GRUPPI DI MUTUO-AIUTO NEL LUTTO

LUOGHI DI COMUNIONE E DI GUARIGIONE

 

I gruppi di mutuo aiuto sono reti di supporto composte da persone che condividono uno stesso problema e che si incontrano per interagire, offrire supporto e apprendere gli uni dagli altri strategie costruttive per far fronte alle crisi della vita.

 

In occasione del VII convegno nazionale dei gruppi di mutuo aiuto nelle perdite e nel lutto, tenutosi a Treviso dal 3 marzo al 2 aprile 2006, ho notato con piacere, tra gli oltre 300 partecipanti, la presenza di un piccolo nucleo di sacerdoti e religiosi impegnati con altri professionisti a sanare le ferite delle persone attraverso questo modello di solidarietà e comunione.

La Chiesa, da sempre, fa leva sulla comunità come luogo di appartenenza, condivisione e guarigione, per cui questa presenza si inserisce a pieno titolo nell’ottica di una pastorale tesa a sostenere chi è provato dal dolore di un distacco.

I gruppi di mutuo aiuto sono reti di supporto composte da persone che condividono uno stesso problema e che si incontrano per interagire, offrire supporto e apprendere gli uni dagli altri strategie costruttive per far fronte alle crisi della vita.

I precursori di questo modello di sostegno sono i gruppi AA (Alcoholics Anonymous), sorti negli USA più di 50 anni fa e diffusisi rapidamente in tutto il mondo. La rapida proliferazione di questo modello di aiuto è, in parte, dovuta alla mancanza di servizi sociali o di professionisti disponibili per rispondere alle diverse problematiche e, in parte, all’esigenza di supporto dei partecipanti.

Il condividere con altri la propria vulnerabilità porta ad attingere forza dal gruppo, alleviare la solitudine, sperimentare nuove forme di appartenenza, crescere nella fiducia in se stessi.

Il rapporto tra i membri di questa rete comunitaria è orizzontale, non verticale: ognuno è potenzialmente un aiutato e un aiutante. Inizialmente la persona entra nel gruppo per ricevere aiuto, successivamente vi resta per aiutare altri che iniziano il cammino.

Generalmente il sostegno si estende al di là e al di fuori del gruppo, mediante contatti informali che i componenti coltivano tramite contatti telefonici, momenti di relax, appuntamenti culturali o spirituali.

Il ventaglio di gruppi di mutuo-aiuto sorti per rispondere a diverse istanze è vasto e variegato e annovera gruppi per: malati di cancro, dializzati, disabili, tossicodipendenti, familiari di Alzheimer, separati e/o divorziati, vedovi e vedove, genitori che hanno perso un bambino, genitori che hanno perso figli in incidenti stradali, familiari di suicidati, e così via.

Ogni gruppo ha la sua identità, le sue finalità, un calendario di incontri, e strategie specifiche per conseguire gli obiettivi previsti.

 

GLI OBIETTIVI

DEI GRUPPI

 

In linea di massima, gli obiettivi dei gruppi di mutuo aiuto si possono riassumere attorno a quattro punti fondamentali:

 

Il sostegno emotivo: spesso chi è ferito tende a chiudersi nel proprio dolore. Il gruppo diventa luogo in cui la condivisione delle emozioni non è solo permessa, ma incoraggiata, quale percorso necessario per una graduale guarigione.

I partecipanti possono piangere, esprimere sensi di colpa, dare voce ai disappunti, ridere dei propri comportamenti, talvolta ridicoli.

Tirar fuori ciò che rattrista o amareggia è un modo per alleggerire la pena e far circolare le energie emotive per prevenire il consolidarsi di sentimenti, quali la depressione, che potrebbero prosciugare la vitalità di una persona.

La libertà di esprimersi, senza sentirsi giudicati o banalizzati, favorisce la caduta delle difese psicologiche e promuove la vicinanza tra i membri.

 

Il supporto sociale: inizialmente la decisione di inserirsi nel gruppo risulta, per molti, delicata e difficile. Richiede il coraggio di uscire dal proprio guscio, superare le proprie riserve o pregiudizi per fidarsi e affidarsi al potere sanante del gruppo.

Al suo interno si possono incontrare i diversi volti dell’umanità ferita: ciò che unisce queste diversità è la consapevolezza di un problema che accomuna e diventa stimolo per dare e ricevere. In un certo senso, il gruppo si trasforma in una seconda famiglia che sostiene nelle tappe iniziali del lutto e, non di rado, promuove la nascita di nuove amicizie.

 

L’educazione e l’informazione: la condivisione e il confronto con altri permettono ai membri di imparare lezioni preziose sulla vita e sui diversi modi di reagire alla sofferenza.

Il gruppo si trasforma in una scuola di vita che educa a elaborare positivamente le crisi e a crescere in saggezza e umanità.

