A CINQUE ANNI DALL’11 SETTEMBRE

SCENARIO PEGGIORATO

 

Dopo quell’incredibile attacco, il terrorismo è aumentato, sono state dichiarate due guerre dalle conseguenze devastanti, il mondo musulmano è sempre più stretto nella morsa del fondamentalismo e per i cristiani è sempre più difficile vivere nei paesi musulmani. Inoltre l’insicurezza regna ormai ovunque.

 

Le immagini delle Torri del World Trade Center di New York trafitte dai due aerei dirottati, in fumo e fiamme prima di crollare su se stesse la mattina dell’11 settembre 2001, nuovamente proiettate in occasione del 5° anniversario di quell’incredibile avvenimento, ci hanno riportato indietro nel tempo obbligandoci a verificare l’impatto che quell’orribile gesto ha avuto sulla nostra coscienza individuale e collettiva. «La storia non potrà essere più la stessa», si è scritto in quel settembre di cinque anni fa. È vero?

 

UN DUPLICE

ATTENTATO ALLA PACE

 

Di certo quel giorno la speranza di pace che aveva segnato l’inizio del secolo XXI e del terzo millennio tramontava, mentre si metteva in moto quella guerra che The Economist ha dichiarato «la guerra più lunga degli Stati Uniti». Una guerra contro il terrorismo, non meno feroce e cruenta delle altre, è però una guerra atipica e asimmetrica, perché il nemico da affrontare non è uno stato, ma delle cellule terroristiche invisibili e mobili, una minaccia costante e incombente in grado di paralizzare il mondo, che si possono moltiplicare e trasferire da un luogo all’altro, provocando ovunque morte e disperazione. Per la loro sicurezza nazionale interna gli USA hanno imposto all’intero pianeta, come ha scritto su La Croix l’ex-prefetto francese Remy Paurtrat, una guerra che stiamo ancora combattendo, una guerra del Bene contro il Male, una specie di guerra santa in nome di un Dio difensore del nostro Bene, che tuttavia non sembra proprio il Dio di Gesù Cristo.

Ma c’è un secondo colpo inferto alla pace del mondo: la dichiarazione di guerra all’Afghanistan da parte degli Stati Uniti. Nella precipitazione il governo americano pensava bastasse attaccare l’Afghanistan per piegarlo con la potenza militare, ma la guerra in Afghanistan si è rivelata un pantano, una specie di nuovo Vietnam. La coalizione occidentale ha avuto la meglio finché c’era da liquidare il regime dei talebani, reo di nascondere Osama Ben Laden, ma oggi è evidente quello che molti avevano pronosticato, che cioè l’Afghanistan non è affatto liberato, è finito di nuovo in mano delle solite etnie, che la coltivazione dell’oppio è tornata a prosperare, che le donne portano ancora il burkha e in più che non si vede la fine del tunnel …Non c’era forse da attenderselo?

Una volta entrati in quella logica – o forse per una necessità interna – gli USA si sono ingolfati in una seconda guerra, quella contro l’Irak che George W. Bush con ingenua presunzione ha dichiarato presto conclusa alla caduta di Saddam Hussein dopo due soli mesi di conflitto. Altro che conclusa! Essa non riesce a raggiungere l’obiettivo di riportare la democrazia e la pace nel paese. Anzi, si deve ammettere che questa guerra ha mietuto più vittime americane di quante ne abbiano fatto gli attacchi dell’11 settembre, senza contare (chissà poi perché non si contano mai?) le innumerevoli vittime irachene. Ogni giorno la TV ci mostra orrori senza fine, stragi di innocenti, fosse comuni di morti torturati e ammazzati, vittime civili falciate dalla violenza che pagano il conto di un conflitto inutile e assurdo.

 

MA IL MONDO

È OGGI PIÙ SICURO?

 

Qualche giorno prima dell’11 settembre u.s. Richard B. Cheney, il vice di Bush, ha dichiarato che gli Stati Uniti oggi sono diventati più sicuri, che «non c’è stato più nessun attacco al loro territorio». Sì, è vero, ma è lecito chiedersi: a quale prezzo? Chi l’ha pagato? È questa la sicurezza che si vuole?

