DALLA RELAZIONE ALLA CEI DI MONS. L. MONARI

PER UN CAMMINO VERSO LA MATURITÀ

 

Il lavoro su se stessi è sempre stato difficile e continuerà a esserlo. Ed è un lavoro che nessuno può fare al posto di un altro. Ciascuno può e deve assumersi la responsabilità della propria vita e deve imparare a dirigerla verso un’autenticità sempre più grande.

 

Forse perché rivolta in modo particolare al clero, la relazione che mons. Luciano Monari, vescovo della diocesi di Piacenza-Bobbio, ha tenuto alla 56a assemblea generale dell’episcopato italiano sulla vita e il ministero dei sacerdoti in una Chiesa sempre più protesa alla sua missione evangelizzatrice, (Roma 15-19 maggio 2006), è passata quasi inosservata nell’ambito della vita consacrata. Ci pare perciò opportuno riprendere soprattutto quello che egli ha detto nella seconda parte, dedicata all’umanità del prete, perché ha toccato aspetti riguardanti la formazione che, a parte alcuni riferimenti specifici al clero, hanno una grande importanza anche per la maturazione umana nella vita consacrata, e in senso più ampio per chiunque desideri diventare una persona adulta e matura.

 

APERTI

ALLA REALTÀ

 

Per un cammino verso la maturità, ha affermato mons. Monari, «è importante anzitutto essere aperti alla realtà, disposti a conoscerla e ad accettarla per quello che è, attenti a giudicare non secondo convinzioni abitudinarie, ma secondo i dati sempre nuovi che la realtà ci offre, evitando rischi insidiosi. Anzitutto la tendenza a una visione “ideologica” in senso ampio». Con questo termine si intende quella «tendenza a dare giudizi secondo “pregiudizi”, non dopo aver esaminato e cercato di capire i dati, ma usando uno schema di valutazione previo, considerato come assoluto (tutto vero e giusto ciò che sta dalla mia parte; tutto falso e scorretto ciò che sta dalla parte avversaria). Insieme con questo la tendenza a “dare giudizi” prima di aver valutato la loro conformità coi dati (cioè la non attenzione a distinguere un’ipotesi anche geniale da un giudizio vero)».

«Non si tratta solo, ha precisato mons. Monari, di evitare errori di valutazione intellettuale, ma tutte le deformazioni che rendono difficile il dialogo. Se infatti si conoscono e si sanno esprimere i motivi dei propri giudizi, diventa possibile confrontare quello che pensiamo con quello che pensano gli altri. In caso contrario avverrà, come spesso di fatto avviene, che il dialogo si trasforma in uno scontro tra posizioni che non hanno un terreno comune su cui confrontarsi e quindi possono solo cercare di prevalere “con la forza” (intesa come capacità di fare prevalere la propria valutazione su quella opposta, del tipo: “Il parroco / il vescovo / il presidente... sono io; dunque io ho ragione”). Insomma, dobbiamo imparare un modo di incontrare la realtà che sia corretto, non inquinato da interessi, pregiudizi, preferenze, arroganza…».1

 

RICONOSCERE E GESTIRE

SENTIMENTI ED EMOZIONI

 

Un altro elemento di questa formazione consiste nell’ «imparare a conoscere, riconoscere e gestire sentimenti ed emozioni». In altre parole, «si tratta di imparare a “dare un nome” a tutti quei movimenti interiori che costituiscono un prezioso patrimonio di energie, ma che hanno bisogno di essere integrati positivamente nell’unità della persona. Bisogna imparare a non “censurare” i propri sentimenti e cioè a non cercare di nasconderli a noi stessi come se fossero (o anche in caso che siano) sentimenti meschini, “indegni”, ma piuttosto riconoscerli per imparare a controllarli e, se la loro qualità lo permette, a orientarli verso direzioni positive di amore e di solidarietà (anche questo è un atto di amore!)».

Succede così che «quando l’accettazione di se stessi è cordiale, diventa più facile la “empatia” cioè la capacità di mettersi nei panni degli altri e comprendere il significato che le esperienze, le relazioni, gli eventi hanno per loro». Questo è particolarmente importante soprattutto per il sacerdote che deve ascoltare, capire, com-patire, solidarizzare, collaborare con molte persone». Un atteggiamento siffatto di apertura va in senso contrario a uno degli atteggiamenti più frequenti nell’uomo d’oggi che è il narcisismo: ossia guardare intorno e non riuscire a vedere altro che se stessi, le proprie idee, la propria immagine. «Far emergere l’umanità che è in noi ci chiede invece di controllare le paure e i desideri per fare spazio realmente agli altri e alle loro esperienze».

