DINAMICHE INTERPERSONALI DI UNA COMUNITÀ
AUTOSTIMA E DEDIZIONE RECIPROCA
Una sana autostima favorisce
un atteggiamento fiducioso e un comportamento costruttivo, è un incentivo che
dà intraprendenza e tenacia, senza le quali è difficile prendere ogni
iniziativa.
Imparare a stimarsi e ad apprezzarsi è uno dei compiti importanti che le
persone hanno nel contesto delle dinamiche interpersonali di una comunità
religiosa. Al numero 43 del documento La vita fraterna in comunità si legge:
«La comunità religiosa è la sede e l’ambiente naturale del processo di crescita
di tutti, ove ognuno diviene corresponsabile della crescita dell’altro»,
attraverso il riconoscimento concreto dei suoi doni e delle sue risorse.
Anche la parola di Dio sollecita a rendere operativi gli ideali di carità e
di amore reciproco: «amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate
nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10). Ciò significa che l’apprezzamento di sé
come persona di valore non può che tradursi nell’apprezzamento e nel
riconoscimento della ricchezza di cui anche l’altro è portatore: «Abbiate gli
stessi sentimenti e un medesimo amore. Siate cordiali e unanimi. Con grande
umiltà stimate gli altri migliori di voi. Badate agli interessi degli altri e
non soltanto ai vostri. I vostri rapporti reciproci siano fondati sul fatto che
siete uniti a Cristo Gesù» (Fil 2,2-5).
Ma cosa significa apprezzamento e stima reciproca? O meglio, come
riconoscere e facilitare la stima reciproca nelle dinamiche relazionali di una
comunità religiosa?
SCUOLA DI FRATERNITÀ
E DI STIMA RECIPROCA
«La comunità diventa una Schola amoris, per giovani e adulti. Una scuola
ove si impara ad amare Dio, ad amare i fratelli e le sorelle con cui si vive,
ad amare l’umanità bisognosa della misericordia di Dio e della solidarietà
fraterna».1 Per imparare ad amarsi e stimarsi reciprocamente occorre che ognuno
sia capace di comprendere la preziosità dei propri doni. Nessuno può dare ciò
che non possiede o ciò che non riconosce dentro di sé. Quando si assumono dei
modi di essere che servono a mascherare la propria realtà psichica, si corre il
rischio di cercare altrove ciò che si vorrebbe avere o che non si riesce a
individuare dentro di sé, anche a costo di pretenderlo o di appropriarsene
dagli altri. È il caso, per esempio, del confratello che vorrebbe essere più
disponibile e più paziente con i confratelli della comunità, ma non ci riesce
perché basta un nulla per farlo scattare, al punto che ogni volta giunge alla
stessa conclusione: «Gli altri sono troppo impazienti e irragionevoli per
potermi capire, per cui è meglio non parlare con loro». Così non si accorge che
la pazienza che cerca negli altri perché lo capiscano potrebbe coniugarsi con
la sua prudenza a darsi del tempo per la reciproca comprensione, prudenza che
però lui maschera con i suoi lunghi silenzi, esasperando le sue attese e
presentandole come pretese.
Pertanto, imparare a stimarsi e ad apprezzarsi potrebbe essere uno dei
compiti importanti per riconoscersi come depositari di valori e di risorse che
concorrono al rafforzamento e al consolidamento di una sana stima di sé. Non
solo, ma in un contesto di relazioni fraterne questo lavoro può essere favorito
dalla necessità di essere considerati e rispettati come persone, poiché
«ciascuno ha bisogno di essere riconosciuto e di riconoscere l’altro come
essere importante perché portatore di doni e di ricchezze da scoprire».2
AUTOSTIMA
E APPREZZAMENTO RECIPROCO
L’apporto delle dinamiche comunitarie all’apprezzamento di tutti ci porta a
considerare l’autostima non come qualcosa di predefinito ma come un processo
evolutivo in continua formazione, con le tante sfaccettature che concorrono a
far maturare l’apprezzamento che abbiamo di noi stessi. Per questo sono
importanti e necessari i diversi livelli di autostima che la persona raggiunge,
perché con essi interagisce e procede nel suo cammino di conversione e di
crescita: «La comunità religiosa, per il fatto di essere una Schola amoris che
aiuta a crescere nell’amore verso Dio e i fratelli, diventa anche luogo di
crescita umana»,3 quindi un vero laboratorio di attenzione e di rispetto
reciproco dove ognuno può assumersi la responsabilità di accompagnare e
facilitare la maturazione di sé e degli altri.
