NEI CONVEGNI ECCLESIALI DI ROMA, LORETO, PALERMO

PRESENZA-ASSENZA DEI RELIGIOSI

 

Assenti o ignorati? I problemi aperti della VC nelle riflessioni dei partecipanti ai precedenti convegni ecclesiali. Oltre l’inutile e sterile rivendicazione dei ruoli di laici, religiosi e clero nella Chiesa, urge una reale sinfonia di tutte le vocazioni cristiane.

 

Nei primi tre convegni ecclesiali (Roma 1976, Loreto 1985, Palermo 1995) i religiosi/e dov’erano? Che risonanza hanno avuto nelle comunità religiose, maschili e femminili, documenti preparatori, dibattiti, conclusioni e vari documenti post-congressuali? Non è facile rispondere a questi interrogativi, anche se a fior di pelle verrebbe da dire che i religiosi, prima, durante e dopo questi convegni, si sono distinti per la loro assenza. Ignorati, o quasi, dall’apparato organizzativo, i religiosi vi si sono tranquillamente adeguati, convinti che un convegno ecclesiale, tutto sommato, fosse un evento estraneo alla loro vita.

Nel primo convegno su Evangelizzazione e promozione umana fra i 1.653 partecipanti vi erano 309 sacerdoti e religiosi e 43 suore. Anche se nel documento preparatorio (12/12/1975) si diceva espressamente che i religiosi e le religiose avrebbero dovuto essere interessati e “ufficialmente richiesti della collaborazione” attraverso gli organismi centrali (Usmi e Cism), di fatto, poi, pare non sia rimasta nessuna significativa traccia di questa collaborazione. Anche nel documento, successivo al convegno, della Cei (1/5/1977), non si va oltre a un semplice accenno ai religiosi/e che insieme ai laici, ai sacerdoti e ai vescovi «si sono interrogati sulla missione evangelizzatrice della Chiesa nell’Italia di oggi e sull’apporto ecclesiale alla promozione umana».

 

UN APPORTO

SOLO VIRTUALE?

 

Tra il primo e il secondo convegno religiosi/e di Roma avevano dato vita a due loro convegni diocesani. Se nel primo (gennaio 1980) ci si era confrontati con il documento Mutuae relationes, uscito due anni prima, nel secondo (gennaio 1985), ponendo a tema I religiosi e le istanze di Roma, non si poteva non guardare anche all’imminente convegno di Loreto. Gli atti di questi due convegni saebbero tutti da rileggere con la massima attenzione, in quanto anticipano gran parte della problematica del rapporto vita consacrata-Chiesa locale, che sarebbe ritornata con insistenza anche nei due convegni successivi. In vista del convegno di Loreto si sono intensificati gli incontri dei consacrati stimolati dalle rispettive segreterie diocesane e nazionali della Cism e dell’Usmi.

L’incontro preparatorio più significativo è stato sicuramente quello del 2 dicembre 1984, a Roma, con la partecipazione di una ventina di esperti Cism e Usmi nazionali sul tema: Apporto specifico dei religiosi al prossimo convegno ecclesiale. Presentando e commentando la sintesi dell’incontro, Luigi Guccini1 si chiedeva esplicitamente: «Quale contributo daranno i religiosi? Saranno assenti o magari anche tenuti ai margini nella convinzione che non ci sia un loro specifico apporto da tenere in considerazione?». Se già nel documento preparatorio si lamentavano le tante forme di distanza e di tensione esistenti in Italia tra chierici, religiosi e laici da una parte, la considerazione che la comunità cristiana aveva dei religiosi, della loro vocazione della presenza del loro singolare carisma lasciava molto a desiderare dall’altra.

Alcune di queste tematiche sono ritornate ovviamente durante i lavori del convegno di Loreto chiamato a interrogarsi sul tema: Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini.

Rispetto al convegno di Roma, non solo era aumentato il numero dei rappresentanti dei consacrati (in Italia esistevano, allora, ben 125mila religiose, 35mila religiosi e 7mila claustrali), ma era andata crescendo anche maggior consapevolezza di quanto un evento del genere riguardasse da vicino la VC. Basta rileggere a questo riguardo quanto è stato detto nella commissione su “Laici, chierici e religiosi: dalla distanza alla differenza feconda”.2 Ma anche qui, di tutta questa ricchezza di riflessioni che cosa è rimasto dopo il convegno? Nella Nota pastorale della Cei sulla Chiesa in Italia dopo Loreto (8/6/1985), nel contesto di una riflessione sulla comunione necessaria all’edificazione della Chiesa, dopo aver accennato alle associazioni, ai movimenti e ai laici, c’è un riferimento anche ai religiosi, invitati a vivere il dono della propria consacrazione «in costante rapporto tra le stesse famiglie religiose e nella comunione della Chiesa intorno al vescovo, anche mediante un’attiva partecipazione allo studio e all’attuazione del progetto pastorale» (25).

Si poteva auspicare una maggior considerazione di ciò che la VC, maschile e femminile, non solo nel passato ma anche nel presente ha sempre significato per la Chiesa italiana? È la stessa sostanziale domanda che emergerà anche dopo il terzo convegno, quello di Palermo sul tema: Il Vangelo della carità per una nuova società italiana (20-25 novembre 2005).

