L’IMPEGNO DEI CAMILLIANI
CARISMA DONO DA CONDIVIDERE
Fra gli istituti che cercano di incrementare e rafforzare la collaborazione
tra religiosi e laici figurano indubbiamente i camilliani.
A questo argomento essi hanno dedicato il recente convegno, tenuto a Roma dal 5
al 7 giugno scorso, che ha avuto come tema Uniti nella comune missione
Religiosi e laici a confronto.
Perché i camilliani sono così interessati a
questa collaborazione? Le ragioni che motivano questa condivisione, ha
affermato il superiore generale p. Frank Monks, in apertura del convegno, non sono dovute alla mancanza
di vocazioni e meno ancora a fattori sociologici. Il coinvolgimento attivo dei
laici nella vita della Chiesa è piuttosto una questione di giustizia. La
ragione di fondo deve essere ecclesiale, dato che la Chiesa è una comunità
caratterizzata dalla comunione e dalla partecipazione. È fondamentale, ha
sottolineato il padre, che teniamo conto della dimensione ecclesiale del nostro
rapporto: questo viene dalla comunione che caratterizza la Chiesa e la missione
che è chiamata a svolgere.
La nostra collaborazione deve avere sempre una dimensione fortemente
evangelizzatrice… La collaborazione fra di noi è un’opportunità per meglio
articolare la nostra missione e il nostro apostolato nel mondo attuale.
Un altro scopo viene dalla nuova visione della vocazione laicale
nell’ecclesiologia del periodo successivo al Vaticano II. Tutti noi siamo
chiamati a fare Chiesa insieme… Abbiamo un dono, ricevuto da san Camillo, che
non è per noi stessi, bensì per la Chiesa. Il fine è la condivisione del
carisma e della spiritualità e la promozione del Regno.
La terza ragione di questa collaborazione è la condivisione del carisma. Il
carisma di un istituto si manifesta in due modi: vivendolo e condividendolo con
gli altri. Questo richiede che noi religiosi crediamo nel potere dei laici, che
diamo loro più responsabilità nell’amministrazione delle nostre opere, che
apriamo spazi per dar loro la possibilità di vivere la loro fede nella
pienezza, che condividiamo con loro il nostro concetto di Cristo e la nostra
spiritualità, che manteniamo un atteggiamento di ascolto verso di loro e verso
i poveri per imparare da loro. In una parola, dobbiamo essere sempre aperti
alla trasformazione che Dio vuole compiere in noi.
La vera sfida starà nella nostra capacità di condividere il nostro carisma
e di essere aperti a ricevere dai laici una nuova visione del carisma: come
vivere il proprio carisma in una mentalità di collaborazione, ossia di
comunione, di partecipazione, di corresponsabilità, di umiltà? Come abbandonare
atteggiamenti di autosufficienza e rompere una mentalità clericale? Come
adottare un vero atteggiamento di ascolto?.. Il nostro obiettivo è una stretta
collaborazione nell’area del ministero, anche se si deve riconoscere che questo
non è sempre possibile.
Sfide da parte dei laici
1. È importante che il laico sia convinto che la missione non è
semplicemente un’attività della Chiesa, ma piuttosto la sua essenza. I primi
discepoli di Cristo furono inviati ad annunciare il Regno. Niente è cambiato
nel frattempo. Ogni membro della Chiesa riceve la missione di evangelizzare, e
l’attività di ciascuno è importante in vista della crescita di tutti. C’è
soltanto una missione comune e non una varietà: quella di annunciare Cristo. Ma
ci sono molti ministeri nella missione che non sono intercambiabili. Io non
posso fare ciò che può fare il laico, e il laico non può fare ciò cui io sono
chiamato.
2. All’inizio di questo secolo XXI lo Spirito del Signore sta aprendo nuovi
percorsi all’azione missionaria dei fedeli laici. Le congregazioni religiose
sono più aperte alla collaborazione. Una domanda fondamentale per questo
convegno potrebbe essere: quali percorsi vedete voi laici per fare un passo
avanti in questa collaborazione?
