IL QUARTO CONVEGNO ECCLESIALE DI VERONA

RIPRESA CREATIVA DEL CONCILIO

 

Continuato l’impegno di “tradurre in italiano il Concilio”. Un convegno dei “laici” e di tutte le vocazioni: non semplici collaboratori o “surrogati”, ma corresponsabili nella vita della Chiesa. Auspicati luoghi permanenti di discernimento comunitario. Pastorale d’insieme e vita consacrata. La “questione antropologica”.

 

Dopo Roma (1976), Loreto (1985), Palermo (1995), gli “stati generali” della Chiesa (2.700 persone circa), si sono ritrovati a Verona (16-20 ottobre) per il quarto convegno della Chiesa in Italia.1 Come nei convegni precedenti, anche questa volta l’obiettivo di fondo, enunciato con chiarezza dal cardinal Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano e presidente del comitato preparatorio del convegno, nella sua prolusione nell’arena di Verona, era quello di “tradurre in italiano il Concilio”.2 Un’esigenza più che legittima, se pensiamo, ad esempio, a quanto ricordato da dom Franco Mosconi nella sua riflessione spirituale. A oltre quarant’anni di distanza dalla costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, la Dei verbum, ha detto testualmente il monaco camaldolese, sarebbe il caso di domandarsi: «Cosa ne abbiamo fatto della Parola? Da molti penitenti che ancora si confessano, se provate a chiedere quale primato abbia l’ascolto della Parola nella loro vita, sentireste, purtroppo, una risposta desolante».Anche per don Franco Giulio Brambilla, i due corsi più innovativi con cui le diocesi italiane hanno cercato di “tradurre in italiano il Concilio”, vale a dire la riforma liturgica e il rinnovamento catechistico, necessitano oggi di una grande “ripresa creativa”.

 

LE GIORNATE

DI VERONA

 

I lavori sono iniziati ancora il pomeriggio di lunedì 16, all’arena, con la grande celebrazione della Parola presieduta dal vescovo di Verona, padre Flavio Carraro, e intercalata da una lunga serie di invocazioni litaniche alla Madonna, ai santi profeti e apostoli, ai santi martiri, ai santi patroni le cui gigantografie, illuminate a effetto al termine della serata, facevano da sfondo sugli spalti dell’arena. Prima del suggestivo momento musicale conclusivo, offerto dall’orchestra e dal coro dell’arena, è toccato al cardinal Tettamanzi, con la sua ampia prolusione, raccordare Verona con le tematiche emer-

se dai precedenti incontri ecclesiali.

Martedì 17, sono scesi in campo i relatori ufficiali del convegno. Mentre don Franco Giulio Brambilla ha delineato l’orizzonte teologico-pastorale del tema generale: Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo, le prospettive spirituali, culturali e sociali di questa testimonianza sono state sviluppate rispettivamente da Paola Bignardi, Lorenzo Ornaghi, Savino Pezzotta. Nel pomeriggio si è passati immediatamente ai gruppi di studio, con ben sei gruppi per ognuno dei cinque ambiti del convegno: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza. È stata questa l’unica occasione, protrattasi anche per tutta la giornata successiva, in cui i delegati hanno potuto prendere la parola. Hanno saputo lavorare intensamente, per ben tre mezze giornate, nonostante il reciproco disturbo causato dall’eccessiva vicinanza di un gruppo all’altro.

La “grande giornata” del convegno non poteva non essere quella di giovedì 19, quando a Verona è arrivato il papa. Fin dal primo giorno del convegno e proprio a motivo del successivo arrivo di Benedetto XVI, i delegati hanno percepito, di fatto, dentro e fuori la fiera, un certo “stato d’assedio” da parte di un preventivo, sovrabbondante e, purtroppo, per ragioni di sicurezza, inevitabile dispiegamento di forze dell’ordine. Il papa dopo aver incontrato e parlato, in mattinata, ai soli delegati nella sede fieristica del convegno, li ha poi nuovamente ritrovati allo stadio Bentegodi per una solenne celebrazione eucaristica, alla presenza anche di diverse altre migliaia di fedeli di Verona e del Triveneto. Solo dopo la presentazione delle sintesi dei gruppi di studio sui cinque ambiti3 e la relazione conclusiva del cardinal Camillo Ruini, nella mattinata di venerdi 19, terminato il pranzo, i delegati sono potuti ripartire per le sedi di provenienza.

 

I “LUOGHI”

DEL CONVEGNO

 

Tentare una sintesi non solo delle cose dette e ascoltate, ma soprattutto del clima generale che ha accompagnato e caratterizzato queste intense giornate di lavori non è facile. Anche a detta di molti delegati è stato un convegno fin troppo tranquillo. Gli unici momenti di dialogo, di confronto e anche di una certa sana dinamica conflittuale, sono stati, appunto, quelli dei gruppi di studio. Non era prevista nessuna possibilità di interazione in assemblea con i relatori, così come non c’è stata nessuna mozione o voto assembleare conclusivo. Ha sorpreso, in qualche modo, soprattutto la scarsa risonanza della voce dei giovani. Avranno comunque la possibilità di riprendere le tematiche di Verona nel progetto triennale della Chiesa italiana denominato Agorà dei giovani, con il primo appuntamento del 1-2 settembre 2007 a Loreto con la prevedibile presenza del papa.

