IL RUOLO DEI SUPERIORI TRA COMPLESSITÀ E ASPETTATIVE

 

Se non fosse che gli Atti di un convegno finiscono solitamente, prima di ogni altro volume, nel dimenticatoio, in controtendenza varrebbe la pena riprendere in mano una delle ultime pubblicazioni della Cism sul tema dell’autorità e del potere nei nostri istituti religiosi. Dal 28 marzo al 1° aprile 2005 l’osservatorio della vita consacrata della Cism ha dato vita a un seminario per la formazione alla leadership, di cui, appunto, sono appena usciti gli Atti.1 Il tema del potere e dell’autorità “anche” in casa nostra è uno di quelli più “scottanti”, fino al punto, come scrive nella sua introduzione P. L. Nava, il coordinatore dell’osservatorio, di trovarci oggi di fronte al paradosso di “poteri forti” sulla carta e di “autorità deboli” nei fatti.

Basta scorrere le attente analisi dei relatori per convincersene:2 «Fuori e dentro la Chiesa e la vita consacrata, ha detto p. Martinelli, autorità e potere sono fra i termini più problematici e discussi del nostro tempo». Declinare l’autorità con il carisma,con la corresponsabilità, con l’obbedienza e con il potere decisionale, è un percorso in salita. Lo era ieri, quando Francesco usava il termine “Signore” (Dominus) riferito sia al ministro nei confronti dei frati, sia ai frati nei confronti del ministro. Ma non lo è di meno oggi. Italo De Sandre, don Umberto Fontana e p. Agostino Gardin (nominato recentemente, come sappiamo, Segretario del dicastero romano per la vita consacrata), nei loro approcci, rispettivamente, sociologico, psicologico ed esperienziale, non fanno altro che confermarlo.

All’interno della profonda trasformazione del nostro tempo, nella coesistenza di una grande varietà di modi di pensare, di codici culturali, rispetto a cui gli individui sono indotti ciascuno a fare le proprie scelte e a sopportare i propri rischi, ha detto Italo De Sandre, «non può non cambiare profondamente la formazione, il modo di pensare e di agire dell’autorità» in tutte le sue funzioni di coordinamento, di decisione, di verifica, di sanzione».3

I mutamenti culturali del nostro tempo, senza accorgercene, varcano tranquillamente anche le soglie dei conventi. Con la conseguenza di rendere ancora più complesso l’esercizio dell’autorità. Il superiore, oggi, ha detto don Fontana, dovrebbe essere «formatore di vocazioni, “padre, abate e guardiano” dei bisogni dei confratelli, guida spirituale di tutti, “giudice di pace” tra conflitti relazionali, punto di riferimento per il mantenimento (e lo sviluppo) del carisma dell’opera, ponte dell’aggiornamento dei fini della congregazione con i tempi, mediatore tra la Chiesa e la società civile».4 Non solo! Dovrebbe essere anche «manager di opere complesse, gestore in prima persona di attività che, di fronte alle legislazioni civili, hanno assunto ormai struttura e obblighi tali da esigere competenze professionali che la formazione religiosa non gli ha dato». Sarebbe ingenuo pensare che una persona «sia adeguata a tutti i compiti che il ruolo di superiore esige».

Anche per p. Gardin, all’origine della crisi del ruolo di superiore, ci sono tutti i cambiamenti di questi ultimi 40 anni avvenuti sia nella società che nella Chiesa, cambiamenti di cultura, di mentalità, di teologia, di prassi quotidiana. A p. Gardin era stato chiesto un approccio “esperienziale” (lui che era stato anche ministro generale dei conventuali) ai problemi dell’autorità nella vita consacrata. Mai come oggi, ha detto, si vanno affermando nella vita consacrata il primato della spirituale e l’esigenza di una conseguente ed esigente autorità spirituale. Mai come oggi, però, queste richieste non solo provengono più dall’alto che non dal basso, ma sempre più frequentemente trovano i superiori impreparati ad affrontarle con serietà e responsabilità.

Forte della sua esperienza. P. Gardin ha potuto anche denunciare i “rischi” connessi all’esercizio dell’autorità. Quante volte, ad esempio, il primato dello spirituale è enunciato solo a livello teorico, dal momento che il primato effettivo è quello dell’animazione del lavoro, della gestione delle opere e di tutti gli impegni, di fatto, ritenuti più urgenti.

Per un superiore, inoltre, limitarsi a fare determinate cose, senza preoccuparsi più di tanto dei processi di conversione e di reale incidenza evangelica, sia personale che comunitaria, nella vita di quanti gli sono affidati, è un rischio non meno preoccupante di quello connesso alla pretesa, in alcuni superiori, di vedere in tempi brevi i frutti di un cammino o di un rinnovamento della Provincia. E tutto questo succede più facilmente quando non si va oltre una animazione spirituale di “basso profilo”.

Dopo aver commentato il n. 50 del documento “La vita fraterna in comunità” sul servizio dell’unità, dell’ascolto e del dialogo, della corresponsabilità, dell’obbedienza, della gestione delle diversità, della decisionalità finale ed esecutiva propria di un superiore, p. Gardin conclude osservando che spesso, in passato, il superiore eletto, alla domanda se accettasse o meno l’incarico, dando il suo assenso, aggiungeva: “in cruce”. Se in passato si poteva tranquillamente mettere in dubbio la “sincerità” di questa espressione, «è assai probabile che una risposta del genere oggi sia più credibile».5

 

Angelo Arrighini

 

1 Nava P.L., (a cura), Servire la libertà nella sequela di Cristo. Autorità e potere nella vita consacrata: tra complessità e aspettative, Editrice Il Calamo, Roma 2006.

2 Martinelli P.P., Autorità e potere nella vita consacrata, servire la libertà di seguire Cristo.

3 De Sandre I., Leadership nel cambiamento socio-culturale del nostro tempo: interrogativi per la vita consacrata.

4 Fontana U., Verso nuovi modelli dell’esercizio dell’autorità? Possibilità e ambiguità.

5 Gardin P.A., Crisi di ruolo e/o nuove aspettative?