L’ascolto delle diverse esperienze, l’osservazione degli atteggiamenti altrui, la lettura introspettiva dei dinamismi relazionali, informano i partecipanti sui modi diversificati di vivere il cordoglio, sulle diverse strategie adottate per fronteggiare la solitudine, comunicare in famiglia e far buon uso del tempo libero.

 

La crescita nella fiducia personale: L’ obiettivo principale del gruppo è di aiutare a ripristinare il controllo sulla propria vita e a portare alla luce le risorse personali.

Segni di questa graduale fiducia in se stessi sono la capacità di confrontarsi con altri, il credere in se stessi e affermare i propri doni, l’iniziare cose nuove e il recuperare la voglia di vivere.

 

IDENTITÀ

E TIPOLOGIA DEI GRUPPI

 

I gruppi di mutuo- aiuto possono essere omogenei, se formati da persone accomunate da uno stesso tipo di perdita (es. genitori che hanno perso un figlio oppure separati / divorziati…) o eterogenei, se composti da persone che hanno sperimentato diversi tipi di perdita (es. divorzio, suicidio, morte in un incidente…).

Inoltre i gruppi possono essere:

– strutturati e limitati nel tempo: questi si incontrano per un numero prefissato di incontri (da 8 a 12), trattano tematiche specifiche riguardanti il cordoglio e offrono l’opportunità ai partecipanti di apprendere, riflettere e condividere. Hanno un`impostazione più didattica e informativa, ma includono momenti di condivisione; possono avvalersi della collaborazione di esperti.

– aperti e continuativi: questi gruppi hanno un calendario regolare di incontri (una volta la settimana o due volte al mese), tempi stabiliti (generalmente un`ora e mezzo o al massimo due ore, il tardo pomeriggio o la sera), sono aperti all’entrata e all’uscita dei membri, assicurano la continuità dei contatti e la disponibilità del supporto. Hanno un`impostazione aperta nel trattare, di volta in volta, i bisogni o le istanze immediate dei partecipanti.

 

IL RUOLO

DEL FACILITATORE

 

La persona chiave nell’iniziazione, evoluzione e impostazione di un gruppo è rappresentata dal facilitatore.

Nell’ambito italiano il ruolo di facilitatore è generalmente assunto da un professionista (psicologo, psicoterapeuta, medico, educatore, sacerdote).

Nell’ambito americano, culla del movimento dei support groups, gli animatori sono, nella maggior parte dei casi, persone che hanno vissuto direttamente la problematica giustificativa del gruppo.

Ci sono certamente vantaggi nell’affidare il gruppo a una figura professionale o a un esperto. Innanzitutto, la sua presenza assicura maggiore obiettività nell’affrontare sentimenti e tematiche che investono i partecipanti. Inoltre, i suoi interventi di esplorazione o mediazione possono educare i componenti ad apprendere e coltivare modalità efficaci di supporto reciproco.

Ci sono anche dei rischi nell’affidarsi a un esperto o a un professionista nella conduzione del gruppo. Tra questi, va menzionata la possibilità che i componenti assumano un atteggiamento di eccessiva dipendenza dal facilitatore e che ne rimangano sacrificate le potenzialità. Ovviamente facilitatori non si nasce, ma si diventa.

Qualità auspicabili in chi dirige un gruppo di mutuo-aiuto sono:

– un vivo interesse per la tematica e la disponibilità a farsi carico dell’iniziativa;

– la capacità di accoglienza e di ascolto dei partecipanti;

– un`adeguata conoscenza della fenomenologia e delle dinamiche di gruppo;

– una buona familiarità con le tematiche luttuose e i processi che favoriscono la guarigione;

– la capacità di promuovere l’interazione positiva tra i membri;

– una buona dose di umiltà e tenacia, nel far fronte ai momenti delicati e / o difficili nel gruppo.

Il ruolo del facilitatore è di favorire che le persone possano esprimersi e confrontarsi, non rivolgendosi costantemente a lui, ma interagendo tra loro.

Alla prima fase di introduzione e conoscenza reciproca, accompagnata spesso dall’esplicitazione delle finalità del gruppo e da alcune norme cui attenersi, segue quella della condivisione. Nella misura in cui gli incontri settimanali o quindicinali permettono ai convenuti di dare voce al proprio cordoglio, verbalizzare i sentimenti, esporre problemi o difficoltà incontrati, segnalare aree di crescita o processi di maturazione, il mutuo aiuto diventa spazio per la graduale guarigione del cuore e della mente.

Il compito del facilitatore è di educare a vivere bene l’esperienza di gruppo, esaltandone le potenzialità attraverso il rispetto di ogni persona e l’uso positivo del tempo.