Un discorso a parte andrebbe fatto sui “luoghi” del convegno di Verona, vale a dire l’arena, la fiera, lo stadio. Sono stati idealmente tre grandi aeropaghi pubblici (dello spettacolo, degli affari, dello sport) sempre più al centro degli interessi concreti e della vita reale di masse enormi di persone e nei quali, non solo a Verona, ma anche in tutte le altre città italiane, la testimonianza cristiana di Gesù risorto è oggi più problematica e urgente insieme.

Franco Garelli proprio il giorno dell’apertura del convegno, su La Stampa, a proposito di tutta la lunga fase preparatoria, ha parlato di un deficit di concretezza circa i modi più adeguati di testimoniare oggi la speranza cristiana nella società. Per certi versi una qualche conferma di questo deficit la si è avuta anche durante i lavori. C’è sta-

ta, forse, una relativa concretezza soprattutto nell’individuare le tante sfide che mettono sempre più a dura prova la testimonianza dei credenti. Basta rileggere, ad esempio, quando detto dal papa nel suo discorso ai delegati a proposito del “terreno profondamente bisognoso” di testimonianza cristiana.

Come sempre, anche in questo convegno ci si attendeva l’indicazione delle grandi linee per il cammino futuro della Chiesa in Italia. Se ci sono state, penso che non costituiscano affatto una novità. Sia le sfide che le proposte di cui si è parlato a Verona le troviamo già sostanzialmente enunciate, e forse anche in maniera più organica e sistematica, anzitutto e più in generale nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II Novo millennio ineunte (gennaio 2001), e poi più in particolare nei due documenti programmatici della Cei per questo decennio: Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (giugno 2001) e Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (maggio 2004). La comunicazione del Vangelo, infatti, i cambiamenti in atto, l’urgenza della formazione delle coscienze, la riscoperta di una più autentica missionarietà delle nostre comunità cristiane, la comunione più profonda e la corresponsabilità ecclesiale di tutte le vocazioni (sacerdotali, religiose, laicali), sono stati alcuni dei temi più insistentemente ridaditi, e non certo inventati, a Verona.

 

CORRESPONSABILI

NON SOLO COLLABORATORI

 

Un po’ tutti gli organi di stampa, di cui ogni giorno veniva consegnata ai delegati un’ampia rassegna, hanno evidenziato, in diversi interventi, la sia pur tardiva e formale presa d’atto della fine dell’unità politica dei cattolici. Ma anche questa non poteva, ormai, essere vista come la grande “novità” di Verona. Non credo di essere il solo ad aver colto soprattutto nell’intervento di don Brambilla alcune delle affermazioni più significative di tutto il convegno.

Più chiaramente ancora, forse, che nei convegni ecclesiali precedenti, anche quello di Verona ha voluto essere soprattutto il “convegno dei laici”, favorendone in tutti i modi la formazione, la capacità di discernimento, la maturità di coscienza. Ma sarebbe fuori di luogo, ha detto don Brambilla, interrogarsi sul “posto dei laici” nella Chiesa. Urge di più, invece, interrogarsi sui modi con cui tutte le vocazioni, i ministeri e le missioni nella Chiesa «costruiscono la comunità credente come segno vivo del Vangelo per il mondo». Invece di amministrare una “faticosa” distribuzione di compiti o di regolamentare dei ruoli che potrebbero anche entrare in conflitto tra loro, si impone oggi tra pastori e laici, tra religiosi e missionari, tra parrocchie e movimenti ecclesiali «una nuova stagione di dialogo e di convergenza».

Il tempo della puntigliosa ricerca e affermazione della propria identità dovrebbe essere ormai superato, per lasciare lo spazio a «uno sforzo corale dove ciascuno cerca di scorgere sul volto degli altri ciò che manca alla propria vocazione». La radice prima e ultima di tutte le vocazioni è infatti la vita battesimale. È in questa comune vocazione, in questa autentica comunione ecclesiale che si radica la testimonianza cristiana. Oggi la Chiesa «o sarà la comunità dei molti carismi, servizi e missioni, o semplicemente non esisterà». Sarebbe sbagliato, però, pensare alla comunione dei carismi solo come “surrogato a buon prezzo” della scarsità del clero e dell’aumento della sua età media. È il Vangelo stesso «che esige un annuncio nella corale diversità e complementarietà dei carismi e missioni».

Stando sempre in guardia da ogni possibile “burocrazia ecclesiastica”, il laico dovrebbe «promuovere la corrente viva della pastorale d’insieme, della lettura dei segni dei tempi nuovi nella vita della Chiesa, dell’animazione dei progetti profetici, anche sapienziali, della capacità di abitare i linguaggi della cultura, della società, della cittadinanza soprattutto presso le nuove generazioni». Il laico dovrebbe essere un uomo di “sinodalità”, capace di “camminare insieme”, soprattutto disponibile ad aprire “strade nuove”. Non basta più oggi essere “collaboratori dell’apostolato gerarchico”. È invece indispensabile diventare “corresponsabili di una comune passione evangelica”.

