LA SPERANZA PER UN FUTURO POSSIBILE
SCRUTATORI DI NUOVI ORIZZONTI
Realizzare un progetto di vita
innovativo significa pensarsi in modo nuovo per poter pensare il nuovo; ma ciò non
è possibile se si deve fare riferimento a realtà nate nel contesto di quella
cultura secolare in cui ciò che in quel tempo è percepito come “verità” assume
il carattere di immutabilità.
Anche nella nostra vasta area geografica, imprevedibilmente, stiamo
assistendo a una inaspettata vitalità delle forme di vita evangelica delle
quali la vita religiosa ne è un particolare modello. Numerose sono le nuove
fondazioni, che esprimono una incuriosente vitalità, sorte in questi ultimi
decenni, la cui forma aggregativa è originale rispetto alle canoniche. Il fine
primario – che è quello di rendere attuale la presenza di Cristo e la sua
missione sanante – è comune a tutte queste e alle forme di antica fondazione.
Quanto sta avvenendo ci induce a essere attenti scrutatori di orizzonti ove
convergono le linee dei tramonti e delle aurore.
SPERANZA
E RICOLLOCAMENTI RICHIESTI
Si tratta di rispondere alla domanda: che cosa debbo fare per avere la
vita?” consapevoli che le risposte del Signore sono sempre all’interno di un
dato contesto culturale e storico.
In alcuni interventi dello scorso anno, su questa rivista, mi ero
soffermato nel dire che la speranza era riposta nella capacità di riacculturare
la spiritualità, che non significa soltanto diventare più spirituali ma avere
la capacità di marcarla con le attuali coordinate di vita e di ridirla con il
linguaggio di coloro a cui ci si rivolge, non essendo più sufficiente quello
delle nostre origini. Secondo: che per poter essere fermento la vita religiosa
deve cercare spazi nel dinamismo della vita ecclesiale, impastandosi con le
altre vocazioni. E ancora: rispondere alla istanza di fraternità, vale a dire
alla esigenza di passare dall’essere “confratelli” all’essere “fratelli” per
una esperienza spirituale vissuta insieme, in funzione del divenire “creatura
nuova” nell’oggi, non estranea alla maturazione delle esigenze che vanno meglio
a esprimere autenticamente la persona.
Ora, nella attuale riflessione enucleo altri “semi” in cui è riposta la
speranza.
Nel passato, per i Religiosi/e l’identità era data per lo più da ciò che
facevano, ora – e questo è stato detto più volte e da più parti – le opere
apportano pochissimo all’identità: «Questo fatto può essere letto come un segno
provvidenziale che invita a recuperare il proprio compito essenziale di
lievito, di fermento».1
NUOVE TRACCE
DI SENSO
È tempo dunque di passare dalle opere alle sfide e di accogliere in
particolare le povertà a cui nessuno risponde. Dire questo non significa
preclusione a ogni tipo di opera ma a quelle che non sono trasparentemente
strumento in funzione delle sfide. Come andare avanti non frenati da verità
virtuali (non nel senso teologico) espresse con parole senza senso per
l’attuale sensibilità culturale? La chiave è nella capacità di inventiva o
creatività, che significa capacità di produrre nuove rappresentazioni dei
problemi e delle soluzioni; di rifigurare a ogni appello i propri sistemi
organizzativi e mentali ricollocando dinamicamente l’identità a misura del
bisogno per poter porre il Vangelo nell’oggi della storia. Creatività è la
capacità di proporsi dei progetti che siano passibili di continuo adattamento
ai bisogni sempre nuovi. Tutto ciò può essere prodotto da quei gruppi capaci di
pensare mondi possibili, spinti dal sogno, vale a dire da un valore intravisto
e sostenuto da una positiva emozione e dalla voglia di “esserci”, perché nessun
valore entra nella vita della persona se questa non ha partecipato a
costruirlo. Il futuro è «in piccoli gruppi di giardinieri che si sostituiscano
ai notai»,2 e in “spazi” che consentano di liberarsi da eccessive pressioni di
conformità per poter essere grembo fertile di significati nuovi in riferimento
a un valore, in grado di inventare nuove forme di vita individuale e
collettiva.