In questa scuola di riconoscimento reciproco, occorre passare da una
concezione ideale del proprio “Io” a un’autostima che è reale perché
fattivamente vissuta e trasformata attraverso le diverse dimensioni personali e
interpersonali che concorrono nel processo di maturazione di sé. Una sana
autostima non è quindi il semplice risultato di un’alta o bassa considerazione
che l’individuo ha di se stesso ma è piuttosto il frutto dell’integrazione dei
diversi livelli di sviluppo e di adattamento che la persona raggiunge.
Per esempio, un livello alto di autostima non sempre è meglio di un livello
basso, se questa autostima è estremamente irrealistica, o se è inautentica, o
se è molto instabile. Oppure, un’alta autostima troppo irrealistica espone al
rischio di imbarcarsi in imprese stressanti o di ostinarsi in attività
fallimentari: in entrambi i casi, espone la persona a comportamenti autolesivi
e disfunzionali. È il caso del confratello che pensa di salvare il mondo con le
sue attività pastorali, ma poi si accorge di non essere riconosciuto e
apprezzato all’interno della sua comunità, ed ecco che riversa le sue delusioni
sull’alcol o su comportamenti irresponsabili.
Dal canto suo, un’alta autostima inautentica o difensiva è in realtà una
bassa autostima mascherata, ed espone a disturbi emotivi (ansia, depressione),
quando le convinzioni o i sospetti inconfessati sul proprio scarso valore
riescono in un modo o nell’altro a far trapelare e far sentire il loro peso molesto:
è il caso di chi in comunità vive costantemente come se fosse sotto esame o
sotto un’incombente minaccia e cerca al tempo stesso di ignorarla, fingendosi
sicuro e corazzato, mettendo a dura prova l’equilibrio emotivo per sostenere
un’immagine falsa di sè.
Infine, un’alta autostima molto instabile, per quanto non celi
necessariamente una bassa autostima di fondo, è comunque il segno di un’estrema
vulnerabilità e dipendenza dal favore delle circostanze, ed espone a forti
oscillazioni di umore, al bisogno costante di conferme e alla loro ricerca
affannosa attraverso specifici successi o reclamando l’approvazione e il
riconoscimento sociale: si tratta di quanti portano avanti una vita molto
faticosa, costellata di prove e delusioni e, anche in questo caso, di ansie e
depressioni, spesso accompagnate da sentimenti ostili verso chi all’interno
della comunità non dà l’approvazione e il riconoscimento desiderati.
Questa pluralità di livelli con cui possiamo considerare l’autostima ci
porta a contestare l’idea che per star bene in comunità occorre possedere degli
standard ottimali di apprezzamento di sé, perché questa concezione rischia di
creare delle attese irrealistiche su se stessi e sugli altri. D’altro canto,
riconoscere l’importanza della propria autostima e individuarne le componenti
personali ci porta a considerare l’aspetto dinamico del processo formativo e
maturativo del proprio sé individuale nel contesto della reciprocità
comunitaria, poiché è nell’interazione con gli altri che ciascuno può riconoscersi
e accettarsi come persona di valore, e può aprirsi a una dimensione più
profonda e progettuale del vissuto relazionale.
