ASPETTI PSICOLOGICI NELLA CONFESSIONE (2)

ATTEGGIAMENTI DA EVITARE

 

Non ci si accosta al sacramento solo perché si ha una vaga e crescente sensazione di non essere a posto..., ma mossi dalla volontà di celebrare la misericordia di Dio, e dal bisogno di mantenere in noi quell’atteggiamento di conversione che ci ha insegnato Gesù e fare la verità in noi stessi.

 

Il progresso spirituale che cerchiamo di realizzare con l’aiuto del sacramento della confessione può essere più o meno ostacolato da alcuni atteggiamenti negativi. Chiarisco con qualche esempio.

La paura di ricadere inevitabilmente in un peccato che da tempo si continua a confessare e dal quale non si riesce a liberarsi non aiuta a superarlo e spesso è proprio essa il nostro peggior nemico. Alla paura, poi, si accompagna non raramente la rabbia per le continue ricadute, e anche questo sentimento diventa un forte ostacolo al progresso spirituale. Ricorrere alla preghiera è certamente sempre utile, ma se questa si fissa su unico punto, su un unico desiderio non soddisfatto, su un unico obiettivo che noi ci siamo dati allora questo tipo di preghiera non ci aiuta. Bonhoeffer ricorda che Dio non ci ha promesso di realizzare le nostre aspirazioni, ma di realizzare i suoi progetti. È come guidare di notte: se si guarda fisso nei fari dell’auto che viene avanti per paura di andare a sbatterci violentemente contro, è molto probabile che succeda proprio quello che si teme. È un po’ come imparare a sciare.1 Si può senz’altro cadere: questo fa parte del normale processo di apprendimento. Naturalmente nessuno si propone di cadere, anzi, questo deve essere evitato se possibile, ma si sa: io “posso” cadere, se proprio mi è impossibile evitarlo. Minore è la paura di cadere, minore la probabilità che ciò accada. Se, nonostante tutto, un bravo sciatore non può far a meno di cadere, non ci fa troppo caso: non rimane seduto sulla neve prendendosela con se stesso e abbandonandosi all’avvilimento. Al contrario, si rialza, si scuote di dosso la neve e riprende la sua strada. La prossima volta che affronterà la discesa cercherà di farlo senza cadere. Se, però, lo sciatore si butta giù di proposito, spinto dalla rabbia e dall’avvilimento per essere caduto in precedenza, come per dire a se stesso che non è capace di sciare e che non imparerà mai, allora diventa colpevole perché si impedisce di migliorare.

 

OSSESSIONI

E VERGOGNA

 

Un altro atteggiamento negativo che impedisce il progresso spirituale può essere il ritornare in maniera ossessiva su certe mancanze del passato che non riusciamo a dimenticare, o non riusciamo a perdonarci. Si è cercato, esortati magari anche dal confessore che ci invitava a non pensarci più, di seppellire nell’oblìo (“rimuovere”, per dirla con linguaggio freudiano) determinate esperienze negative, “peccati” che vorremmo non aver mai commesso..., ma inutilmente: di tanto in tanto riaffiora il ricordo penoso... Se questa situazione psicologica permane, è opportuno prenderla in mano e analizzarla con attenzione. Si possono, in definitiva, presentare due casi, che un confessore saggio può aiutare a meglio comprendere. Ci si può trovare di fronte a una personalità tendenzialmente ossessiva e scrupolosa – e in questo caso occorre lavorare soprattutto sul piano psicologico, ricorrendo eventualmente anche a un aiuto specialistico nelle situazioni più gravi. Altre volte, invece, può essere opportuno riparlare – per un definitivo chiarimento! – in sede di confessione di quel peccato o di quella esperienza negativa che continuano a ripresentarsi alla memoria e alla coscienza del soggetto: o perché la persona è obiettivamente convinta di non aver confessato apertamente e validamente il suo peccato e ora lo vuol fare per una sua tranquillità di coscienza; o perché a suo tempo il confessore si era preoccupato che la persona non indugiasse troppo nel parlare di quel peccato, senza permetterle di condividere con lui l’intenso impatto emotivo e lo scombussolamento interiore che quella particolare esperienza negativa le aveva creato; o perché è necessario illuminare la persona sul significato autentico del perdono divino e aiutarla a percepirlo e a viverlo come un perdono totale e definitivo. Una cosa in ogni caso è assolutamente da evitare: che la persona rimanga fissata e impigliata nel ricordo ossessivo di un’esperienza negativa passata, in quanto ciò rallenta o compromette seriamente il suo progresso spirituale.

