INTERROGATIVI SULLA MISSIO AD GENTES
MISSIONE E DENARO. EFFICIENZA O EFFICACIA?
Non si vuol negare l’importanza del denaro, della tecnologia e dei mezzi di
comunicazione e di trasporto per l’attività missionaria perché possono
contribuire ad accrescere l’efficienza apostolica. Ma c’è da chiedersi se
l’efficienza in se stessa garantisca o meno l’efficacia apostolica.
Padre Joseph Mattam s.j., in un articolo pubblicato sul
SEDOS Bulletin (5/6 maggio-giugno 2006 pp.187-190),1 scrive che i cristiani più
anziani del Gujarat (India) parlano ancora con grande stima di quei missionari
che andavano nei villaggi a piedi, e si fermavano alcuni giorni con la gente,
condividendo i loro poveri pasti, insegnando il vangelo e celebrando i
sacramenti. Molti di questi vecchi cristiani non sono molto d’accordo invece
con i missionari d’oggi, diventati “Jeep Missionaries” (missionari con la jeep)
che visitano le gente, forse più spesso, ma in fretta, e se ne tornano a casa
la sera. Certo essi sono più veloci, più efficienti e si servono degli ultimi
mezzi di comunicazione. Sorge a questo punto la domanda: questi nuovi
missionari sono apostolicamente più efficaci della vecchia generazione che era
meno efficiente, meno veloce, e praticamente priva dei nuovi mezzi di
comunicazione? Riescono a toccare il cuore della gente più e meglio dei vecchi
missionari che non parlavano le lingue locali bene come i preti e le suore
d’oggi, ma che raggiungevano il cuore della gente pur con il loro linguaggio
zoppicante?
DENARO
POTERE E MISSIONE
Le istruzioni date da Gesù ai suoi discepoli quando li
mandò a due e due valgono anche per oggi o unicamente per il suo tempo? Egli
aveva detto loro di non fare affidamento sul denaro o sul potere materiale, ma
unicamente su quello di Dio in loro. “Egli ordinò loro di non prendere nulla
per il loro viaggio, eccetto un bastone; né pane, né bisaccia, né denaro nelle
loro cinture… e nemmeno due tuniche” (Mc 6,8ss). Non è privo di senso notare
che Marco nello stesso capitolo, raccontando la moltiplicazione dei pani,
ricorda che Gesù disse ai suoi discepoli: «Date loro voi stessi da mangiare»
(Mc 6,37). Si direbbe che Gesù prevedesse il futuro della Chiesa in Asia e in
Africa dove l’aiuto straniero sarebbe diventato il sostegno principale della
Chiesa. Gesù forse voleva già dire che la Chiesa doveva cercare di usare le
risorse locali, per essere autosufficiente e non dipendere dalle forze esterne
per la sua attività tra la gente. Allo stesso modo, Paolo afferma di non essere
andato alla sua gente basandosi sull’eloquenza e la sapienza mondana, o
nessun’altra forza, ma solo su quella della follia della croce (1Cor 2,1ss; cf.
1Cor 1,18ss). Se la missione non è più intesa in termini di conquista, le
parole di Gesù possono essere valide anche oggi.
Narayan Waman Tilak, un indù convertito al cristianesimo,
scrisse oltre un secolo fa: «I missionari e gli agenti della missione non
possono mai fare di più di ciò che può fare il denaro». La tentazione di dare e
di aiutare è grande, specialmente quando la gente è povera e bisognosa. In
molte stazioni missionarie del Gujarat, costituite da poco, la gente spesso
dice: «Sono venuto alla messa tutto l’anno: quand’è che riceverò i fondi per la
mia casa?». La mentalità del dare ha indotto i cristiani alla passività e alla
dipendenza facendone degli eterni mendicanti. Dall’altra parte il bisogno di
protagonismo, di sentirsi utili e ricercati, ha portato i missionari a
privilegiare un modello di missione paternalistico con il risultato che i
sacerdoti locali, che oggi visitano i villaggi dove hanno lavorato missionari
stranieri, si trovano davanti della gente che continua a chiedere loro un aiuto
che essi non hanno più. Il flusso di denaro è terminato con la partenza del
missionario e i nuovi missionari/e locali non sono in grado di aiutare e quindi
indesiderati dalla gente. Perciò, senza negare il valore del denaro
nell’attività missionaria, dobbiamo interrogarci sulla dipendenza della
missione dal denaro straniero e dal denaro tout court.
L’approccio basato sul potere del denaro, insieme a un
atteggiamento individualistico e una pastorale che non valorizza il laicato, ha
favorito il paternalismo e la deresponsabilizzazione della gente. Non si vuol
negare l’importanza del denaro, della tecnologia e dei mezzi di comunicazione e
di trasporto per l’attività missionaria. Essi possono e devono essere usati a
servizio della Parola; possono contribuire ad accrescere grandemente
l’efficienza apostolica, non per nulla ci sono dei documenti della Chiesa che
ne raccomandano l’uso. Ma c’è ugualmente da chiedersi se l’efficienza in se
stessa garantisca o meno l’efficacia apostolica.