Quello che possiamo dire è che i tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001 hanno sì cambiato il mondo, ma esso non è affatto più sicuro, anzi! Vivere e muoversi oggi è più difficile di ieri; ci sono condizioni che limitano la libertà personale; la paura ci domina, anche se per scaramanzia temiamo di affermarlo apertamente e facciamo finta di non sentirla. C’è un’insicurezza diffusa che attanaglia il mondo, attribuita all’odio dei fondamentalisti islamici. Provate a chiedere un visa per gli USA e ve ne renderete conto. Ma anche da noi in Europa e anche in Italia si vive nella paura. I nuovi attacchi hanno interessato la Spagna e la Gran Bretagna. Nessuno osa dire che in Italia siamo in guerra e tutti, specialmente i politici, ostentano sicurezza, perché, dicono, «noi non siamo un obiettivo del terrorismo». Eppure basta entrare in una metropolitana, salire su un aereo, basta uno scoppio fortuito di qualsiasi natura in un supermercato o lungo la strada oppure un movimento inconsulto in mezzo alla folla e i fantasmi delle Torri si ripresentano anche da noi. Anche da noi ci sono delle limitazioni cui questa paura ci ha costretti, con i controlli minuziosi e la presenza capillare della polizia. Ogni controllo è oggi permesso con il pretesto del terrorismo. Alla faccia della cura maniacale per la privacy che impedisce, per es. di vedere il nome di un malato all’ospedale, un cittadino a Londra viene ripreso dalle telecamere fino a 300 volte al giorno! È questa la sicurezza?

 

SOLO PAURA

E DIFFIDENZA

 

La caduta delle Twin Towers ha fatto un tal clamore da lasciare tutti storditi, sicché solo pochi si sono interrogati su chi ha provocato e attizzato l’odio omicida che ha guidato i kamikaze con i due jet contro le Torri. Qualche segno, che le cose stavano cambiando, era già stato mandato, come quando nel 1989 si era lanciata una fatwa (decreto di morte) contro Salman Rushdie per i suoi Versetti Satanici giudicati blasfemi. Era un segnale chiaro e forte da parte di un mondo che non intendeva più lasciarsi offendere e calpestare nella sua identità dal secolarismo libertario e arrogante dell’occidente. Ma il mondo della globalizzazione non ha dato importanza a quel segno e ha continuato a invadere il mondo islamico, pretendendo di dominarne le zone petrolifere senza dover render conto a nessuno e, meno ancora, si è preoccupato di risolvere la questione palestinese che è la matrice nascosta (ma non tanto) dell’esasperazione islamica. Sia chiaro che non s’intende in alcun modo giustificare la tragedia dell’11 settembre, ma è pur necessario spiegare l’esplosione di rabbia e frustrazione che è all’origine di quel folle gesto e dei successivi attacchi alle istituzioni occidentali.

Invece di dichiarare una guerra all’islam radicale, il governo degli USA avrebbe fatto meglio a cercare umilmente di comprendere il perché di quell’odio omicida e a eliminarne le cause. Un paese come la Gran Bretagna non dovrebbe forse chiedersi perché dei giovani home grown, cresciuti nelle scuole britanniche, solidarizzano così facilmente con i kamikaze e sono pronti ad arruolarsi tra di loro per distruggere il loro proprio paese? Ci deve essere una spiegazione che vada al di là della sola radice islamica. Gli attentati di Bali, Casablanca, Jakarta, Madrid e Londra e gli altri per fortuna sventati consolidano sempre più la paura e la diffidenza. Oggi, al di là delle scontate dichiarazioni di buona volontà delle autorità, chiunque venga da un paese islamico (e quelli che sembrano!) è diventato un possibile terrorista. Oggi sono state inasprite le leggi sull’immigrazione degli extracomunitari, in particolare nei confronti degli islamici, dei quali pur abbiamo un estremo bisogno, alimentando un razzismo e una xenofobia che per sé non è della nostra cultura. Insomma in questi cinque anni è cresciuta la paura, si è diffuso il sospetto e la diffidenza e il nostro mondo si è imbarbarito.