Molto importante inoltre è che, sia il sacerdote e possiamo aggiungere anche le persone consacrate che oggi vivono sempre più a contatto con la gente, imparino «ad accostare tutte le persone, ad ascoltare e parlare, dialogare e confrontarsi con tutti: coi bambini, i giovani, gli adulti, gli anziani, i malati, i professionisti, i politici...». La fecondità di questi incontri infatti dipenderà in gran parte «dalla ricchezza di umanità con cui si accostano le persone; e questa ricchezza di sentimenti si forma vivendo con cuore sincero le relazioni quotidiane».

 

SAPER STARE

SOLI CON SE STESSI

 

Un altro fattore con grande valenza formativa è per il sacerdote, ha precisato mons. Monari, «riuscire anche a stare solo con se stesso». Che cosa s’intende con questo? «“Stare soli con se stessi” non è sinonimo di isolamento. Al contrario: ci riesce chi è riconciliato con se stesso, chi ritrova dentro di sé una sufficiente profondità di sentimenti, desideri, valori, convinzioni: quella ricchezza che la persona ha raccolto attraverso la molteplicità dei suoi rapporti, delle sue esperienze. È importante per l’equilibrio personale del prete che egli sia in grado di stare in mezzo agli altri ma anche di vivere momenti di solitudine, di silenzio senza perdere per questo la serenità e la gioia: «Io sono con te sempre: tu mi hai preso per la destra... il mio bene è stare vicino a Dio» (Sal 73,23.28)».

Non si tratta di semplice esercizio ascetico: «Il silenzio è chiesto proprio dalle esperienze che facciamo: dopo una celebrazione intensa, dopo un dialogo profondo, solo il silenzio permette di non sciupare il tesoro di umanità che abbiamo toccato». Inoltre, «il silenzio garantisce anche uno spessore vero di libertà. Se passiamo da una parola all’altra, da un’esperienza all’altra, da un’azione all’altra senza pause, facilmente le parole diventeranno chiacchiere e le esperienze si ridurranno a banalità. Assorbiremo inconsapevolmente le tendenze dominanti dell’ambiente; e ne saremo condizionati senza nemmeno rendercene conto.2 Se invece, in mezzo alle diverse attività, abbiamo l’avvertenza di fermarci e di chiederci che cosa stiamo facendo, perché, come lo stiamo facendo; se prendiamo le distanze da immagini, emozioni e abitudini, questo semplice fatto ci rende più liberi e capaci di giudizi più corretti. C’è una saggezza grande nell’esame di coscienza già solo per questo: è una pausa di calma che permette di interrogarci su noi stessi e diventare padroni delle nostre attività anziché schiavi delle abitudini, degli stimoli esterni, delle pressioni dell’ambiente».3

 

CREATIVI

DAVANTI ALLE SFIDE

 

È necessario, inoltre, essere creativi davanti alle sfide da affrontare. Una di queste «è il confronto con la dominante concezione consumistica e individualistica della vita». Dicendo “concezione consumistica”, ha precisato mons. Monari, «intendo la vita pensata come opportunità di provare consumi molteplici passando dall’uno all’altro per trovare quelli più soddisfacenti. Comprendo nel termine “consumi” non solo i prodotti materiali, ma anche le esperienze, le emozioni, le relazioni che possono essere vissute esattamente in una logica “consumistica”. A questa concezione si contrappone quella della vita vissuta come “creazione”: il soggetto umano, cioè, produce forme, esperienze, relazioni riempiendole della sua “personalità” come un artista. Così intesa, la vita diventa un’opera d’arte dove il mondo offre la materia (possibilità e limiti) e il soggetto plasma questa materia imprimendole il proprio genio (la propria “firma”) …».

«Alla concezione consumistica è apparentata la visione individualistica della vita che mitizza i desideri egocentrici (cf. Gal 5,16-21) e non comprende i valori. I valori sono realtà che non dipendono da noi che siamo chiamati a riconoscere e a cercare; i desideri sono realtà che produciamo noi stessi a partire da tutto quello che sentiamo come mancanza. La ricerca dei valori autentici ci pone in relazione con la realtà come soggetti che, col loro comportamento, migliorano il mondo ed esercitano la libertà e la responsabilità. I desideri egocentrici, invece, bloccano la persona nella soddisfazione privata (o anche collettiva, ma sentita e vissuta come privata), non tendono a migliorare il mondo, ma solo a sfruttarne la ricchezza a proprio vantaggio…».

 

LA FORZA CONTAGIOSA

DELLE RELAZIONI

 

Nella sua Arte di amare Fromm consiglia chi desidera imparare quest’arte suprema della vita (appunto: l’arte di amare) di stare accanto a persone che sappiano amare e da loro imparare parole, atteggiamenti, reazioni, modi di ragionare che plasmano poco alla volta una vera forma di vita. S’impara a diventare uomini vivendo accanto a uomini che lo siano davvero.