Anche se nel comitato preparatorio (dei 100!), erano stati coinvolti dieci religiosi e religiose, la loro incidenza nel complesso dei lavori non è stata sicuramente più rilevante di quanto avvenuto in precedenza. «Lascia perfino interdetti, scrive Enzo Franchini,3 la pigrizia con cui le varie espressioni di Chiesa – religiosi compresi – reagiscono al piano pastorale Evangelizzazione e testimonianza della carità». In un seminario di preparazione promosso dalla Cism4 a Roma (11-12 maggio 1995), il suo presidente, p. Sante Bisignano, aveva esordito osservando come la VC poteva concorrere all’edificazione della Chiesa e dare risposte efficaci alla società italiana «non tanto perché spinta a rivendicare una presenza nella comunità ecclesiale, quanto perché cosciente della propria originale natura carismatica, che può fruttificare solamente all’interno del dinamismo della comunione ecclesiale e in rapporto alle altre vocazioni».

Purtroppo, ha osservato p. Oliviero Cattani, in una sua ricostruzione delle fasi salienti del convegno di Palermo,5 nella sua fase preparatoria «non si è quasi mai andati oltre a un coinvolgimento dei delegati, dei consigli presbiterali e pastorali diocesani, si è restati fermi al “centro-diocesi” senza mai giungere alla “periferia” della Chiesa locale».

Anche per uno dei relatori del convegno, don Piero Coda, il percorso di una VC più incisiva nella realtà ecclesiale e sociale odierna era tutto in salita. Dopo aver guardato ai religiosi come sorgenti di autentica spiritualità antiche e nuove, sorgenti «da far conoscere di più, far circolare, mettere a servizio dell’intera comunità», ha subito denunciato, però, la quasi scomparsa del contributo della VC nella comunità cristiana. Il cardinal Ruini stesso, al termine del convegno, ha dovuto riconoscere che «forse nel corso dei nostri lavori non è stato sufficientemente messo in rilievo ciò che la vita consacrata rappresenta per la Chiesa in Italia e per la nostra nazione».

 

ANDARE OLTRE

LE VERE DELUSIONI

 

L’analisi post-congressuale forse più puntuale e coraggiosa fatta sul convegno in generale e sulla presenza-assenza dei religiosi in particolare, è quella emersa da un incontro di una quindicina di delegati Cism del 21/1/1996.6 Tra gli aspetti positivi del convegno, andavano sicuramente annoverati il protagonismo del laicato, la riaffermazione del primato di Dio, la richiesta di una spiritualità laicale all’altezza dei tempi, l’attenzione, anche se solo parziale, al vangelo della carità, la dimensione sempre più chiaramente missionaria della Chiesa, un embrionale abbozzo del progetto culturale, la centralità della formazione come tema dominante. Sul versante opposto, non mancavano aspetti molto preoccupanti, come una certa delusione proprio rispetto al tema centrale del convegno, il “vangelo della carità”, che è rimasto una parola muta, fino al punto d’aver quasi paura solo a parlarne. Così come hanno negativamente sorpreso la mancata analisi delle cause della povertà, dell’emarginazione e dell’oppressione dei poveri, il silenzio sull’impegno della Caritas.

Ma la vera delusione era quella della scarsa attenzione riservata a significato e qualità della presenza della VC, maschile e femminile, nella Chiesa italiana. Questa “disattenzione” riguardava non solo quanto si era fatto e si continuava a fare, da parte dei consacrati, a ogni livello, dal servizio ai poveri, all’educazione, all’annuncio, alla formazione, ma anche e soprattutto quello che era la VC.

La prima responsabilità di questa scarsa considerazione andava addebitata alle chiese locali, e ai vescovi in particolare, molti dei quali faticavano a percepire la dimensione carismatica della VC. Quante volte si è preferito evidenziare l’efficacia pastorale dei singoli religiosi, apprezzati più per la “collaborazione” che non per la “testimonianza”, certamente più ingombrante e difficile da controllare, ma anche più veritiera della sua identità carismatica. Ma un’altrettanto grave responsabilità andava onestamente riconosciuta sul versante della VC stessa. Sia nella fase preparatoria del convegno che in quella del suo svolgimento i religiosi per primi non erano stati capaci di far emergere la natura carismatica dell’essere Chiesa proprio anche in quanto consacrati. Si erano tenuti troppo gelosamente per sé non solo i propri carismi, ma anche le attività nate da essi. Ai religiosi, spesso, interessava maggiormente l’organizzazione ecclesiastica e molto meno la gente. Si tendeva, a volte, a difendere a denti stretti gli spazi fisici, invece di attivarsi per aprire «spazi di ascolto e di spiritualità». Si viveva ancora tropo spesso il tempo della conservazione, dimenticandosi che i religiosi sono chiamati, per vocazione, «ad abbandonare ogni politica di conservazione, non solo nelle opere ma nello stesso modo di pensare e vivere la vita consacrata». Era definitivamente giunto il tempo di sgonfiare le strutture e ripensare la stessa VC per renderla più entusiasmante, anzitutto per i consacrati stessi e poi anche per quanti, ed erano i più, vivevano “fuori” della Chiesa. Bisognava avere il coraggio di spingere le comunità oltre i cancelli e le mura delle case religiose.

Sarà ora interessante conoscere le indicazioni che il convegno di Verona ha saputo offrire. Ma ci vorrà del tempo prima di poter avere in mano una visione globale delle prospettive emerse. È ovvio tuttavia che in una Chiesa che si propone come “comunione missionaria” e che ribadisce con forza la sua missione evangelizzatrice, la vita consacrata è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale e determinante. A essere cioè assieme alle altre vocazioni testimone privilegiata di Gesù risorto speranza del mondo, come diceva appunto il tema del convegno.

 

Angelo Arrighini

 

1 Testimoni 1 (1985).

2 Testimoni 10 (1985).

3 Testimoni 3 (1995).

4 Testimoni 11 (1995).

5 Testimoni 18 (1995).

6 Testimoni 3 (1996).