 

UN DURO COLPO

AL DIRITTO INTERNAZIONALE

 

Gli avvenimenti dell’11 settembre, infatti, hanno inferto un duro colpo non solo alla pace e alla convivenza, ma anche al diritto internazionale. La forza delle istituzioni internazionali, come l’Organizzazione delle Nazioni Unite, è stata vilipesa e ne è uscita scossa e indebolita nella sua autorevolezza, perché le decisioni dell’ONU sono state ignorate e ridicolizzate dalla prepotenza e dalla paura degli Stati Uniti. La stessa autorità supernazionale dell’ONU, già fortemente criticata, è stata definitivamente dichiarata incapace di esercitare il suo ruolo super partes. Questo è stato un fatto molto grave, perché non sono dei documenti di carta a essere stati vilipesi, ma la volontà della maggioranza dei paesi che si erano espressi chiaramente contro la guerra contro l’Irak. Il presidente Bush ha ignorato tutto questo e il 20 marzo 2003, sulla base di ragioni non provate, anzi apertamente contestate, ha dichiarato guerra all’Irak per conto suo, sostenuto da pochi capi di stato. Questo è un vulnus, come si dice con termine tecnico, una ferita cioè e un’offesa al diritto delle nazioni, difficilmente riparabile. Ben presto del resto è emersa l’infondatezza dei pretesti addotti per la guerra, voluta invece per dei motivi molto più concreti e meno confessabili: le armi di distruzione di massa non si sono trovate, perché … non c’erano e la collusione di Saddam Hussein con Osama Ben Laden e/o con Al Qaeda si è rivelata un pretesto senza alcun fondamento.

Un altro duro colpo inflitto al diritto delle nazioni sono le prigioni di Guantanamo e di Abu Graib in cui furono rinchiusi i prigionieri politici dell’Afghanistan e dell’Irak, nelle quali sono stati sospesi, per decreto presidenziale e contro il parere della stessa Corte suprema degli USA, i diritti personali internazionalmente riconosciuti ai prigionieri. I prigionieri afgani passati attraverso gli interrogatori di Guantanamo sono stati 800 circa e solo 10 di essi sono stati incriminati e tuttavia Guantanamo continua a funzionare (vi sono oggi 450 prigionieri), malgrado le richieste dell’ONU e le denunce di molti organismi umanitari! Tutti questi colpi inferti al diritto internazionale sono gravi in sé e anche perché sono dei pessimi esempi per quei governanti delle giovani nazioni che sono tentati di governare al di sopra del diritto, facendosi essi stessi norma della propria condotta politica. Chi ristabilirà questo diritto conculcato?

 

RISCHIO DI REGRESSIONE

DELLA COSCIENZA UMANITARIA

 

La lotta contro il terrorismo e le due guerre hanno già chiesto un costo altissimo. Si parla di miliardi di dollari, cifre che è perfino difficile scrivere sulla carta, capitali sottratti agli impegni umanitari decisi nei programmi delle Nazioni Unite e dei vari G8 e promessi dai singoli governi per lo sviluppo dei paesi emergenti del terzo mondo. È stato fatto notare che le spese militari del primo anno di guerra all’Irak sarebbero state sufficienti per sconfiggere l’AIDS/HIV che miete vittime senza fine in Africa, o per debellare la fame e offrire una scuola ai milioni di analfabeti del terzo mondo. Lo ricorda un semplice programma brasiliano che è circolato sul web in occasione dell’anniversario dell’11 settembre e lo fa combinando l’immagine delle due Torri fumanti con quelle di un povero, per far notare l’enorme sproporzione tra la disgrazia americana e la situazione del mondo. Una scritta in fondo allo schermo ricorda: «2.863 sono i morti delle Torri. 40 milioni di persone sono colpite dall’infezione HIV/AIDS. Il mondo si è unito per combattere il terrorismo. Non dovrebbe unirsi ugualmente contro l’AIDS?!». E continua con lo stesso schema concettuale inserendo i milioni di persone che non hanno la casa, che non vanno a scuola, che soffrono di differenti malattie ecc.

