LA SCOMPARSA DI MATTA EL MESKIN
FIGURA LUMINOSA DEL MONACHESIMO EGIZIANO
Lo scorso mese di giugno è
scomparso all’età di 87 anni nel monastero copto di Deir Abu Maqar Matta el
Meskin, ossia “Matteo il povero”. È stato una figura luminosa del monachesimo
egiziano contemporaneo, un grande Abba di vita spirituale, e autore di numerose
pubblicazioni.
«Ci colpiscono lo stile, i modi, i suoni, le parole, la misura di spazio e
di tempo che, partendo dai padri del deserto e dal monachesimo delle origini,
sono ancor oggi trasmessi al visitatore, accolto sotto un berceau di gelsomini,
con singolare, spontanea, toccante sobrietà. Si avverte qui il gusto delle
giornate piene, operose, il valore della meditazione solitaria e insieme la
capacità di dialogo riflessivo e quieto, l’ironia leggera, quasi gioiosa, con
cui le comunità dei monaci di Wadi-el-Natrun affrontano le domande ultime.
Mentre stabiliscono relazioni fertili e intense con molte altre e diverse
realtà culturali, ecclesiali, monastiche di ogni continente. Mentre incalzano
le aporie del nostro mondo e del nostro tempo». Così terminava la motivazione
della giuria nell’assegnare l’edizione 2005 del Premio internazionale Carlo
Scarpa per il Giardino a “Deir Abu Maqar”, il monastero copto tra Il Cairo e
Alessandria “rifondato” da padre Matta el Meskin, scomparso lo scorso giugno a
87 anni. Un laicissimo premio di architettura di giardino a un monastero
situato in pieno deserto? Questo sorprendente accostamento ci aiuta a capire
molte cose riguardo al monachesimo egiziano contemporaneo e a una delle sue
figure più luminose.1
Le distese sabbiose, i giacimenti di salnitro e le rare oasi delle terre
non irrigate dal Nilo sono state fin dal IV secolo un luogo “paradossale”:
landa disabitata ai margini dell’impero, “il deserto diventò una città”
(secondo l’espressione di Atanasio nella sua Vita di Antonio), si mise a
fiorire, quasi ad adempiere la parola di Dio per bocca del profeta (Is 32,15).
E, come le acque sotterranee che improvvisamente emergono a creare il pacato
ristoro di un’oasi, la vita monastica nel deserto conosce sorprendenti
rinascite, grazie a un “padre” che, quale esperto capocarovana, riprende a
guidare con mano sicura, sguardo sapiente e cuore amante i suoi discepoli sulle
tracce dell’unico Signore.
Così è avvenuto a San Macario, a partire dagli anni settanta del secolo
scorso, attorno alla figura di Matta el Meskin. Ma lui, a quali sorgenti aveva
attinto per poter offrire l’acqua limpida del Vangelo a quei pochi monaci che
gli si erano radunati attorno? La sua vicenda monastica prese avvio al Cairo
quando un farmacista neppure trentenne vendette casa e auto, cedette le due
avviate farmacie di cui era proprietario, distribuì ai poveri il ricavato, e si
ritirò nel più povero e isolato monastero d’Egitto, “Deir Amba Samuil”, dove
vivevano pochi monaci anziani e malati.
UN CAMMINO
NON SEMPRE FACILE
Di quello che all’anagrafe era Yussef Iskandar, nato nel 1919, uno degli
animatori del movimento di universitari intenzionato a dare nuovo impulso
evangelico alla vita della chiesa copta, si perdono così le tracce, mentre
inizia il cammino di un giovane monaco che assume il nome di Matta el Meskin,
Matteo il Povero: un cammino non sempre facile, attraversato anche da momenti
di incomprensione con l’altrettanto dinamico ed evangelico patriarca Cirillo VI
di Alessandria, ma che proprio nel progressivo nascondimento, nel quotidiano
andare alle radici della propria vocazione monastica troverà il terreno solido
e fecondo da cui far germinare una nuova, vigorosa pianta nel giardino della
chiesa. Ritiratosi, dopo gli anni di probazione, nella solitudine totale di un
eremo nel deserto nei pressi di El Fayoum, Matta el Meskin ritma le sue
giornate tra lavoro manuale, preghiera silenziosa e lettura amorosa della
Scrittura, fedele discepolo dei “padri del deserto”. Ma la luce non può restare
nascosta e dopo qualche anno Matta el Meskin è raggiunto da alcuni giovani che
lo scelgono come padre spirituale. In un quadro di vita che richiama quello del
deserto del IV secolo, questo gruppetto di monaci vive la stessa esperienza
profonda dell’amore di Dio e dei fratelli: semplici esistenze di uomini
affascinati dal Signore, “luce del giorno e stella della pace”, si fondono nel
crogiolo dell’amore divino e diventano una sola cosa in Cristo secondo lo
spirito del vangelo.