INTEGRAZIONE
DELLE DIFFERENZE
Del resto, sappiamo come la vita fraterna si fonda proprio su questa
capacità di integrare le differenze apprezzandole nell’ottica del progetto
comune. Tali differenze sono proprio le risultanti dei diversi livelli di
crescita e di individuazione di ciascuno, che concorrono al lavoro di
conversione reciproca.4 «Uno degli obiettivi particolarmente sentito oggi è
quello di integrare persone segnate da diversa formazione e da diverse visioni
apostoliche, in una stessa vita comunitaria ove le differenze non siano tanto
occasioni di contrasto quanto momenti di reciproco arricchimento».5
La chiarezza del procedere comune verso obiettivi condivisi porta a
integrare anche il modo diverso che ciascuno ha di stimare se stesso. Di qui
l’importanza di conoscersi in modo reale e autentico, per raggiungere una
“sinfonia” comunitaria e apostolica centrata sulla realtà dei doni e dei limiti
di ognuno, resi però preziosi dalla forza e dalla presenza di Gesù Cristo. È
chiaro che un’autostima alta, sufficientemente realistica (cioè aderente ai
fatti), autentica (cioè, composta da autovalutazioni che la persona crede corrispondenti
a verità), stabile e globale è segno di benessere psicologico ben più di
un’autostima che si collochi all’altro estremo di ciascun continuum (bassa,
irrealistica, inautentica, ecc.). Ma a questa autostima contribuiscono il
continuo impegno personale e comunitario a riconoscersi e apprezzarsi
reciprocamente lungo il cammino verso gli obiettivi comuni.
Insomma, valutare adeguatamente la propria autostima nel contesto della
vita comune è importante perché dà spazio a ognuno di essere quello che è in quanto
creatura di Dio, e di procedere con sollecitudine verso il “non ancora” a cui
ognuno è chiamato.
AUTOSTIMA E PROMOZIONE
DELLE RISORSE PRESENTI
In modo esplicito o implicito, diretto o indiretto, noi siamo spesso
impegnati a valutarci, sia di fronte a noi stessi che di fronte agli altri,
rispetto a canoni ideali o nel confronto con chi esercita il servizio
dell’autorità, davanti a un compito preciso o davanti al compito della vita,
guardando indietro al passato o rispetto ai nostri progetti futuri. E tanta
parte delle nostre difficoltà relazionali hanno a che fare con la nostra
autostima. Basta prendere in rassegna le nostre emozioni negative per
rendercene conto.
Valutarsi è quindi importante perché, assolve a delle funzioni utili. È
utile valutarsi correttamente perché ci permette di conoscere e promuovere i
nostri punti di forza e la loro entità, aiutandoci ad agire in modo efficiente,
efficace, consapevole, senza sprechi di risorse e aumentando le probabilità di
correggerci e di promuoverci fraternamente. È utile anche perché ci offre
opportunità nuove per stimarci in modo coerente e più stabile; questo bisogno
autovalutativo è radicato nel bisogno generale di controllare e prevedere la
realtà: le autovalutazioni contraddittorie o troppo mutevoli, infatti, non
permettono di capire chi siamo veramente, cioè quali sono le nostre reali doti,
possibilità e carenze, né che cosa possiamo aspettarci da noi stessi. Un tale
stato di incertezza e sospensione del giudizio ostacola anch’esso un
comportamento adattivo ed è fonte di grande disagio.