La coscienza morale del mondo è peggiorata, perché non solo continua a ignorare questi squilibri, ma li ha come metabolizzati e ci convive; si direbbe che non vuol neppure pensare più alle emergenze mondiali per paura di impegnarsi nel mondo della povertà troppo spesso confuso con il mondo dei terroristi. Ma se le piaghe del mondo non saranno curate e sanate, saranno il terreno di coltura del terrorismo mondiale. Dio non voglia che l’Africa divenga una sponda o un serbatoio di forze per il terrorismo jahidista. Quando si è disperati, tutto ciò che offre qualcosa per sopravvivere è benvenuto.

 

DIALOGO PIÙ DIFFICILE

EPPURE NECESSARIO

 

Lo «scontro delle civiltà» che Samuel Hungtinton aveva preconizzato e che ancora ritiene inevitabile, quasi fosse un male necessario al mondo o il sostituto della guerra fredda, è oggi purtroppo un pericolo reale. Non è uno scontro tra occidente e islam, ma tra una parte del mondo occidentale e una parte, quella fondamentalista, dell’Islam e per evitarlo bisognerebbe che ci fosse rispetto e dialogo da entrambe le parti. Benedetto XVI non si stanca di dire che il terrorismo non può essere attribuito alle religioni: «A nessuno è lecito assumere il motivo della differenza religiosa come presupposto o pretesto di un atteggiamento bellicoso verso altri esseri umani (…) Sappiamo che simili manifestazioni di violenza non possono attribuirsi alla religione in quanto tale, ma ai limiti culturali con cui essa viene vissuta e si sviluppa nel tempo» (Messaggio al convegno Per un mondo di pace di Assisi, 2 settembre 2006). Purtroppo l’11 settembre ha aperto una ferita anche nel mondo delle religioni, ha attizzato odi che potevano dirsi sepolti dalla storia e ha rinfocolato conflitti che rischiano di travolgere il mondo. Ha peggiorato soprattutto la situazione delle comunità cristiane che vivono nei paesi musulmani, dove è diventato quasi impossibile vivere.

È innegabile che molti islamici moderati sono diventati estremisti così come molti cristiani si sono trovati su posizioni estreme, inconsuete e inaccettabili. E la croce di Cristo da segno di amore universale è diventata segno di appartenenza culturale, da difendere anche con la violenza e la guerra! Questo è un altro frutto dell’11 settembre.

Ma quello che più fa paura è il fatto che oggi è diventato più difficile dialogare proprio quando è più che mai necessario farlo per il bene del mondo. Giovanni Paolo II alla fine del Giubileo aveva chiesto che il dialogo interreligioso si facesse carico della pace nel mondo (Novo millennio ineunte 55) e Benedetto XVI ha scritto la sua prima enciclica per mettere in guardia dal pericolo di collegare al nome di Dio «la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza» (Deus caritas est, 1). Purtroppo l’11 settembre ha inferto al dialogo un duro colpo: oggi in nome di Dio e per suo conto si uccide da una parte e dall’altra.

Le caduta delle Twin Towers ha decretato la divisione del mondo in due campi, il mondo occidentale e quello del fondamentalismo islamico. Mai come oggi è necessario che le religioni si uniscano per affermare che in nome di Dio non si possono fare guerre e uccidere degli innocenti. L’11 settembre ci richiama alla grave e urgente responsabilità che incombe su tutti, ma in modo del tutto particolare su chi crede, di cercare la pace e di alimentare in ogni modo il dialogo, di non lasciarsi prendere nella spirale delle rivendicazioni e di una falsa reciprocità, ma di cercare insieme quella pace di cui il mondo ha bisogno, perché solo in essa c’è speranza e futuro.

Gabriele Ferrari s.x.