A un giornalista che lo interrogava sulle origini del proprio cammino
monastico, Matta el Meskin rispondeva: «La mia vita è una profonda relazione
tra Dio e me. Ho cominciato da solo. Lo scopo è stato quello di offrire la mia
vita al Signore: questo l’ho capito e deciso grazie a una lettura continua
della Bibbia. Antico e Nuovo Testamento mi hanno concesso di costruire la mia
vita se un fondamento solido. Mi sono chiesto: come potrò donare tutta la mia
vita al Signore in questi pochi anni che ho da vivere? Come potrò realizzare
nella mia esistenza ciò che hanno vissuto le persone della Bibbia? Ho pensato
che la mia vita fosse troppo breve per poter assimilare questo libro. Allora ho
tentato, nella preghiera e con molte lacrime, di capire questi uomini
dell’Antico Testamento e, poco alla volta, mi sono diventati familiari: mi sono
adattato a loro, e ora essi vivono in me e io in loro. Come essi hanno vissuto
la loro relazione con Dio, così anch’io oggi. Nei libri dell’Antico Testamento ho
sperimentato l’amore di Dio, la sua severità, la sua pedagogia, la sua bontà.
Giorno e notte ho letto la Bibbia, affinché diventasse la mia propria carne e
il mio sangue. Poi sono passato al Nuovo Testamento, che è stato per me un
libro luminoso. Ho capito che il Signore è la luce del giorno, e Cristo la
stella della pace. Antico e Nuovo Testamento mi collegano a Dio: la mia vita,
il mio pensare, il mio amare non è altro che la Sacra Scrittura. Il resto non
mi interessa più».
NEL MONASTERO
DI SAN MACARIO
Così radicata nella parola di Dio, la piccola comunità lascia Wadi el Rayan
nel 1969, accogliendo l’invito del patriarca Cirillo VI a spostarsi nel
monastero di San Macario, nel deserto di Scete, per ridargli vigore. Allora
vivevano là solo sei monaci anziani, in mezzo a edifici che rischiavano di
cadere o di essere sepolti sotto le tempeste di sabbia. Il nuovo gruppo venne
accolto come una benedizione e poté così trovare il clima ideale per il
rinnovamento desiderato: nel giro di pochi anni il monastero venne prima
ricostruito e poi ampliato, fino all’attuale fioritura, in senso proprio e
figurato: un centinaio di monaci ha strappato all’aridità del deserto ettari ed
ettari di terreno e li coltiva a frutti e ortaggi, con l’aiuto di cinquecento
operai agricoli, mentre gli abitanti dei dintorni usufruiscono gratuitamente
del dispensario gestito dai monaci e in tutto l’Egitto e nella diaspora
dell’emigrazione i commentari biblici e spirituali di Matta el Meskin nutrono
migliaia di fedeli.
La mia prima visita a San Macario risale alla seconda metà degli anni
settanta, quando fervevano i lavori di ricostruzione. Matta el Meskin, dopo
aver diretto personalmente il progetto, l’impostazione e l’esecuzione degli
interventi principali, viveva ormai in disparte, dedicandosi unicamente alla
preghiera e alla paternità spirituale nei confronti dei suoi monaci. A chi,
come me, chiedeva di incontrarlo, faceva rispondere che la sua persona non era
importante e che solo l’incontro con il Signore restava fondamentale per ogni cristiano
e per ogni monaco. Ma la sua parola giungeva attraverso il vissuto dei suoi
monaci – parabola vivente di cosa significa la sequela cristiana nella via
monastica – e i dialoghi fraterni con fr. Wadid, un giovane ingegnere cattolico
che, desideroso di abbracciare la vita monastica e non trovandone la
possibilità all’interno sua sua chiesa copto-cattolica, venne accolto a San
Macario nel pieno rispetto della sua identità confessionale, fino a divenire
uno dei monaci più vicini al cuore di Matta el Meskin: uomo di pace e di
accoglienza, fr. Wadid riesce ancora oggi a trasmettere a quanti lo accostano
l’intensa ricerca della comunione nell’amore che arde in lui e nel suo padre
spirituale.
