LA SANTA SEDE ALL’ONU

I DIRITTI UMANI PILASTRO DELLA PACE

 

Importante intervento di mons. Lajolo all’assemblea generale delle Nazioni Unite sulle vere vie che portano alla pace. L’impiego della forza si è rivelato ancora una volta fallimentare. Su questa strada la situazione mondiale è destinata solo a peggiorare.

 

Lo scenario del mondo in questi primi anni del terzo millennio, come abbiamo scritto nel numero precedente di Testimoni (16) è notevolmente peggiorato. Il sogno che sembrava a portata di mano, dopo la caduta del comunismo, di un mondo trasformato in un unico grande villaggio globale pacificato, non solo non si è realizzato, al contrario le divisioni tra le culture, le religioni e i dislivelli tra ricchi e poveri sono diventati ancora più acuti. Di fronte a una realtà del genere in continuo smottamento anche le Nazioni Unite si sono travate impotenti, prigioniere tra l’altro di una struttura e di una logica ormai superata e tuttavia incapace di rinnovarsi.

In una situazione del genere non meraviglia che si continui testardamente ad affidare al potere delle armi il compito di realizzare nel mondo le condizioni per una pace stabile e duratura. E ciò nonostante che l’evidenza dei fatti dimostri quanto sia impercorribile una strada del genere, destinata anzi a peggiorare la situazione.

 

ANDARE

ALLE CAUSE

 

Eppure le vie sicure e capaci di condurre alla pace sono palesi e non è difficile conoscerle. Il problema è che non si vogliono prendere in considerazione, quasi si trattasse di discorsi astratti, preferendo ricorrere all’illusoria scorciatoia dell’uso della forza.

Queste vie sono state nuovamente illustrate dalla Santa Sede, nel corso del dibattito della 61a sessione dell’assemblea generale dell’ONU (19-29 settembre), nell’intervento dell’arcivescovo mons. Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello stato Città del Vaticano, il 28 settembre scorso. Si è trattato di un intervento che ha avuto – come quasi sempre accade – scarso rilievo, almeno qui da noi, nei mezzi di comunicazione sociale, ma che ci pare opportuno riprendere nei suoi passaggi essenziali. Soprattutto perché di fronte a una situazione così confusa e insieme preoccupante come quella d’oggi possiamo essere aiutati ad andare al di là delle semplici reazioni immediate e viscerali, per assumere invece criteri di giudizio atti a individuare le vere cause dell’attuale realtà. Anche perché è qui che bisogna agire e intervenire se si vuole disinnescare l’ordigno della violenza che oggi domina minacciosamente la scena mondiale.

Possiamo trovare un’immagine dell’attuale stato di cose, ha esordito mons. Lajolo, nell’episodio della torre di Babele, quale simbolo delle divisioni, delle incomprensioni e delle ostilità dovute non alla natura, ma all’orgoglio umano; un orgoglio che impedisce il riconoscimento del prossimo e dei suoi bisogni e semina la sfiducia tra gli individui. Oggi, ha sottolineato, questo atteggiamento negativo ha dato origine a una nuova barbarie che minaccia la pace mondiale: «I terroristi e le altre diverse organizzazioni ne costituiscono la sua versione contemporanea, con il rifiuto delle migliori conquiste della nostra civiltà. Benché in un ordine del tutto diverso, oggi non si può negare che anche le superpotenze, le potenze regionali, le aspiranti potenze e i popoli oppressi spesso cedono alla tentazione di credere, nonostante l’evidenza della storia, che solo la forza possa favorire un giusto ordine di affari tra i popoli e le nazioni. L’ideologia del potere si fa beffe di ogni restrizione all’uso della forza. E giunge al punto di considerare il possesso delle armi nucleari come un fattore di orgoglio nazionale, non escludendo la scellerata possibilità di impiegare le armi nucleari contro i propri avversari. Attualmente otto paesi – ma ce ne sono molti altri tentati di aggiungersi ad essi – possiedono armi nucleari valutabili a circa 27.000 testate – sufficienti per distruggere molte volte il nostro pianeta. Nel frattempo l’attuazione del trattato di non proliferazione nucleare sembra in fase di stallo e quello per il bando dei test nucleari deve essere ancora ratificato da alcuni paesi per entrare in vigore».

 

LA VIA SICURA

ALLA PACE

 

Di fronte a una realtà del genere, si è chiesto mons. Lajolo, come si fa a starsene tranquilli? A queste scelte pericolose e sbagliate cosa possiamo proporre di alternativo? La via più sicura per prevenire la guerra, ha affermato, è di andare alle cause. Ora è risaputo che alla radice ci sono in genere dei seri e gravi risentimenti: le ingiustizie sofferte, la mancanza di sviluppo, di democrazia, di rispetto dei diritti umani e di legalità; vi sono legittime aspirazioni frustrate, lo sfruttamento di una massa di disperati che non intravedono alcuna possibilità di migliorare la loro sorte con mezzi pacifici. «Come possiamo, ha sottolineato mons. Lajolo, non sentirci disturbati dalle immagini di innumerevoli esuli e rifugiati che vivono nei campi di raccolta, in condizioni subumane, o da quei gruppi di disperati, alla ricerca di un futuro meno infelice per se stessi e i loro figli, che affrontano i rischi dell’immigrazione illegale? E cosa pensare dei milioni di oppressi a causa della miseria e della fame, esposti a epidemie letali, che continuano a fare appello al nostro senso di umanità? Anche queste sono delle sfide al nostro desiderio di pace».