Mons. Monari ha commentato: «Abbiamo un grande bisogno di persone che vivano il cammino verso la pienezza dell’esperienza umana con costanza e con gioia; che siano passate con stupore attraverso l’esperienza di essere amate e siano disponibili ad amare generosamente, senza barriere: questa è la vera maturità affettiva. Da loro l’atteggiamento si trasmetterà per osmosi e si comunicherà agli altri attraverso le relazioni umane di ogni giorno. Una delle povertà più gravi dei giovani d’oggi sono appunto i modelli che vengono loro proposti: modelli dotati di grande appeal, ma purtroppo poveri di umanità, che non conoscono l’amore ricevuto e donato gratuitamente. Come è stato osservato, ci vengono proposte molte celebrità, ma pochi testimoni».

Oggi, «una difficoltà con cui dobbiamo fare i conti, ha sottolineato mons. Monari, è che l’età media della scelta vocazionale si è innalzata; gli ingressi in seminario riguardano sempre più spesso persone adulte, che hanno già una personalità formata e per le quali è più difficile proporre cammini educativi di base. Questo richiede una grande attenzione per verificare l’esistenza di una sufficiente maturità, che permetta una vita da prete fondamentalmente serena e non finisca per addossare agli altri le proprie nevrosi. In particolare bisogna verificare l’equilibrio e la serenità della vita sessuale.4 In caso contrario, esporremmo i candidati a pesi per loro insopportabili».

 

L’AUTENTICITÀ COME USCITA

DELL’INAUTENTICITÀ

 

«Il lavoro su se stessi è sempre stato difficile continuerà ad esserlo. Ed è un lavoro che nessuno può fare al posto di un altro. Ciascuno può e deve assumersi la responsabilità della sua propria vita e deve imparare a dirigerla verso un’autenticità sempre più grande». Mons. Monari ha citato a questo proposito l’intervento di fr. Manicardi, il quale ha affermato: «La sua (del presbitero) prima responsabilità è di divenire uomo. E questa responsabilità è sua... Questo richiamo alla responsabilità è importante perché nessuna formazione sarà mai o mai è stata perfetta, neppure minimamente. Un atteggiamento de-responsabilizzato di delega in toto ai formatori... non aiuterà certo una crescita umana e l’assunzione in prima persona di quella che è la propria vita, la propria unica vita... Senza questa assunzione di responsabilità da parte del seminarista... non ci si potrà in futuro nascondere dietro... al lamento per i difetti della formazione ricevuta».

«Naturalmente queste riflessioni non tolgono, anzi rendono ancora più chiara l’importanza di verificare il proprio cammino con una guida spirituale. L’autenticità, infatti, è sempre precaria, è sempre “una uscita dall’inautenticità”, diceva padre Lonergan; bisogna rinnovare sempre daccapo la propria decisione e normalmente questo non è facile senza un confronto costante con un’altra persona, con una persona che ci aiuti a vedere le nostre incoerenze, a riconoscerle umilmente e a cercare di superarle. Una delle povertà dei nostri presbiterii, oggi, è la scarsità di guide spirituali, di figure di riferimento. In ciascun presbiterio ci dovrebbero essere alcuni preti che si dedicano anzitutto a questo ministero: sarebbero una benedizione per molte persone».

Infine, ha concluso mons. Monari, «varrà la pena tenere viva la consapevolezza del limite che accompagna inevitabilmente ogni realizzazione umana. Persone perfettamente e definitivamente mature non esistono. Esistono solo persone sufficientemente mature, della cui maturità fa parte anche la consapevolezza dei propri limiti, il riconoscimento sincero dei propri errori e l’impegno sereno di superarli per quanto possibile con la grazia di Dio. Non pretenderemo dunque di misurarci con la perfezione, ma di lottare ogni giorno per essere persone umane vere».

 

1 Cito dalla Comm Presb Lombarda: «Un uomo che sappia mettersi in discussione, che s’interroghi anche sulla fede senza darla per scontata, che tema l’abitudine delle parole, dei gesti, degli atteggiamenti...». Una difficoltà nasce già dal modo in cui incontriamo i dati necessari per pensare e per decidere. Non ci mancano certo le informazioni, ma la loro quantità e qualità rischia di rendere l’attenzione più difficile anziché più facile. A volte sembra che i mass media cerchino di renderci più stupidi anziché più intelligenti.

2 Nota la Commissione Presbiterale Nazionale (p. 8): «C’è una forte pressione mediatica e i messaggi arrivano al subconscio minando molte convinzioni».

3 Naturalmente l’esame di coscienza è molto più di questo; ma è già utile per questo.

4 Vedi la Istruzione normativa della Congregazione per l’educazione cattolica riguardante l’ammissione al seminario e agli ordini sacri di candidati che presentano tendenze omosessuali.