggiata da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI,
dall’impegno del Patriarcato ecumenico, e da molteplici contatti e
collaborazioni fra la Chiesa cattolica e le singole chiese ortodosse. Essa si
basa su una decisione presa al Fanar nel settembre 2005, durante un incontro
pan-ortodosso convocato dal patriarca ecumenico Bartolomeo I». All’ordine del
giorno, in particolare, l’esame del progetto di documento predisposto a Mosca
nel 1990 (ben sedici anni fa, altro segnale dell’eccezionalità dell’iniziativa)
sul tema Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale
della Chiesa: conciliarità e autorità nella Chiesa: materiale mai esaminato
dalla plenaria della Commissione mista dato che – su richiesta esplicita degli
ortodossi – era stato lasciato da parte, almeno momentaneamente, a favore della
questione del cosiddetto uniatismo.
Si tratta,
ricordiamolo, della discussione sulla presenza della chiesa greco cattolica in
Ucraina: una chiesa del tutto simile a quella ortodossa (per rito, tradizioni,
giurisdizione), ma rimasta nei secoli fedele al papa di Roma, accusata dagli
ortodossi stessi di proselitismo indebito in una zona da sempre legata a Mosca.
I contrasti esplosero con grande evidenza agli inizi degli anni novanta, in
coincidenza col nuovo corso politico della Russia e la fine delle persecuzioni
comuniste anticristiane, e si acuirono ulteriormente un paio d’anni fa, quando
il pontefice polacco era pronto a riconoscere il patriarcato greco cattolico di
Kiev, istituzionalizzando de facto il ruolo della Chiesa cattolica in quel
paese. Ne scaturiva una durissima presa di posizione di Bartolomeo I, che in
una lettera giungeva a minacciare la rottura di ogni relazione ecumenica. E
oggi, finalmente, l’apertura di una nuova fase, caratterizzata da un primo
disgelo: certo favorita, si diceva, da una ben precisa volontà del papa
tedesco, deciso a concentrare i propri sforzi strategici verso una
ri-cristianizzazione del vecchio continente, recuperando del resto l’intuizione
che era già wojtyliana a proposito della necessità di tornare a respirare con i
due polmoni del cristianesimo (basti pensare all’enciclica del 1995, Ut unum
sint).
Il 12 settembre,
a Ratisbona, in una giornata segnata dal discorso da cui purtroppo sono
scaturite le ben note polemiche con la umma islamica, Benedetto XVI aveva
annunciato l’evento, durante la celebrazione dei Vespri con i rappresentanti
delle diverse chiese cristiane, soffermandosi specificamente sul tema della
koinonia, la comunione: «Io spero e prego – aveva detto nel frangente – che
questi colloqui portino frutti e che la comunione con il Dio vivente che ci
unisce, come la comunione tra noi nella fede, si approfondiscano e maturino
fino a quell’unità piena, dalla quale il mondo può riconoscere che Gesù Cristo
è veramente l’inviato di Dio, il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo».
È stato il
patriarca serbo Pavle, leader religioso ospitante, a dare il benvenuto ai
membri della commissione, cattolici e ortodossi (30 per ciascuna delle due
chiese), offrendo le proprie “umili preghiere” a sostegno di questo “dialogo
teologico di amore e verità”: “la mia casa è anche la vostra casa!” Dal canto
suo, anche il primo ministro serbo, Vojislav Ko∆tunica, ha voluto
salutare i partecipanti, esprimendo il desiderio del suo parlamento che
Belgrado diventi un luogo d’incontro privilegiato per valorizzare le ricchezze
dei popoli e per far crescere un apposito codice di valori. Nonostante l’ovvio
riserbo che ha accompagnato i lavori, è trapelato qualche passaggio di alcuni
dei principali interventi. Come quello del metropolita Jovan, vescovo di
Zagreb-Ljubljana, che ha paragonato la preghiera di Gesù ut unum sint alla
pupilla dell’occhio, ricordando il ruolo dei numerosi martiri e confessori che
hanno testimoniato la fede cristiana dai primi secoli fino ai nostri giorni. O
quello del metropolita Giovanni Zizjulas di Pergamo, che ha evidenziato l’importanza
del dialogo “che ha un effetto di guarigione”. Il cardinal Kasper si è invece
soffermato sul concetto di unità nella diversità, secondo il modello della
santissima Trinità, per poter dare al mondo una testimonianza credibile.