In questi ultimi decenni ci sono stati dei cambiamenti
radicali a livello sociale e antropologico. Oggi la gente reclama parità di
diritti e di opportunità e vuole essere protagonista del proprio destino, vuol
essere informata, consultata e presa sul serio. Ora, fintanto che la missione è
intesa in termini di espansione numerica della Chiesa, di erezione di
strutture, di istituzioni sociali ecc., è inevitabile che essa dipenda, e
pesantemente, dal denaro e dall’esterno. Ma se la missione consiste nel mettere
in grado la gente di scoprire una nuova identità, basata sul dono che Dio fa ad
essa di sé, di sentirsi persone amate e capaci di amare, e in termini di
servizio al regno di Dio e dei suoi valori, allora bisogna tenere conto di
altre realtà. Missione è anzitutto rivelare l’amore di Dio manifestato nella
persona di Gesù, nella sua vita e morte, un amore che ora è comunicato da una
comunità, la Chiesa, e reso presente nell’amore dell’evangelizzatore, del
missionario.
LA MISSIONE OGGI CHIEDE
SEMPLICITÀ E TRASPARENZA
Se siamo convinti che la missione è al servizio del regno
di Dio, dobbiamo accettare un certo numero di fattori che non dipendono dal
potere del denaro, ma dalla qualità dell’impegno e del coinvolgimento con la
gente; allora vale più il modo di procedere che il risultato finale, ossia la
partecipazione della gente e l’esercizio della sua responsabilità che non il
successo nell’impresa, la sua consapevolezza di partecipare al sacerdozio
regale e alla missione di Cristo che non il prestigio dell’autorità gerarchica.
Se la gente è invitata e aiutata a collaborare nella missione della Chiesa,
allora la missione non sarà più un problema di potere (di denaro o di altre
forme), ma di amore. Il punto allora è di cercare che l’amore di Dio si incarni
nella comunità dei credenti e si estenda all’intorno della comunità, per
formare comunità di amore, di condivisione e cura del bene comune, capaci di
rispondere ai bisogni della gente, senza badare alla religione, alla casta, al
genere, e altro.
I sacerdoti/missionari in quanto capi della comunità
hanno la responsabilità di verificare che questo processo vada avanti. I laici,
grazie al loro stare sullo stesso piano della gente comune, aiuteranno a
scoprire le aree bisognose di attenzione. E clero e laici, ispirati e abilitati
dalla forza dell’amore nei loro cuori, troveranno delle vie per venire incontro
ai bisogni e per stare con la gente.
La missione nei contesti multireligiosi e culturali di
povertà, analfabetismo e ingiustizia ha il compito di assumere una funzione
profetica. La Chiesa è chiamata prima di tutto non a conquistare gli aderenti
alle altre religioni e a distruggerne le religioni, ma a testimoniare il
Vangelo nella collaborazione con tutti in vista di formare in mezzo a loro
delle comunità di amore, di libertà, condivisione e di sincera attenzione gli
uni verso gli altri. La missione della Chiesa va vista nei termini suggeriti da
Cristo stesso: quella del “piccolo gregge”, che intende essere sale, lievito e
luce del mondo circostante (Mt 5,13ss.; Lc 10,37).
Per svolgere una missione così intesa non c’è bisogno
prima di tutto di denaro, ma di dedizione e di disponibilità a lavorare senza
cercare risultati numerici immediati. La Chiesa deve cessare di preoccuparsi
troppo dei risultati numerici e del denaro, soprattutto di quello che viene da
fuori, per rivolgere la sua attenzione alla qualità del messaggio che è
semplice e chiaro: Dio è amore, Dio ama tutti incondizionatamente, si deve
credere a questa buona notizia e rispondervi amandoci gli uni gli altri,
facendo attenzione alle necessità dei bisognosi, creando comunità di amore, di
condivisione e giustizia. L’efficacia della missione non può quindi essere
misurata in base al numero dei convertiti o delle attività e visite dei
preti/suore alla gente e neppure in base al numero delle chiese e delle altre
strutture, ma alla conversione dei cuori, al cambiamento degli atteggiamenti.
In che misura questa particolare comunità è diventata
“lievito”, “sale” e “luce” nell’ambiente in cui vive? Siccome questo dato è
meno misurabile dei numeri e di altri elementi menzionati sopra, bisogna fare
attenzione a non cadere nel pericolo di andare alla ricerca di criteri più
misurabili e tangibili.
PERCHÉ COSÌ
POCHE CONVERSIONI ?
Nonostante che la Chiesa sia presente in India da due
millenni, la percentuale dei cristiani è rimasta molto bassa. Ciò è dovuto solo
al fatto che la storia della Chiesa è stata legata al colonialismo oppure anche
all’immagine che essa ha dato di se stessa? Sembra di dover puntare il dito sul
fatto che la gente dell’India non vede nella Chiesa una forza spirituale, ma
un’istituzione di potere e di ricchezza. Anche le divisioni tra cristiani e il
fondamentalismo di certe comunità sono per molti un ostacolo che impedisce loro
di essere attratti a Cristo e alla sua Chiesa.