Purtroppo anche i traguardi lasciati intravedere dal Millennium Developement Goals e le ripetute promesse dei leader mondiali di sostenerli per alleviare condizioni così intollerabili non sono stati praticamente attuati.

Come pure sono state frustrate anche le attese del Doha Round riguardanti il commercio mondiale per trovare una base di equità nei mercati mondiali.

«Queste incapacità di correggere le disuguaglianze fondamentali nel sistema economico mondiale sono diventate delle occasioni perdute per far progredire un’alternativa morale alla guerra», anche se questo fallimento non deve indebolire la nostra comune volontà di continuare sulla strada maestra della pace.

 

LA DIFESA

DEI DIRITTI UMANI

 

Come lo sviluppo, ha sottolineato ancora mons. Lajolo, così anche la difesa dei diritti umani costituisce un pilastro essenziale dell’edificio della pace mondiale, poiché la pace consiste nel libero godimento dei diritti che Dio ha dato all’uomo.

Tra questi diritti tre in particolare sono primari:

1. il diritto alla vita: l’accresciuto riconoscimento della sacralità della vita, testimoniato anche dal crescente rifiuto della pena di morte che deve essere promosso attraverso una generale protezione della vita umana, soprattutto nelle sue fasi più deboli, come quelle del suo inizio e della sua fine naturale;

2. il diritto alla libertà religiosa: il rispetto della libertà religiosa è il rispetto del rapporto intimo del credente con Dio – sia nei suoi aspetti individuali sia in quelli sociali – di cui non c’è nulla di più sacro;

3. il diritto alla libertà di pensiero e di espressione, inclusa la libertà di avere proprie opinioni senza interferenze, di scambiare idee e informazioni, e la conseguente libertà di stampa: il rispetto di questo diritto è necessario per il pieno sviluppo di ogni persona, per il rispetto delle culture e il progresso della scienza.

Bisogna riconoscere, ha sottolineato mons. Lajolo, che non tutti i diritti fondamentali – in particolare i tre menzionati – sono adeguatamente protetti in ogni nazione, anzi in non poche sono apertamente negati, perfino tra stati che siedono nel Consiglio (ONU) dei diritti umani.

 

IL DIALOGO

TRA LE RELIGIONI

 

Un’altra via atta a promuovere la pace è il dialogo tra le religioni. Nonostante che in alcuni casi la religione continui a essere cinicamente sfruttata per scopi politici, ha proseguito mons. Lajolo, è ferma convinzione della mia delegazione che la religione, nel modo migliore, più vero e autentico, costituisce una forza vitale per la realizzazione del bene, dell’armonia e della pace tra i popoli. Essa fa appello a ciò che vi è di più nobile nella natura umana. Nutre gli affama­ti e veste gli ignudi; fascia le ferite della guerra, sia fisiche che psicologiche; offre un riparo ai rifugiati e ospitalità ai migranti; coltiva la pace nei cuori e ciò favorisce l’armonia nella società umana; intreccia legami di solidarietà capaci di superare ogni forma di diffidenza, e mediante il perdono promuove la stabilità nelle società divise.

Vent’anni fa Giovanni Paolo II aveva riunito i leader religiosi delle religioni mondiali per pregare e dare testimonianza alla pace. Quel gesto collettivo fu rinnovato nel 1993 durante la guerra in Bosnia e nel 2002, in seguito al barbaro attacco terroristico dell’11 settembre a New York e a Washington. Più recentemente, il 23 luglio, di fronte al diffondersi della guerra in Libano, Benedetto XVI ha invitato i cristiani e tutti i credenti a unirsi a lui in una giornata di preghiera e di penitenza per implorare da Dio il dono della pace per la Terra Santa e il medio oriente.

Inoltre, il 20 settembre scorso, ancora Benedetto XVI ha ribadito il suo inequivocabile sostegno al dialogo interreligioso e interculturale e ha espresso la speranza che quanto egli ha detto all’università di Regensburg possa «spingere e incoraggiare a un dialogo positivo anche se autocritico, sia tra le religioni sia tra la ragione moderna e la fede dei cristiani».

Il papa, come è noto – ha sottolineato mons. Lajolo – ha espresso il suo rammarico perché alcuni passaggi del suo discorso accademico sono stati fraintesi. La sua vera intenzione era invece di spiegare che «non la religione e la violenza, ma la religione e la ragione vanno insieme» nell’attuale critica visione della società che cerca di escludere Dio dalla vita pubblica. Così pure, rivolgendosi agli ambasciatori degli stati musulmani accreditati presso la Santa Sede, ha precisato che le lezioni del passato devono… aiutarci a cercare vie di riconciliazione, per vivere nel rispetto dell’identità e della libertà di ogni individuo, per una fruttuosa cooperazione nel servizio dell’intera umanità, e che «il rispetto e il dialogo richiedono reciprocità in tutti i campi, in ciò che riguarda le libertà fondamentali, in modo tutto particolare la libertà religiosa».

È compito delle parti interessate, sia della società civile che degli stati, ha commentato mons. Lajolo, promuo­vere la libertà religiosa e una sana tolleranza sociale in grado di disarmare gli estremisti prima an­cora che essi possano corrompere altri con il loro odio verso la vita e la libertà.

Questo, ha concluso, costituisce un contributo significativo tra i popoli, poiché la pace può nascere solo dal cuore dell’uomo.

 

A.D.