3. Noi religiosi dobbiamo credere nella forza dei laici, e i laici devono
avere il coraggio di proporsi come testimoni del vangelo. Insieme dobbiamo
aprire spazi in cui i fedeli laici possano vivere la loro fede in un modo
sempre più pieno.
P. Monks propone a questo proposito una serie di
punti-cardine, atti a cementare una collaborazione destinata sempre più a
consolidarsi.
Come religioso, osserva anzitutto, devo essere consapevole della teologia
sul laicato così come si è evoluta a partire dal Vaticano II; una teologia che
è necessario assumere per chi è chiamato a lavorare con i laici. Di conseguenza
sarà indispensabile una certa familiarità soprattutto con alcuni testi del
concilio dove è contenuta questa dottrina, come Lumen gentium,
Apostolicam actuositatem, Gaudium et spes
e Christififdeles laici. Quest’ultima
in particolare ricorda che ogni forma di vita cristiana ha una fondamentale
identità, dovuta al fatto di essere tutti christifideles:
questo è il nome comune, mentre religioso, laico, ordinato sono gli aggettivi.
Quindi sia il laico camilliano sia il religioso troveranno
prima di tutto e sopra tutto la loro identità nell’essere christifideles
nel cuore del popolo di Dio. Assieme formano una comunità basata sulla
comunione e sul rispetto per l’altrui ministero. Ciascuno accetta i doni
dell’altro e si sforza di creare lo spazio dove essi possano essere messi in
atto.
In secondo luogo, il religioso deve ricordare che oggi il laicato è
costituito di membri adulti della Chiesa; non deve perciò essere trattato in
modo infantile. Bisogna pertanto comunicare il carisma in una forma che non sia
paternalistica. Va riscoperta la spiritualità dell’ordinario, del feriale. Non
si ha quindi a che fare con persone che sono delle tabulae
rasae quando si tratta di condividere la nostra
spiritualità. In questo senso, ha sottolineato p. Monks,
se c’è molto da dare, c’è anche molto da imparare.
Pertanto, ha aggiunto, va chiarita la nostra conoscenza del ministero.
Inoltre che la partecipazione alla vita della Chiesa non si basa sul genere, il
celibato o lo stato matrimoniale, ma sui talenti, le competenze e le capacità
che la Chiesa richiede nel compimento della sua missione. Sotto questo punto di
vista non ci devono essere incertezze nemmeno circa il ruolo femminile, tanto
più che il carisma camilliano è più incline ad
attirare le donne che non gli uomini, per questo è importante che ci sia
chiarezza sul ruolo della donna.
Un altro punto basilare consiste nel trasmettere al laicato il messaggio in
un linguaggio intelligibile. In effetti, ha affermato p. Monks,
bisogna riconoscere che la comunicazione e la chiarezza di espressione non sono
davvero una delle maggiori doti delle guide ecclesiastiche… Quando devo leggere
due o tre volte un testo per capirne il significato, o quando il contenuto è
espresso attraverso una terminologia oscura che ha bisogno di dizionari
specialistici, allora vuol dire che la colpa non sta necessariamente
nell’ignoranza di chi legge.
Non sarà pertanto possibile presentare con chiarezza agli altri ciò che non
è chiaro per noi. In particolare il religioso dovrà essere chiaro per quanto
riguarda la propria identità. Egli inoltre dovrà comprendere il termine carisma
alla luce dell’odierna teologia della vita consacrata e avere chiaro il suo
carisma particolare. Purtroppo ciò non avviene sempre.
C’è inoltre bisogno di avere un chiaro concetto del sacerdozio in linea col
concilio.
Infine, ha sottolineato p. Monks, è necessario
insistere sull’esigenza di integrità e di fedeltà da parte del religioso che si
impegna nel ministero di collaborazione. Bisogna essere uomini di Dio, uomini
di Chiesa, genuini camilliani; soprattutto bisogna
essere se stessi.
Per concludere, p. Monks ha ricordato quanto sia
importante la formazione sia per il laicato sia per il religioso se si vuole
giungere a una collaborazione significativa.