 

PROBLEMATICHE

RICORRENTI

 

Tra le problematiche frequenti che sorgono nei gruppi di mutuo – aiuto, si segnalano le seguenti:

 

– La presenza di un numero troppo esiguo o eccessivo di partecipanti. Un numero troppo ridotto di persone (tre o quattro) può condurre alla stagnazione, legata alla ripetitività di esperienze e testimonianze. Si cerca di rimediare a questo problema moltiplicando i contatti informali e i “passaparola” per incentivare l’adesione al gruppo di altri candidati, provati da un perdita, ma esitanti a fare questo passo.

Dinanzi all’altra sfida, concernente un numero elevato di partecipanti (oltre 15/ 20 unità), la soluzione risiede nella creatività del facilitatore chiamato a dinamizzare lo scambio alternando momenti di riflessione guidata in sottogruppi (3 o 4 persone), con altri di condivisione in assemblea.

 

– La presenza di persone emozionalmente bloccate. Il gruppo non è in grado di rispondere a tutti i bisogni. Per prevenire o arginare il rischio che vi aderiscano persone problematiche (con squilibri, fissazioni, depressioni acute, dipendenze dall’alcol…), alcuni facilitatori hanno adottato la prassi di un’ intervista previa la partecipazione. Questo filtro permette di orientare persone “problematiche” verso forme di aiuto più professionali.

Dove questa prassi non vigesse e il facilitatore si ritrovasse con casi delicati nel gruppo, spetta a lui il compito di un dialogo personale con queste persone al fine di esplorare modalità più appropriate di sostegno.

 

– L’eccessivo controllo o monopolizzazione del gruppo da parte di uno dei partecipanti, con il rischio di generare tensione. Per ridimensionare l’eccessivo interventismo di queste persone, il conduttore manifesta la sua autorevolezza definendone diplomaticamente i limiti.

 

– Il rischio di psicoanalizzare o spiritualizzare gli scambi. Nella prima trappola rischia di incorrere il facilitatore che è psicologo o psicoterapeuta dando al mutuo aiuto un indirizzo “terapeutico” più che educativo.

Il pericolo di “spiritualizzare” gli incontri sorge quando il conduttore, spinto da una forte impronta religiosa, tende ad assolutizzare l’apporto religioso, relativizzando l’apporto di altre risorse umane, psicologiche e relazionali. Senza nulla togliere alla valenza delle risorse religiose, occorre rispettare le diverse sensibilità dei presenti valorizzando la varietà di ambiti entro cui le persone possono trovare conforto e supporto nell’elaborazione del lutto.

 

– La superficialità degli scambi. Esiste il rischio che il gruppo si trasformi in “discussione da salotto”, specie da parte di “vecchi frequentatori”, che si lasciano prendere dalla tentazione di trascorrere il tempo discorrendo di cose frivole o superficiali. Il taglio eccessivamente sociale che prendono alcuni gruppi di mutuo – aiuto potrebbe vanificare gli scopi per cui sono sorti. Il facilitatore, consapevole di questa dinamica, riconduce l’attenzione sui temi più urgenti e meno evasivi e valuta, anche informalmente, se non sia giunto il momento per alcuni di “lasciare il nido”, continuando a mantenere i contatti e l’amicizia fuori del gruppo.

 

– La cronica dipendenza dal gruppo. Ci sono coloro che hanno ricevuto così tanto dal gruppo, che non possono intrattenere il pensiero di lasciarlo. Sarebbe un altro lutto. In qualche modo, lo usano come una stampella su cui appoggiarsi per sopravvivere. l’insicurezza o la mancanza di fiducia in se stessi rinvia all’infinito l’ora di dirvi addio, per spiccare il volo verso il futuro.

Il facilitatore sceglie momenti opportuni per introdurre il tema, il valore e la pedagogia del congedo. Talvolta, incoraggia la formalizzazione dell’addio animando, chi sta per lasciare, a comunicare al gruppo riflessioni e sentimenti sull’esperienza vissuta.

 

– Il rischio della routine e della sterilità. In alcuni gruppi subentra il rischio della ripetitività, che impoverisce la riflessione sul patrimonio di sapienza che ogni esperienza, anche luttuosa, racchiude.

La sterilità si combatte alimentando la creatività e inventando modi diversi di affrontare argomenti già abbozzati o trattati precedentemente.

Nel gruppo di mutuo-aiuto si possono diversificare le modalità di autopresentazione o analizzare in maggiore profondità un sentimento o trattare una determinata tematica servendosi di racconti o metafore.

Nella misura in cui si scoprono linguaggi nuovi o metodi diversi per addentrarsi nell’esperienza dei partecipanti, il gruppo mantiene la sua vitalità e offre spunti per dilatare i propri orizzonti, approfondire la conoscenza di sé e scoprire percorsi per uscire dal labirinto del dolore.

 

p. Arnaldo Pangrazzi

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