Infine, merita un accenno il sentimento di vergogna, che può condizionare, anche fortemente, la persona che si accosta alla confessione. Parlando di vergogna, il pensiero corre facilmente a peccati ti tipo sessuale e ciò per diversi motivi – quanto fondati, è tutto da verificare. Ecco, dunque, qualche sobria considerazione al riguardo.

Il progressivo superamento dei sentimenti di vergogna richiede, a volte, che si riveda e si metta in discussione l’educazione che si è ricevuta (in casa e in convento), con i suoi limiti e le sue possibili storture. Ciò permette di districare il presente dal passato ed evitare tormenti (vergogne) inutili, imparando a distinguere in modo corretto e sicuro ciò che rappresenta una situazione di peccato rispetto a ciò che non lo è.

Spesso il superamento dei sentimenti di vergogna e la possibilità di “perdonarci” certi “peccati” richiedono al soggetto di lavorare, con pazienza e perseveranza, sulla propria immagine di sé. L’amore e l’accettazione di sé non sono innati: vanno appresi e con il passare degli anni la persona può fare molto per raggiungere questo obiettivo. Permanenti e/o ricorrenti sentimenti di frustrazione e di solitudine, forme varie di depressione, scoraggiamento e delusione sono molto spesso nello stesso tempo causa ed effetto di una mancata accettazione di sé: e tutto ciò può sfociare anche nel ripetersi di certi “peccati” sessuali. Si può uscire dal circolo vizioso se si è disposti a lavorare con pazienza per migliorare e rendere più realistica l’immagine che si ha di se stessi.

 

CONFESSIONE

E BENESSERE PSICOLOGICO

 

Può capitare, infine, che la persona si chieda ansiosamente, sempre spinta dalla vergogna, quali parole usare per dire al confessore il suo ‘peccato’ e quanto debba spiegarlo e descriverlo. Non è possibile offrire qui una regola generale; di norma, comunque, è opportuno richiamare la persona a prestare attenzione soprattutto a quei sentimenti e atteggiamenti negativi sopra accennati, per far fronte ai quali a volte le può capitare di cadere in determinati “peccati” sessuali, i quali in realtà hanno molto spesso il significato di una compensazione psicologica (come potrebbe avvenire nel caso di chi ricorre all’alcol, o non sa resistere al bisogno ossessivo di mangiare). Stando così le cose, anche dire semplicemente: «Mi capita, a volte, di ricercare nel piacere sessuale la soluzione alle mie difficoltà personali» può essere un modo corretto e valido di aprire la propria coscienza al confessore.

Collocandoci sempre in questa prospettiva, è naturale pensare che, da parte del confessore, non avrebbe senso e sarebbe anzi fuorviante e dannoso insistere con domande intriganti per ottenere maggiori informazioni circa i “peccati” sessuali confessati dal penitente. Non si tratta, come è facile vedere, di rendere meno penosa al penitente l’esperienza della confessione, quanto piuttosto di aiutarlo a mettersi nella verità.

La confessione è un momento in cui ci si incontra con se stessi nella verità, si rivolge lo sguardo nella profondità del proprio io; è naturale, quindi, che possa avere particolari risvolti anche sul piano emotivo. Può essere attesa con desiderio e vissuta serenamente, ma può anche essere un’esperienza alquanto dura da affrontare sul piano emotivo e vissuta con ansia e sentimenti di vergogna.

Qualora una persona sperimenti forti resistenze ad accostarsi alla confessione, il primo passo da compiere è chiedersi che cosa veramente lei sente come ostacolo, quindi da dove nasce realmente la sua difficoltà, e agire di conseguenza. È pure utile ricordare che la confessione non può avere lo stesso significato del colloquio psicologico: quest’ultimo ha finalità e modalità diverse rispetto al dialogo che si svolge nell’ambito della confessione, per cui la persona che avesse bisogno di affrontare particolari difficoltà di tipo psicologico è bene che cerchi interlocutori diversi rispetto al confessore e momenti diversi per affrontarli.

