ASPETTI PSICOLOGICI NELLA CONFESSIONE
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ATTEGGIAMENTI DA EVITARE
Non ci si accosta al sacramento solo perché si ha una vaga e crescente
sensazione di non essere a posto..., ma mossi dalla volontà di celebrare la misericordia
di Dio, e dal bisogno di mantenere in noi quell’atteggiamento di conversione
che ci ha insegnato Gesù e fare la verità in noi stessi.
Il progresso spirituale che cerchiamo
di realizzare con l’aiuto del sacramento della confessione può essere più o
meno ostacolato da alcuni atteggiamenti negativi. Chiarisco con qualche
esempio.
La paura di ricadere inevitabilmente in
un peccato che da tempo si continua a confessare e dal quale non si riesce a
liberarsi non aiuta a superarlo e spesso è proprio essa il nostro peggior
nemico. Alla paura, poi, si accompagna non raramente la rabbia per le continue
ricadute, e anche questo sentimento diventa un forte ostacolo al progresso
spirituale. Ricorrere alla preghiera è certamente sempre utile, ma se questa si
fissa su unico punto, su un unico desiderio non soddisfatto, su un unico
obiettivo che noi ci siamo dati allora questo tipo di preghiera non ci aiuta.
Bonhoeffer ricorda che Dio non ci ha promesso di realizzare le nostre
aspirazioni, ma di realizzare i suoi progetti. È come guidare di notte: se si
guarda fisso nei fari dell’auto che viene avanti per paura di andare a
sbatterci violentemente contro, è molto probabile che succeda proprio quello
che si teme. È un po’ come imparare a sciare.1 Si può senz’altro cadere: questo
fa parte del normale processo di apprendimento. Naturalmente nessuno si propone
di cadere, anzi, questo deve essere evitato se possibile, ma si sa: io “posso”
cadere, se proprio mi è impossibile evitarlo. Minore è la paura di cadere,
minore la probabilità che ciò accada. Se, nonostante tutto, un bravo sciatore
non può far a meno di cadere, non ci fa troppo caso: non rimane seduto sulla
neve prendendosela con se stesso e abbandonandosi all’avvilimento. Al
contrario, si rialza, si scuote di dosso la neve e riprende la sua strada. La
prossima volta che affronterà la discesa cercherà di farlo senza cadere. Se,
però, lo sciatore si butta giù di proposito, spinto dalla rabbia e
dall’avvilimento per essere caduto in precedenza, come per dire a se stesso che
non è capace di sciare e che non imparerà mai, allora diventa colpevole perché
si impedisce di migliorare.
OSSESSIONI
E VERGOGNA
Un altro atteggiamento negativo che
impedisce il progresso spirituale può essere il ritornare in maniera ossessiva
su certe mancanze del passato che non riusciamo a dimenticare, o non riusciamo
a perdonarci. Si è cercato, esortati magari anche dal confessore che ci
invitava a non pensarci più, di seppellire nell’oblìo (“rimuovere”, per dirla
con linguaggio freudiano) determinate esperienze negative, “peccati” che
vorremmo non aver mai commesso..., ma inutilmente: di tanto in tanto riaffiora
il ricordo penoso... Se questa situazione psicologica permane, è opportuno
prenderla in mano e analizzarla con attenzione. Si possono, in definitiva,
presentare due casi, che un confessore saggio può aiutare a meglio comprendere.
Ci si può trovare di fronte a una personalità tendenzialmente ossessiva e
scrupolosa – e in questo caso occorre lavorare soprattutto sul piano
psicologico, ricorrendo eventualmente anche a un aiuto specialistico nelle
situazioni più gravi. Altre volte, invece, può essere opportuno riparlare – per
un definitivo chiarimento! – in sede di confessione di quel peccato o di quella
esperienza negativa che continuano a ripresentarsi alla memoria e alla
coscienza del soggetto: o perché la persona è obiettivamente convinta di non
aver confessato apertamente e validamente il suo peccato e ora lo vuol fare per
una sua tranquillità di coscienza; o perché a suo tempo il confessore si era
preoccupato che la persona non indugiasse troppo nel parlare di quel peccato,
senza permetterle di condividere con lui l’intenso impatto emotivo e lo
scombussolamento interiore che quella particolare esperienza negativa le aveva
creato; o perché è necessario illuminare la persona sul significato autentico
del perdono divino e aiutarla a percepirlo e a viverlo come un perdono totale e
definitivo. Una cosa in ogni caso è assolutamente da evitare: che la persona
rimanga fissata e impigliata nel ricordo ossessivo di un’esperienza negativa
passata, in quanto ciò rallenta o compromette seriamente il suo progresso
spirituale.
