LA
SANTA SEDE ALL’ONU
I
DIRITTI UMANI PILASTRO DELLA PACE
Importante
intervento di mons. Lajolo all’assemblea generale delle Nazioni Unite sulle
vere vie che portano alla pace. L’impiego della forza si è rivelato ancora una
volta fallimentare. Su questa strada la situazione mondiale è destinata solo a
peggiorare.
Lo
scenario del mondo in questi primi anni del terzo millennio, come abbiamo
scritto nel numero precedente di
In
una situazione del genere non meraviglia che si continui testardamente ad
affidare al potere delle armi il compito di realizzare nel mondo le condizioni
per una pace stabile e duratura. E ciò nonostante che l’evidenza dei fatti
dimostri quanto sia impercorribile una strada del genere, destinata anzi a
peggiorare la situazione.
ANDARE
ALLE
CAUSE
Eppure
le vie sicure e capaci di condurre alla pace sono palesi e non è difficile
conoscerle. Il problema è che non si vogliono prendere in considerazione, quasi
si trattasse di discorsi astratti, preferendo ricorrere all’illusoria
scorciatoia dell’uso della forza.
Queste
vie sono state nuovamente illustrate dalla Santa Sede, nel corso del dibattito
della 61a sessione dell’assemblea generale dell’ONU (19-29 settembre),
nell’intervento dell’arcivescovo mons. Giovanni Lajolo, presidente del
Governatorato dello stato Città del Vaticano, il 28 settembre scorso. Si è
trattato di un intervento che ha avuto – come quasi sempre accade – scarso
rilievo, almeno qui da noi, nei mezzi di comunicazione sociale, ma che ci pare
opportuno riprendere nei suoi passaggi essenziali. Soprattutto perché di fronte
a una situazione così confusa e insieme preoccupante come quella d’oggi
possiamo essere aiutati ad andare al di là delle semplici reazioni immediate e
viscerali, per assumere invece criteri di giudizio atti a individuare le vere
cause dell’attuale realtà. Anche perché è qui che bisogna agire e intervenire
se si vuole disinnescare l’ordigno della violenza che oggi domina
minacciosamente la scena mondiale.
Possiamo
trovare un’immagine dell’attuale stato di cose, ha esordito mons. Lajolo,
nell’episodio della torre di Babele, quale simbolo delle divisioni, delle
incomprensioni e delle ostilità dovute non alla natura, ma all’orgoglio umano;
un orgoglio che impedisce il riconoscimento del prossimo e dei suoi bisogni e
semina la sfiducia tra gli individui. Oggi, ha sottolineato, questo
atteggiamento negativo ha dato origine a una nuova barbarie che minaccia la
pace mondiale: «I terroristi e le altre diverse organizzazioni ne costituiscono
la sua versione contemporanea, con il rifiuto delle migliori conquiste della
nostra civiltà. Benché in un ordine del tutto diverso, oggi non si può negare
che anche le superpotenze, le potenze regionali, le aspiranti potenze e i
popoli oppressi spesso cedono alla tentazione di credere, nonostante l’evidenza
della storia, che solo la forza possa favorire un giusto ordine di affari tra i
popoli e le nazioni. L’ideologia del potere si fa beffe di ogni restrizione
all’uso della forza. E giunge al punto di considerare il possesso delle armi
nucleari come un fattore di orgoglio nazionale, non escludendo la scellerata
possibilità di impiegare le armi nucleari contro i propri avversari.
Attualmente otto paesi – ma ce ne sono molti altri tentati di aggiungersi ad
essi – possiedono armi nucleari valutabili a circa 27.000 testate – sufficienti
per distruggere molte volte il nostro pianeta. Nel frattempo l’attuazione del
trattato di non proliferazione nucleare sembra in fase di stallo e quello per
il bando dei test nucleari deve essere ancora ratificato da alcuni paesi per
entrare in vigore».
LA
VIA SICURA
ALLA
PACE
Di
fronte a una realtà del genere, si è chiesto mons. Lajolo, come si fa a
starsene tranquilli? A queste scelte pericolose e sbagliate cosa possiamo
proporre di alternativo? La via più sicura per prevenire la guerra, ha
affermato, è di andare alle cause. Ora è risaputo che alla radice ci sono in
genere dei seri e gravi risentimenti: le ingiustizie sofferte, la mancanza di
sviluppo, di democrazia, di rispetto dei diritti umani e di legalità; vi sono
legittime aspirazioni frustrate, lo sfruttamento di una massa di disperati che
non intravedono alcuna possibilità di migliorare la loro sorte con mezzi
pacifici. «Come possiamo, ha sottolineato mons. Lajolo, non sentirci disturbati
dalle immagini di innumerevoli esuli e rifugiati che vivono nei campi di
raccolta, in condizioni subumane, o da quei gruppi di disperati, alla ricerca
di un futuro meno infelice per se stessi e i loro figli, che affrontano i rischi
dell’immigrazione illegale? E cosa pensare dei milioni di oppressi a causa
della miseria e della fame, esposti a epidemie letali, che continuano a fare
appello al nostro senso di umanità? Anche queste sono delle sfide al nostro
desiderio di pace».
Purtroppo
anche i traguardi lasciati intravedere dal Millennium Developement Goals e le
ripetute promesse dei leader mondiali di sostenerli per alleviare condizioni
così intollerabili non sono stati praticamente attuati.