L’immagine che i cristiani hanno e dànno di sé
costituisce un problema notevole: questi si considerano una presenza visibile
di Cristo, suo corpo in cui abita lo Spirito di Dio, una comunità di fraternità
e di amore, oppure una società gerarchica in cui chi sta in alto è superiore a
chi sta in basso? È chiaro che simile comprensione di sé, unilateralmente
sottolineata, non rende giustizia alla Chiesa voluta da Gesù. Non sarebbe bene
che insieme con la natura gerarchica della Chiesa, venisse ricordato anche
l’insegnamento esplicito di Cristo: “Voi siete tutti fratelli/sorelle”,
servitori gli uni degli altri come uguali (cf. Mt 23,8)? Se la Chiesa si sente
un’istituzione di salvezza in cui risiede ogni verità, e continua a seguire un
modello dipendente dal denaro e dal potere, i suoi membri diventeranno sempre
più passivi e non riveleranno il vero volto della Chiesa di Gesù Cristo.
DA UNA CHIESA MONDANIZZATA
A UNA CHIESA SOLIDALE
Molti in India considerano anzitutto la Chiesa come una
realtà straniera e, in secondo luogo – e di conseguenza – , non una comunità
spirituale e religiosa, ma un insieme di strutture di potere che gestiscono
istituzioni educative e sanitarie. Per essi la Chiesa non è una realtà
contemplativa e serva, compagna di viaggio degli altri, finché non abbandonerà
il trionfalismo di chi ritiene di possedere tutte le verità.
La storia della Chiesa mostra che il potere e le
ricchezze non hanno contribuito a diffondere la buona novella, ma solo a far
crescere numericamente la Chiesa. Come ha detto qualcuno: «Il mondo occidentale
è diventato cristiano non necessariamente per convinzione, ma in gran misura
per una realtà politica» (J. Gomes ). Può essere utile chiederci se l’Europa è
diventata veramente cristiana. Se lo fosse, non avrebbe praticato la schiavitù,
il colonialismo e il razzismo; non avrebbe perpetrato il genocidio dei popoli o
combattuto una quantità di guerre fino ai nostri giorni; non avrebbe difeso e
continuato a difendere politiche economiche che rendono schiava e impoveriscono
gran parte dell’umanità.
Gesù ha proposto un modo di considerare la gente
completamente nuovo; gli individui non devono essere considerati in base al
possesso, alla posizione, alle attività, al gruppo di appartenenza o alle
apparenze. Tutti sono uguali come fratelli e sorelle in una famiglia in cui non
ci sono superiori o inferiori.. Gli europei non sono superiori agli africani o
agli asiatici. Purtroppo la Chiesa occidentale si è mondanizzata, ha seguito la
logica del mondo, secondo cui il valore di una persona è misurato sul suo conto
in banca, sulla sua posizione nella società, sulla sua attività, sulla sua
appartenenza e sulla sua apparenza.
Le chiese europee hanno inviato un gran numero di
missionari in tante parti del mondo. In questa espansione missionaria, la
Chiesa ha camminato di pari passo con la colonizzazione in Asia e in Africa, o
la conquista e lo sterminio in America e Australia. I missionari erano convinti
di proclamare la buona novella senza rendersi conto che questa era
inconciliabile (oggi scandalosa!) con la pratica della schiavitù e col
colonialismo. La storia della Chiesa mostra chiaramente che la forza del denaro
e altre forme di potere non hanno diffuso la buona novella dell’amore di Dio,
ma hanno contribuito unicamente a far crescere il numero dei membri della
Chiesa.
Concludiamo rispondendo alla prima domanda da cui siamo
partiti: le istruzioni di Gesù ai suoi discepoli al momento di mandarli in
missione possono essere valide per tutti, in ogni tempo e luogo, perché la
natura e lo scopo della missione sono gli stessi: mettere in grado la gente di
esperimentare e di rispondere all’amore di Dio amandosi a vicenda e diventando
una comunità di amore e di servizio. Ma sarà bene ricordare che la vera
conversione e la diffusione della buona novella non possono essere commisurate
sull’efficienza, sul pragmatismo e sulla gestione di istituzioni di prestigio,
ma sulla verità di un Vangelo vissuto nella semplicità e nella solidarietà con
i poveri e i bisognosi.
E la Chiesa dovrà cercare di diventare anzitutto una
comunità di fratelli e sorelle, senza alcuna discriminazione in base al genere,
alla razza, al ruolo nella comunità, liberandosi da tutto ciò che è pagano e
frutto del processo di mondanizzazione. Quanto a loro, i missionari dovranno
imparare di nuovo a vivere una vita semplice, a condividere il più possibile la
condizione della gente ed essere, con loro, lievito nella società per mettere
in condizione la gente di diventare una comunità di amore e di solidarietà, una
comunità alternativa, basata sui valori del Regno: la libertà, l’amore e la
giustizia.
1 L’articolo intitolato Efficiency and Effectiveness in
Mission è stato ridotto e adattato per la nostra rivista da p. Gabriele Ferrari
sx.