Infine, merita un accenno il sentimento
di vergogna, che può condizionare, anche fortemente, la persona che si accosta
alla confessione. Parlando di vergogna, il pensiero corre facilmente a peccati
ti tipo sessuale e ciò per diversi motivi – quanto fondati, è tutto da
verificare. Ecco, dunque, qualche sobria considerazione al riguardo.
Il progressivo superamento dei
sentimenti di vergogna richiede, a volte, che si riveda e si metta in
discussione l’educazione che si è ricevuta (in casa e in convento), con i suoi
limiti e le sue possibili storture. Ciò permette di districare il presente dal
passato ed evitare tormenti (vergogne) inutili, imparando a distinguere in modo
corretto e sicuro ciò che rappresenta una situazione di peccato rispetto a ciò
che non lo è.
Spesso il superamento dei sentimenti di
vergogna e la possibilità di “perdonarci” certi “peccati” richiedono al
soggetto di lavorare, con pazienza e perseveranza, sulla propria immagine di
sé. L’amore e l’accettazione di sé non sono innati: vanno appresi e con il
passare degli anni la persona può fare molto per raggiungere questo obiettivo.
Permanenti e/o ricorrenti sentimenti di frustrazione e di solitudine, forme
varie di depressione, scoraggiamento e delusione sono molto spesso nello stesso
tempo causa ed effetto di una mancata accettazione di sé: e tutto ciò può
sfociare anche nel ripetersi di certi “peccati” sessuali. Si può uscire dal
circolo vizioso se si è disposti a lavorare con pazienza per migliorare e
rendere più realistica l’immagine che si ha di se stessi.
CONFESSIONE
E BENESSERE PSICOLOGICO
Può capitare, infine, che la persona si
chieda ansiosamente, sempre spinta dalla vergogna, quali parole usare per dire
al confessore il suo ‘peccato’ e quanto debba spiegarlo e descriverlo. Non è
possibile offrire qui una regola generale; di norma, comunque, è opportuno
richiamare la persona a prestare attenzione soprattutto a quei sentimenti e
atteggiamenti negativi sopra accennati, per far fronte ai quali a volte le può
capitare di cadere in determinati “peccati” sessuali, i quali in realtà hanno
molto spesso il significato di una compensazione psicologica (come potrebbe avvenire
nel caso di chi ricorre all’alcol, o non sa resistere al bisogno ossessivo di
mangiare). Stando così le cose, anche dire semplicemente: «Mi capita, a volte,
di ricercare nel piacere sessuale la soluzione alle mie difficoltà personali»
può essere un modo corretto e valido di aprire la propria coscienza al
confessore.
Collocandoci sempre in questa
prospettiva, è naturale pensare che, da parte del confessore, non avrebbe senso
e sarebbe anzi fuorviante e dannoso insistere con domande intriganti per
ottenere maggiori informazioni circa i “peccati” sessuali confessati dal
penitente. Non si tratta, come è facile vedere, di rendere meno penosa al
penitente l’esperienza della confessione, quanto piuttosto di aiutarlo a
mettersi nella verità.
La confessione è un momento in cui ci
si incontra con se stessi nella verità, si rivolge lo sguardo nella profondità
del proprio io; è naturale, quindi, che possa avere particolari risvolti anche
sul piano emotivo. Può essere attesa con desiderio e vissuta serenamente, ma può
anche essere un’esperienza alquanto dura da affrontare sul piano emotivo e
vissuta con ansia e sentimenti di vergogna.
Qualora una persona sperimenti forti
resistenze ad accostarsi alla confessione, il primo passo da compiere è
chiedersi che cosa veramente lei sente come ostacolo, quindi da dove nasce
realmente la sua difficoltà, e agire di conseguenza. È pure utile ricordare che
la confessione non può avere lo stesso significato del colloquio psicologico:
quest’ultimo ha finalità e modalità diverse rispetto al dialogo che si svolge
nell’ambito della confessione, per cui la persona che avesse bisogno di
affrontare particolari difficoltà di tipo psicologico è bene che cerchi
interlocutori diversi rispetto al confessore e momenti diversi per affrontarli.
Infine è da sottolineare che, anche se
può essere facile che dopo la confessione si sperimenti un senso di sollievo e
benessere interiore, sarebbe pericoloso e fuorviante valutare l’efficacia e il
valore della confessione basandosi unicamente sull’impatto emotivo che essa
determina in noi. Non ci si accosta al sacramento solo perché “ormai è passato
tanto tempo” e si ha una vaga e crescente sensazione di non essere a posto...,
ma mossi dalla volontà di celebrare la misericordia onnipotente di Dio, come
pure dal bisogno di mantenere in noi quell’atteggiamento di conversione che ci
ha insegnato Gesù e fare la verità in noi stessi.