Come
pure sono state frustrate anche le attese del Doha Round riguardanti il
commercio mondiale per trovare una base di equità nei mercati mondiali.
«Queste
incapacità di correggere le disuguaglianze fondamentali nel sistema economico
mondiale sono diventate delle occasioni perdute per far progredire
un’alternativa morale alla guerra», anche se questo fallimento non deve
indebolire la nostra comune volontà di continuare sulla strada maestra della
pace.
LA
DIFESA
DEI
DIRITTI UMANI
Come
lo sviluppo, ha sottolineato ancora mons. Lajolo, così anche la difesa dei
diritti umani costituisce un pilastro essenziale dell’edificio della pace
mondiale, poiché la pace consiste nel libero godimento dei diritti che Dio ha
dato all’uomo.
Tra
questi diritti tre in particolare sono primari:
1.
il diritto alla vita: l’accresciuto riconoscimento della sacralità della vita,
testimoniato anche dal crescente rifiuto della pena di morte che deve essere
promosso attraverso una generale protezione della vita umana, soprattutto nelle
sue fasi più deboli, come quelle del suo inizio e della sua fine naturale;
2.
il diritto alla libertà religiosa: il rispetto della libertà religiosa è il
rispetto del rapporto intimo del credente con Dio – sia nei suoi aspetti
individuali sia in quelli sociali – di cui non c’è nulla di più sacro;
3.
il diritto alla libertà di pensiero e di espressione, inclusa la libertà di
avere proprie opinioni senza interferenze, di scambiare idee e informazioni, e
la conseguente libertà di stampa: il rispetto di questo diritto è necessario
per il pieno sviluppo di ogni persona, per il rispetto delle culture e il
progresso della scienza.
Bisogna
riconoscere, ha sottolineato mons. Lajolo, che non tutti i diritti fondamentali
– in particolare i tre menzionati – sono adeguatamente protetti in ogni
nazione, anzi in non poche sono apertamente negati, perfino tra stati che
siedono nel Consiglio (ONU) dei diritti umani.
IL
DIALOGO
TRA
LE RELIGIONI
Un’altra
via atta a promuovere la pace è il dialogo tra le religioni. Nonostante che in
alcuni casi la religione continui a essere cinicamente sfruttata per scopi
politici, ha proseguito mons. Lajolo, è ferma convinzione della mia delegazione
che la religione, nel modo migliore, più vero e autentico, costituisce una
forza vitale per la realizzazione del bene, dell’armonia e della pace tra i
popoli. Essa fa appello a ciò che vi è di più nobile nella natura umana. Nutre
gli affamati e veste gli ignudi; fascia le ferite della guerra, sia fisiche
che psicologiche; offre un riparo ai rifugiati e ospitalità ai migranti; coltiva
la pace nei cuori e ciò favorisce l’armonia nella società umana; intreccia
legami di solidarietà capaci di superare ogni forma di diffidenza, e mediante
il perdono promuove la stabilità nelle società divise.
Vent’anni
fa Giovanni Paolo II aveva riunito i leader religiosi delle religioni mondiali
per pregare e dare testimonianza alla pace. Quel gesto collettivo fu rinnovato
nel 1993 durante la guerra in Bosnia e nel 2002, in seguito al barbaro attacco
terroristico dell’11 settembre a New York e a Washington. Più recentemente, il
23 luglio, di fronte al diffondersi della guerra in Libano, Benedetto XVI ha
invitato i cristiani e tutti i credenti a unirsi a lui in una giornata di
preghiera e di penitenza per implorare da Dio il dono della pace per la Terra Santa
e il medio oriente.
Inoltre,
il 20 settembre scorso, ancora Benedetto XVI ha ribadito il suo inequivocabile
sostegno al dialogo interreligioso e interculturale e ha espresso la speranza
che quanto egli ha detto all’università di Regensburg possa «spingere e
incoraggiare a un dialogo positivo anche se autocritico, sia tra le religioni
sia tra la ragione moderna e la fede dei cristiani».
Il
papa, come è noto – ha sottolineato mons. Lajolo – ha espresso il suo rammarico
perché alcuni passaggi del suo discorso accademico sono stati fraintesi. La sua
vera intenzione era invece di spiegare che «non la religione e la violenza, ma
la religione e la ragione vanno insieme» nell’attuale critica visione della
società che cerca di escludere Dio dalla vita pubblica. Così pure, rivolgendosi
agli ambasciatori degli stati musulmani accreditati presso la Santa Sede, ha
precisato che le lezioni del passato devono… aiutarci a cercare vie di
riconciliazione, per vivere nel rispetto dell’identità e della libertà di ogni
individuo, per una fruttuosa cooperazione nel servizio dell’intera umanità, e
che «il rispetto e il dialogo richiedono reciprocità in tutti i campi, in ciò
che riguarda le libertà fondamentali, in modo tutto particolare la libertà
religiosa».
È
compito delle parti interessate, sia della società civile che degli stati, ha
commentato mons. Lajolo, promuovere la libertà religiosa e una sana tolleranza
sociale in grado di disarmare gli estremisti prima ancora che essi possano
corrompere altri con il loro odio verso la vita e la libertà.
Questo,
ha concluso, costituisce un contributo significativo tra i popoli, poiché la
pace può nascere solo dal cuore dell’uomo.
A.D.