Quando don Brambilla, continuando a tracciare e a “sognare” il ruolo ecclesiale del laico, lo vede come un “cristiano vigilante”, come quelle “sentinelle del mattino” che prevedono il sole luminoso attraverso i bagliori dell’aurora, come colui che sa unificare un cristianesimo incarnato ed escatologico insieme, capace di mostrare l’altra faccia del Vangelo non ancora pienamente realizzata, che sa vedere le cose di lassù pur abitando la terra, personalmente mi sono posto una sola domanda: in questa vocazione del laico non è pienamente adombrata anche e prima ancora quella dei religiosi e delle religiose? Invano, infatti, cercheremmo in questo convegno riferimenti più espliciti alla vita consacrata. Pur non rinnegando mai la specificità dei carismi, tutte le volte che si è parlato dei religiosi e delle religiose, lo si è fatto sempre e solo in un esplicito rapporto di comunione con tutte le altre vocazioni. Ma quando si parla, come si è fatto a Verona, di formazione delle coscienze, di primato della Parola, di scuole di spiritualità, di radicalità evangelica, di comunione di carismi, di una rinnovata missionarietà nella pastorale della Chiesa oggi, non ci si ritrova in pieno in alcune delle tematiche ricorrenti nei tanti documenti, dibattiti e confronti sul rinnovamento della vita consacrata così frequenti nei nostri istituti religiosi?

 

LA QUESTIONE

ANTROPOLOGICA

 

Ripetutamente a Verona si è detto che la formazione delle coscienze delle persone viene molto prima delle scelte personali e autonome anche in campo politico. Nel convegno di Palermo, sotto l’impulso di Giovanni Paolo II, ha detto il presidente della Cei, era emerso un impegno ben preciso, quello del “discernimento comunitario”. Ora, anche e proprio perché, secondo alcuni, questo obiettivo nel decennio trascorso non sarebbe stato pienamente realizzato, va riproposto con maggior convinzione. Diversamente diventerebbe sempre più difficile per quanti sono collocati in formazioni politiche diverse «dialogare e aiutarsi reciprocamente ad operare in maniera coerente con i comuni valori cui aderiscono». Proprio per questo anche a Verona, è stata auspicata, nella sintesi di Luca Diotallevi sull’ambito della cittadinanza, la costituzione di «luoghi finalmente permanenti di discernimento comunitario, aperti a competenze e professioni, a uomini e donne, a giovani, costantemente e rigorosamente attenti ai processi ed ai soggetti civili (politici, economici, ecc.) ed ai segni dei tempi che possono custodire».

Riaffermando l’urgenza della formazione delle coscienze e del discernimento comunitario, in più occasioni, è emersa come prioritaria la cosiddetta “questione antropologica”. Si tratta, ha detto il cardinal Ruini, di una “novità di grande spessore”, dal momento che qui «si intrecciano tutti gli interrogativi intorno all’uomo su chi egli realmente sia, sui suoi rapporti con il mondo e la natura, sui suoi comportamenti personali e sociali, sulle nuove e crescenti possibilità di intervento sulla sua stessa realtà che le scienze e le tecnologie stanno sempre più aprendo».

A Verona, purtroppo, non è stata affrontata con la stessa consapevolezza un’altra questione, quella “islamica”. Rileggendo, infatti, la documentazione del convegno, troviamo a questo riguardo, solo sporadici accenni. Se per Savino Pezzotta, ad esempio, il problema dell’immigrazione costituirà «una delle questioni che più turberà le nostre comunità e il paese», per il cardinal Ruini non si potrà certo ignorare il «risveglio religioso, sociale e politico dell’islam e la volontà di essere di nuovo protagoniste sulla scena mondiale che accomuna almeno in qualche misura le popolazioni islamiche, pur con tutte le differenze e le tensioni che esistono tra di essere». È un grande processo, ha aggiunto, «che ci tocca da vicino, sotto il profilo religioso e non soltanto sociale, economico e politico, anche perché, nel quadro generale dei grandi fenomeni migratori, è forte la presenza islamica in Europa e ormai anche in Italia». Si tratta di una presenza, aggiungiamo noi, che già ora e più ancora nei prossimi anni porrà sicuramente alla Chiesa in Italia un serio e preoccupante problema in più.

 

Angelo Arrighini

 

1 Alcuni dati statistici: 11 cardinali, 222 vescovi, 608 sacerdoti, 322 religiosi/e, 15 consacrati laici, 1.275 laici, 270 invitati, a cui va aggiunta, oltre ai circa 700 operatori dell’informazione, anche la mobilitazione di un “esercito” di volontari: 700 della diocesi e 600 della protezione civile, senza contare i ben 170 cuochi e camerieri per i pasti consumati in Fiera, sede del convegno.

2 Testimoni, n. 18.

3 Vedi lo “Speciale” di questo numero di Testimoni.