Infine, è utile valutarsi positivamente: quante volte nelle dinamiche di
gruppo delle comunità religiose si sente dire: «Abbiamo bisogno di imparare ad
apprezzarci positivamente con le nostre reali risorse». Questo vuol dire che in
comunità c’è bisogno di uno spazio reale di riconoscimenti reciproci, che porta
necessariamente a constatare la presenza dei tanti doni che Dio mette a nostra
disposizione. Ce lo ricorda bene il documento Ripartire da Cristo, quando sottolinea
la centralità della relazione secondo il modello trinitario: «Spiritualità
della comunione è capacità di vedere innanzi tutto ciò che di positivo c’è
nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio; è saper fare
spazio al fratello portando insieme gli uni i pesi degli altri. Senza questo
cammino spirituale, a poco servirebbero gli strumenti esteriori della
comunione».6
In questa ottica di disponibilità e apertura all’altro, una sana autostima
favorisce un atteggiamento fiducioso e un comportamento costruttivo, è un
incentivo, una motivazionale che dà intraprendenza e tenacia, senza le quali è
difficile prendere ogni iniziativa, e le circostanze e le richieste della vita
si tingono immediatamente di connotazioni preoccupanti: si tratti dell’oscuro
senso di minaccia di fronte al rischio di non riuscire a rispondere
adeguatamente a queste richieste, oppure del desolante senso di sconfitta e di
disperazione di fronte alla certezza del fallimento.
SOSTEGNO
DELLA STIMA RECIPROCA
Le valutazioni che riceviamo dagli altri e quelle che riceviamo da noi
stessi non sempre coincidono. Gli altri, le loro valutazioni su di noi e le
loro conseguenti disposizioni ad accettarci o rifiutarci svolgono un ruolo
molto importante nella formazione e nel mantenimento della nostra autostima. Il
peso delle valutazioni altrui ci accompagna e ci condiziona, in misura
variabile, nella nostra vita comunitaria. Come gli altri ci vedono, ci
giudicano, ci apprezzano è una sfera importante del nostro personale concetto
di noi stessi e della nostra autostima. Sappiamo che l’autostima ha diverse
sfere o domini di competenza e che in ogni dominio le reazioni degli altri
verso di noi rappresentano comunque delle verifiche importanti.
La cosa interessante è che mentre la nostra autostima possiamo verificarla
controllando la corrispondenza delle nostre azioni e inclinazioni con dei
valori o delle norme acquisite o maturate, le valutazioni degli altri su noi
sono irrinunciabili e vincolanti: come fare a stabilire se e quanto siamo simpatici,
pazienti, amabili o rispettati? Solo gli altri e le loro reazioni ce lo possono
far capire, perché questa parte della nostra autostima ha proprio a che fare
con le valutazioni che suscitiamo in loro.
Questo ci porta a rilevare l’importanza del riconoscimento reciproco come
dono di amore e come progetto di salvezza che viene realizzato all’interno
della comunità religiosa. La scoperta delle differenze diventa allora l’ABC di
ogni sforzo comunitario. «La comunità religiosa diventa allora il luogo dove si
impara quotidianamente ad assumere quella mentalità rinnovata che permette di
vivere la comunione fraterna attraverso la ricchezza dei diversi doni e, nello
stesso tempo, sospinge questi doni a convergere verso la fraternità e verso la
corresponsabilità nel progetto apostolico».7
La premessa fondamentale per far convergere tali “preziose diversità” verso
l’unica missione di fraternità è di riscoprirle come doni importanti che
servono a costruire il comune progetto. Un’autostima sostenuta da tale riconoscimento
reciproco aiuta e facilita il dono libero e gratuito di sé agli altri e alla
comune piattaforma comunitaria.
Soltanto in questo modo potremo riscoprire come le differenze non sono una
minaccia alla vita comune, ma diventano piuttosto l’opportunità di una
permanente integrazione delle diversità di ognuno, perché si possa veramente
arrivare al «quotidiano paziente passaggio dall’”io” al “noi”, dal mio impegno
all’impegno affidato alla comunità, dalla ricerca delle “mie cose” alla ricerca
delle “cose di Cristo”».8
Giuseppe Crea, MCCJ
1 Vita fraterna in comunità 25.
2 ‑Crea G. (2005), Gli altri e la formazione di sé, Dehoniane,
Bologna, p. 144.
3 Vita fraterna in comunità 35.
4 Vita fraterna in comunità 42.
5 Vita fraterna in comunità 43.
6 Ripartire da Cristo 29.
7 Vita fraterna in comunità 39.
8 Vita fraterna in comunità 39.