BISOGNA
DE-ISTITUZIONALIZZARE
Ogni fondatore, al gruppo di iniziatori ha dato il nome di “famiglia”
religiosa; con il passare di pochi decenni lo stesso gruppo si è ritrovato
“istituto” religioso, non solo per esigenze di diritto canonico ma per un
processo naturale che si chiama istituzionalizzazione. Il carisma nasce da una
inedita e libera azione dello Spirito, l’istituzione viene in aiuto con la sua
funzione di volano che è quella di immagazzinare la forza dinamica delle
origini per riproporla via via nel cammino della sua storia. Il momento però
diventa critico quando finisce un’epoca, per il fatto che il volano
(istituzione) non è capace di disimparare per apprendere. Quando sopravvengono
nuovi contesti l’originalità di ispirazione deve essere tutta incentivata dai
nuovi orizzonti sociali ecclesiologici e antropologici e non solo dai “saperi”
immagazzinati dal “volano”. Certamente i termini carisma e istituzione non sono
in contrapposizione, ma è altrettanto certo che il loro rapporto rimane sempre
dialettico e che in ogni caso l’istituzione è in funzione del carisma e non
viceversa. La storia di san Francesco è quasi il paradigma di questa
conflittualità permanente tra carisma e istituzione, tra VR come segno
profetico e VR come modello istituzionale.3 Non è certo possibile prescindere
dalla dimensione istituzionale essendo questa un rilevante patrimonio di
memoria e intelligenza ma è altrettanto vero che un carisma nato in
controtendenza, estemporaneo alle norme sociali ed ecclesiali finisce
dall’essere da queste “normalizzato”. Per poter abitare il futuro la vita
religiosa dovrà ricomporre l’equilibrio ora sbilanciato sulle norme. G. Riglet,
un sacerdote belga vicerettore dell’università di Lovanio, sintetizza bene
questo punto: i nostri contemporanei vogliono senso, sì, ma rifiutano
l’esorbitante pensiero normativo. E la Chiesa fa fatica a produrre senso senza
produrre norme. Ecco la straordinaria conversione che è chiesta alla vita
religiosa. E capisco che sia un cambiamento vertiginoso: proporre senso senza
rinchiuderlo. Un senso che dia respiro”.4
Che dire di varie nuove comunità monastiche che nella riplasmazione di
nuovi modelli hanno scelto di non far parte dell’ Ordo monasticus per dar vita
a un monachesimo nella Chiesa locale? In effetti realizzare un progetto di vita
innovativo significa innanzitutto pensarsi in modo nuovo per poter pensare il
nuovo, il che non è possibile se si deve fare riferimento a realtà nate in
contesto di quella secolare cultura secondo la quale ciò che in quel tempo è
percepito come “verità” assume il carattere di immutabilità.
CARISMA CONDIVISO
CON LE ALTRE VOCAZIONI
Questo discorso – è bene riproporlo – è presente nello strumento di lavoro
del Congresso 2004 dove si dice che «si sta definendo un nuovo modello di vita
consacrata attorno a nuove priorità, nuove forme organizzative e di
collaborazione aperta e flessibile con tutti gli uomini e le donne di buona
volontà».5 Nel processo rifondativo il punto di partenza dei religiosi è
l’accoglienza di alleanze come una questione radicale dell’esistenza
consapevoli che un sistema chiuso va verso l’entropia e l’asfissia: laici e
religiosi sono due polmoni che favoriscono la dinamica respiratoria.6 La
maggior parte delle nuove forme di vita evangelica – come già ho avuto modo di
dire in un altro articolo – adotta, in funzione del carisma, la forma di realtà
concentriche che consiste nel diverso livello di partecipazione e di
appartenenza. Al centro c’è un cerchio più piccolo che sceglie a tempo pieno la
forma della consacrazione, stabilendo vincoli giuridici stretti con
l’istituzione. Radialmente poi ci sono cerchi sempre più ampi, formati da
quelli che si riconoscono nell’ispirazione carismatica in forme di impegno
diversificato. Nella strategia delle realtà concentriche dunque sono possibili
livelli di maggiore o minore prossimità integranti l’unico carisma in modo
differenziato, dinamico e progressivo.7 Da tale forma organizzativa è derivata,
anche, la fortuna dei movimenti. Per parte dei laici e dei religiosi
partecipare a uno stesso carisma significa, assumendone la globalità,
condividerlo in qualche suo aspetto, come parte di un tutto con il quale
confrontarsi, integrarsi, sistematizzarsi, senza “confondersi”, a partire dal
presupposto che come religiosi «non solo abbiamo qualcosa da dare ma anche
molto da ricevere», specialmente quello di riesprimere in situazione di
secolarità il nostro bagaglio spirituale a partire dalla consapevolezza che le
risposte di ieri non bastano più.
Segno di un carisma che ha fatto la scelta della integrazione è dato dal
sentire che ognuno cresce nell’esercizio dello scambio di doni che sono quelli
della laicità e della consacrazione. Allora per carisma condiviso si intende
una realtà nuova «in cui si dilata e si arricchisce il carisma spirituale e
apostolico del fondatore». Questa è grande novità: la ricchezza di un carisma
che si manifesta in pienezza quando si concretizza nei diversi modi di vivere
la vita cristiana e fa maturare una comunione di vocazioni. Quanto espresso
conduce a dire che il carisma nelle sue due dimensioni, spirituale e
apostolica, per poter essere dono alla Chiesa nella pienezza delle sue
potenzialità, non soltanto concede spazi ma necessita di complementarietà.