Infine è da sottolineare che, anche se può essere facile che dopo la confessione si sperimenti un senso di sollievo e benessere interiore, sarebbe pericoloso e fuorviante valutare l’efficacia e il valore della confessione basandosi unicamente sull’impatto emotivo che essa determina in noi. Non ci si accosta al sacramento solo perché “ormai è passato tanto tempo” e si ha una vaga e crescente sensazione di non essere a posto..., ma mossi dalla volontà di celebrare la misericordia onnipotente di Dio, come pure dal bisogno di mantenere in noi quell’atteggiamento di conversione che ci ha insegnato Gesù e fare la verità in noi stessi.

 

L’IMPEGNO CHE NASCE

DALLA CONFESSIONE

 

Anche per la confessione, come per tanti altri aspetti della nostra vita, può subentrare un senso di routine e si può essere tentati di lasciarla da parte perché ormai “non ci dice più niente” e abbiamo la sensazione che essa incida ben poco nella nostra vita... Evitiamo di autoingannarci e diciamo piuttosto apertamente: «non voglio confessarmi», senza trincerarsi dietro giustificazioni che non reggono.2 Dobbiamo sapere che qui è in gioco una cosa molto seria per la nostra salvezza. Giovanni XXIII ne era ben consapevole e fa questa annotazione: «Durante tutta la mia vita fui sempre fedele alla mia confessione settimanale. Più volte in vita rinnovai la confessione generale... La santa confessione ben preparata, ripetuta ogni settimana, il venerdì o il sabato, resta sempre una base solida per il cammino della santificazione; e rimane visione pacificatrice e incoraggiante alla abitudine di tenersi preparato a ben morire in ogni ora e in ogni momento della giornata».3

Quando ci alziamo dal confessionale ci proponiamo di “essere più buoni”. Che cosa significa? Val la pena soffermarci un momento su questo interrogativo, perché si può correre il pericolo di pensare che l’efficacia della confessione sia legata anzitutto allo sforzo personale, e ciò può portare a stati di ansia o a facili sensi di colpa. Naturalmente è fuori discussione che ciascuno di noi è chiamato a un impegno continuo di conversione, a un costante cammino di ascesi, ma se si vuole che ciò sia vissuto nella pace e non diventi fonte di inutili tormenti è necessario che sia vissuto nella verità. E qui si possono richiamare le sapienti osservazioni di R. Guardini: «Interroghiamo lui, il Signore, e il Vangelo, che parla di lui e della sua verità, sul modo in cui nella sua predicazione si presenta l’ “essere buono”, la bontà dell’uomo... La bontà che Cristo intende è partecipazione della bontà del Padre (“Nessuno è buono, se non uno solo, Dio: Lc 18,19)... Deve accadere che la bontà di Dio venga su di noi, in noi, che noi siamo coinvolti nell’operare di Dio; che le opere benefiche di Dio entrino nel mondo attraverso di noi... L’irradiazione di Dio nel mondo deve passare attraverso di me. Io debbo implorare che Dio venga e mi elegga a suo servo o ancella: dobbiamo pregare, amici miei, che egli accondiscenda ad utilizzarci come strumento, a far passare la sua corrente d’amore tramite noi nel suo mondo; attraverso di noi, quale strumento del suo amore; che egli ami la creazione mediante il nostro cuore. È questo che significa la bontà nel senso di Cristo. Non la si può carpire mediante alcun sforzo: “Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia” (Rm 9,16)... La bontà che Cristo intende sta indicibilmente più in profondo dello sforzo morale».4

Dobbiamo, in definitiva “adorare il Padre in spirito e verità, perché il Padre cerca tali adoratori”.5

Aldo Basso

 

1 Prendo questo esempio da W. Trobisch, Il mio sentimento meraviglioso, Marchirolo (Varese), Edizioni Uomini Nuovi, 1987, p. 47.

2 A volte una possibile giustificazione è che non si trova un confessore ‘adatto’, che conosca a fondo le problematiche della vita religiosa, che sappia ascoltare e capire... È fuori dubbio che da parte del confessore ci deve essere, per quanto possibile, tutto quell’impegno e quella preparazione che una degna celebrazione del sacramento richiede, ma ciò che qui si vuole sottolineare è la necessità di essere vigilanti e non andare alla ricerca di comodi alibi che ci tengano lontano dalla confessione. Dopo tutto, per una valida celebrazione del sacramento si richiede che il penitente confessi in tutta sincerità: “padre ho peccato” e il sacerdote gli dica: “io ti assolvo...”.

3 Il Giornale dell’anima, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1964, pp. 309-311.

4 R. Guardini, La Pasqua. Meditazioni, Brescia, Morcelliana, 1995, pp. 44-48.

5 Gv 4,23.