Da quel primo incontro, sia io che diversi miei fratelli siamo tornati più
volte a San Macario, per confrontarci con una testimonianza monastica che ci
riporta all’essenziale della nostra vocazione, per abbeverarci alle sorgenti
del monachesimo cristiano – non si dimentichi che in quei medesimi luoghi i
monaci sono presenti ininterrottamente dal IV secolo – e per cercare di leggere
insieme ad altri fratelli nella fede “ciò che lo Spirito Santo dice alle
chiese”. Da quegli incontri fraterni è sempre emersa in tutta la sua
trasparenza una vita che ha come fondamento il nutrimento quotidiano della
parola di Dio, unico cibo che sostiene la speranza del regno di Dio. «Quando
chiesi a Matta el Meskin di insegnarmi a pregare – mi confidò una volta un
monaco – l’abba mi disse di dargli la mia Bibbia. Aprì il libro, cercò l’inizio
della Lettera agli Efesini, si alzò, levò gli occhi al cielo, lesse ad alta
voce il primo versetto, tacque, ripeté due volte ogni parola, poi rilesse tutto
daccapo. Passò al versetto seguente, alzò la voce, supplicò Dio di perdonarlo,
canticchiò il versetto, la ripeté a bassa voce, alzò le mani, pianse... E fece
così fino alla fine del capitolo. Si era completamente dimenticato della mia
presenza accanto a lui!».
LETTURA, STUDIO
E CONTEMPLAZIONE
Ma la Scrittura giunge attraverso una tradizione ed è per questo che –
accanto ad essa – i detti degli abba del deserto e le opere dei padri della
chiesa sono per i monaci di Scete cibo quotidiano nella lettura, nello studio,
nella contemplazione. Così era solito ripetere Matta el Meskin: «Quando
leggiamo un apoftegma, a noi deve accadere questo: prima lo Spirito ci convince
che la loro esperienza è vera, poi dobbiamo lottare per fare nostra questa loro
esperienza, perseverando nella lotta fino alla morte, cioè pronti a morire per
rimanere fedeli al comandamento che lo Spirito ci ha dato. Morire per mettere
in pratica nello Spirito un comandamento del Signore: questo è il vero
martirio. Ma colui che è pronto a morire sarà salvato dal Signore e non morirà,
perché il Signore stesso è morto per noi. Se il monaco, prima ancora di
ricevere l’abito, è pronto a rimanere incondizionatamente fedele, fino alla
morte, se non ha paura della morte, allora la sua vita monastica sarà
spiritualmente riuscita. Ma se teme per il suo corpo, se rifiuta di correre
rischi, allora la sua vita monastica sarà molto penosa. Peggio ancora: sarà
assai difficile per lui essere trasformato dallo Spirito in un uomo nuovo».
È in questa medesima ottica di morte e risurrezione che Matta el Meskin
collocava anche il suo sforzo quotidiano di conformarsi alla volontà del
Signore che, alla vigilia della passione aveva pregato il Padre perché i suoi
discepoli fossero “una cosa sola”. Ardente fautore di un’unità dei cristiani
fondata non sulla spinta affettiva o sulla tendenza opportunistica alla
coalizione, bensì sulla forza della debolezza, Matta el Meskin non si è mai
stancato di ricercare vie di pace e di comunione che trovano la loro origine
nel comune sottomettersi alla volontà di Dio. Ancora pochi anni fa, nella mia
più recente visita a San Macario, sapendo del peggioramento delle sue
condizioni di salute, chiesi di poterlo vedere. Fr. Wadid tornò da me con il
suo consueto volto radioso e mi riferì che Matta el Meskin mi salutava con
affetto e mi invitava ancora una volta all’essenziale: restare saldamente
attaccati a Gesù Cristo e alla sua Parola. Così, in questa saldezza della fede
e in questa speranza della risurrezione, Matta el Meskin è passato da questo
mondo al Padre. Ora riposa là dove il suo cuore ha sempre desiderato essere:
nella pace di Dio. Una pace di cui il “giardino” di San Macario è anticipazione
e promessa.
Enzo Bianchi
1 Matta el Meskin ha pubblicato una quantità enorme di libri e articoli in
arabo, alcuni dei quali tradotti in molte lingue. Le Edizioni Qiqajon hanno
fatto conoscere anche in Italia alcune tra le sue opere più significative: in
particolare Consigli per la preghiera e Comunione nell’amore sono diventate dei
“classici” della spiritualità, mentre L’esperienza di Dio nella preghiera
presenta un’antologia di testi patristici sulla preghiera scelti e commentati a
partire dall’esperienza personale dello stesso Matta el Meskin. Così come siamo
debitori a lui della pubblicazione e dell’ampio commento alle Lettere di
Antonio nella più ampia raccolta araba: la traduzione italiana è uscita, sempre
da Qiqajon, con il titolo Secondo il Vangelo.