CARISMI D’ISTITUTO
IN COMUNIONE TRA LORO
L’immagine comunionale della Chiesa è centrale nella teologia del Vaticano
II. È interessante quanto fa notare al riguardo Von Balthasar secondo il quale
il termine communio, dal punto di vista filologico può derivare da cum-munio
che significa difendersi insieme, fare corporazione, oppure, altra lettura, da
cum-munus, che vuol dire mettere insieme i propri doni, due significati che non
si oppongono. S. Paolo si esprimerebbe così: “a ciascuno è data una
manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12,4-5).
C’è come una tensione nella Chiesa, cioè un movimento incessante: dalla
diversità all’unità, dall’unita alla diversità. La diversità senza l’unità
porta alla frantumazione, al caos; l’unità senza la diversità porta alla
massificazione, quindi all’inerzia, alla paralisi nella Chiesa. L’esortazione
apostolica Vita fraterna in comunità parla di indebolimento della fraternità
nella Chiesa originata dalla “scarsa qualità della fondamentale comunicazione
dei beni spirituali. Ogni carisma è rilevante, perché dono della Trinità alla
Chiesa per il mondo, tanto che non è possibile immaginare di esaurirlo
all’interno della propria vocazione. I carismi, per manifestarsi pienamente,
devono far leva sulla condivisione perché sono doni che non appartengono
esclusivamente a chi li detiene. Condivisione di carismi significa scambio
reciproco di un qualcosa che non si possiede come proprietà privata ma come
dono da ricevere e donare.
Allora è tempo di un ripensamento creativo circa le relazioni tra carismi,
perché la Chiesa non può essere «un supermarket di valori (carismi) ma un’unica
grande comunione, a somiglianza trinitaria». Questa comunione non significa
sfondersi ma prendere coscienza della propria identità per aprirsi
all’alterità, diversamente ci si consegna a un inevitabile destino di
estraneità e diversità, con la conseguenza che un dato carisma diventa
insignificante.
In conclusione si può dire: la vita religiosa non è soltanto in funzione
dell’annuncio dell’aldilà atteso, ma è costituita perché l’aldilà sia presente
nella storia con sforzi di prefigurazione, di profezia reale, di storie
vissute, in funzione dell’avere più vita. Per questo uno sceglie di
consacrarsi: per avere la vita in abbondanza, certamente secondo logiche
evangeliche, che però oggi si calano su un concetto di persona evoluto secondo
alcune istanze antropologiche in precedenza misconosciute. Da questi
presupposti «sorgono da ogni parte nuove proposte – particolarmente dal laicato
– che per la loro spontaneità e il loro entusiasmo di gioventù, tracciano un
sentiero dinamico e stimolante».8 La maggior parte degli iniziatori sono laici
e come tali portano all’interno della consacrazione la sensibilità ai valori
terreni, specie la gioia dello stare assieme, l’amicizia.
Per quanto riguarda la VR quali gli ostacoli alla speranza di futuro? Il
Congresso 2004 avvisava del pericolo in atto di investire il più delle forze
sul possibile del “già” piuttosto che sul possibile del “non ancora”. È
l’istinto di autoconservazione, di autodifesa di fronte all’incertezza del
futuro9 che porta a cogliere la propria identità prevalentemente dal tempo
precedente: ma questo è come volere che un giovane in fase evolutiva leghi la
propria identità nel passato. La preoccupazione del “già” induce a operazioni
di ordinaria manutenzione, deboli in tempi in cui non sono neppure sufficienti
i lavori di straordinaria manutenzione ma necessita mettere mano alle
fondamenta della “casa”.
Le prospettive di futuro chiamano in causa il tipo di formazione dei
consacrati. Perché tanti insegnamenti non generano apprendimento? M. Guzzi
risponde così alla domanda che lui stesso si pone: «perché l’apprendimento è
inteso come trasmissione di informazioni e non come ristrutturazione di
significati e muove da una concezione individuale e non relazionale, nega
dimensioni come le emozioni, il tempo, l’ambiente… Ciò avviene perché la
maggior parte di coloro che insegnano, lo fanno in base a quello che hanno
imparato quando sono stati allievi. Lo stile è quello indicativo di nozioni
certe, lineari, e aconflittuali.
Al centro della formazione non c’è la creatività ma la ripetitività, mentre
è un processo continuo di definizione e ristrutturazione del significato”.10 Da
quanto detto si può presumere che usciranno dall’attuale situazione critica
quelle forme di VR che sapranno cogliere il momento presente come parola di Dio
iscritta nella odierna storia di salvezza e con quella sollecitudine che solo
la novità può alimentare, senza cedere alla tentazione di racchiuderla negli
schemi cristallizzati di un sistema culturale che ci portiamo dietro perché
“fedeli” a logiche di quel tempo che non c’è più.
1 Ripartire da Cristo (n. 13).
2 M. Guzzi.
3 P. Arnold.
4 M. Guzzi in Servitium, Bergamo 2000, pag. 169.
5 Instrumentum laboris, Congress 2004 n. 73.
6 P. Generale Fatebenefratelli.
7 J.B. Libanio.
8 ‑S.P. Arnold, Dove ci porta il Signore – Paoline p. 111.
9 F. Ciardi.
10 M. Guzzi.