L’IMPEGNO CHE NASCE
DALLA CONFESSIONE
Anche per la confessione, come per
tanti altri aspetti della nostra vita, può subentrare un senso di routine e si
può essere tentati di lasciarla da parte perché ormai “non ci dice più niente”
e abbiamo la sensazione che essa incida ben poco nella nostra vita... Evitiamo
di autoingannarci e diciamo piuttosto apertamente: «non voglio confessarmi»,
senza trincerarsi dietro giustificazioni che non reggono.2 Dobbiamo sapere che
qui è in gioco una cosa molto seria per la nostra salvezza. Giovanni XXIII ne
era ben consapevole e fa questa annotazione: «Durante tutta la mia vita fui
sempre fedele alla mia confessione settimanale. Più volte in vita rinnovai la
confessione generale... La santa confessione ben preparata, ripetuta ogni
settimana, il venerdì o il sabato, resta sempre una base solida per il cammino
della santificazione; e rimane visione pacificatrice e incoraggiante alla
abitudine di tenersi preparato a ben morire in ogni ora e in ogni momento della
giornata».3
Quando ci alziamo dal confessionale ci
proponiamo di “essere più buoni”. Che cosa significa? Val la pena soffermarci
un momento su questo interrogativo, perché si può correre il pericolo di
pensare che l’efficacia della confessione sia legata anzitutto allo sforzo
personale, e ciò può portare a stati di ansia o a facili sensi di colpa.
Naturalmente è fuori discussione che ciascuno di noi è chiamato a un impegno
continuo di conversione, a un costante cammino di ascesi, ma se si vuole che
ciò sia vissuto nella pace e non diventi fonte di inutili tormenti è necessario
che sia vissuto nella verità. E qui si possono richiamare le sapienti osservazioni
di R. Guardini: «Interroghiamo lui, il Signore, e il Vangelo, che parla di lui
e della sua verità, sul modo in cui nella sua predicazione si presenta l’
“essere buono”, la bontà dell’uomo... La bontà che Cristo intende è
partecipazione della bontà del Padre (“Nessuno è buono, se non uno solo, Dio:
Lc 18,19)... Deve accadere che la bontà di Dio venga su di noi, in noi, che noi
siamo coinvolti nell’operare di Dio; che le opere benefiche di Dio entrino nel
mondo attraverso di noi... L’irradiazione di Dio nel mondo deve passare
attraverso di me. Io debbo implorare che Dio venga e mi elegga a suo servo o
ancella: dobbiamo pregare, amici miei, che egli accondiscenda ad utilizzarci
come strumento, a far passare la sua corrente d’amore tramite noi nel suo mondo;
attraverso di noi, quale strumento del suo amore; che egli ami la creazione
mediante il nostro cuore. È questo che significa la bontà nel senso di Cristo.
Non la si può carpire mediante alcun sforzo: “Quindi non dipende dalla volontà
né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia” (Rm 9,16)... La
bontà che Cristo intende sta indicibilmente più in profondo dello sforzo
morale».4
Dobbiamo, in definitiva “adorare il
Padre in spirito e verità, perché il Padre cerca tali adoratori”.5
Aldo Basso
1 Prendo questo esempio da W. Trobisch,
Il mio sentimento meraviglioso, Marchirolo (Varese), Edizioni Uomini Nuovi,
1987, p. 47.
2 A volte una possibile giustificazione
è che non si trova un confessore ‘adatto’, che conosca a fondo le problematiche
della vita religiosa, che sappia ascoltare e capire... È fuori dubbio che da
parte del confessore ci deve essere, per quanto possibile, tutto quell’impegno
e quella preparazione che una degna celebrazione del sacramento richiede, ma
ciò che qui si vuole sottolineare è la necessità di essere vigilanti e non
andare alla ricerca di comodi alibi che ci tengano lontano dalla confessione.
Dopo tutto, per una valida celebrazione del sacramento si richiede che il
penitente confessi in tutta sincerità: “padre ho peccato” e il sacerdote gli
dica: “io ti assolvo...”.
3 Il Giornale dell’anima, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, 1964, pp. 309-311.
4 R. Guardini, La Pasqua. Meditazioni,
Brescia, Morcelliana, 1995, pp. 44-48.
5 Gv 4,23.