AVANTI
A PICCOLI PASSI
Quale bilancio,
infine, è sensato trarre dall’incontro di settembre, che per quanto detto
sinora non poteva non risultare interlocutorio? Bartolomeo I, nella conferenza
stampa seguita all’evento, ha detto ai giornalisti: «Non posso prevedere ora cosa
potrà accadere nei prossimi anni, ma sono convinto che dipenderà dalla buona
volontà, dal coraggio cristiano e dalla sincerità di ambedue le parti. Con
Giovanni Paolo II abbiamo fatto numerosi progressi, e Benedetto XVI ha già
dimostrato affetto per l’ortodossia». Nella stessa occasione, Giovanni Zizjulas
di Pergamo si è soffermato sul fatto che si sia coraggiosamente ripresa in mano
la questione del primato di Pietro: «Nessuno nega che nella Chiesa unita il
vescovo di Roma fosse il primo, ma bisogna intendersi, non c’è omogeneità
neppure all’interno delle due chiese. Cattolici e ortodossi devono chiedersi
cosa possono concedere sul primato. Ed è ciò di cui stiamo discutendo. Siamo a
un punto cruciale».
Ciascuna delle
due chiese, sintetizzava Bartolomeo I, deve fare degli sforzi per conservare le
proprie tradizioni e al tempo stesso cercare il riavvicinamento, così
necessario. Il metropolita Gennadios di Cratea, unico presente in Italia (con
sede a Venezia in San Giorgio dei greci) e in comunione col Patriarcato
ecumenico, ha sottolineato il cammino percorso: «Quando arrivai in Italia, 45
anni fa, le posizioni erano molto distanti; adesso c’è conoscenza e rispetto
reciproco, abbiamo scoperto che siamo fratelli e dobbiamo pregare e soffrire
questa nostra divisione, che ha preso il posto del peccato originale. Non verrà
più Cristo a farsi crocifiggere, ma dobbiamo essere noi a crocifiggere le
nostre passioni, il nostro fanatismo, il nostro disamore. Solo così nasceranno
la speranza e la reciproca carità per realizzare insieme la volontà del Padre».
Una riflessione utile, anche in considerazione del notevole aumento di fedeli
ortodossi presenti ormai nelle nostre città, a causa dell’allargamento
dell’Europa e della conseguente immigrazione dalle nazioni slave e balcaniche.
Il cammino
ecumenico, in questa stagione, riprendendo la valutazione iniziale di Kasper,
procede per piccoli segnali e grazie alla pazienza nell’impegno quotidiano, più
che per forti strappi e grandi afflati. Tra questi indizi, c’è il caloroso augurio
inviato da Alessio II, patriarca di Mosca, all’importante plenaria del
Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE), conclusasi domenica 8
ottobre con l’elezione a primo presidente del cardinale ungherese Peter Erdö,
svoltasi a San Pietroburgo. Il passo in avanti più rilevante compiuto a
Belgrado consiste in ogni caso nel fatto – insperato, fino a poco tempo fa –
che la commissione mista si sia potuta riunire di nuovo, e in un clima che è
stato definito dai partecipanti “amichevole, positivo e costruttivo”.
Un secondo dato
da non trascurare è che fossero presenti tutte le chiese ortodosse,
notoriamente autocefale (vale a dire indipendenti le une dalle altre, dotate di
una propria organizzazione e una propria autorità rappresentata dal sinodo dei
vescovi locali in funzione, con a capo un metropolita, un arcivescovo maggiore
o un patriarca).
Un terzo
aspetto, più di merito, è quello che ha messo in luce lo stesso cardinal Kasper
in occasione di un’intervista a Radio Vaticana. Il porporato tedesco ha infatti
ammesso che (accantonato per ora lo spinoso nodo dell’uniatismo) si è discusso
della Chiesa come comunione, rinvenendo parecchi punti di contatto, nonostante
le ben note difficoltà pregresse.
Indicativo è,
infine, il fatto che sia già stato messo in agenda il prossimo incontro della
commissione, previsto per ottobre 2007: «Questa volta – ha rivelato Kasper –
sarà la Chiesa cattolica a rivolgere l’invito per la prossima sessione, che si
terrà in Italia, anche se non sappiamo ancora dove si svolgerà».
L’ecumenismo,
questo “dono al mondo del XX secolo”, ha ancora molti passi da fare nel XXI, e
non possono essere sottaciute le numerose problematiche tuttora sospese: ma
oggi è più credibile consentire con l’ottimismo kasperiano, con la speranza che
il barometro del dialogo, finalmente, dopo tanto inverno riprenda a volgere al
bello. Un viatico consolante anche per la terza assemblea ecumenica europea,
che a settembre 2007 chiamerà a Sibiu (Romania) i delegati di tutte le chiese
del nostro continente. Mentre è prevedibile che non sarà senza significato, nel
panorama del dialogo cattolico-ortodosso, anche la prossima, delicata visita di
Benedetto XVI in Turchia, prevista tra il 28 novembre e il 1° dicembre, durante
la quale incontrerà per ben tre volte il patriarca Bartolomeo I: per i vespri,
nella piccola cattedrale del patriarcato dedicata a San Giorgio, per la divina
liturgia che sarà celebrata nella stessa chiesa e alla messa che il pontefice
presiederà per i fedeli cattolici.
Brunetto Salvarani