UN MODELLO SICURO DI FEDELTÀ

VITA CONSACRATA E IMITAZIONE DI MARIA

 

L’esemplarità di Maria è sempre stata un punto cardine della riflessione teologica sulla vita religiosa. In senso appropriato si parla oggi di “dimensione mariana” della vita consacrata. Esiste infatti uno stretto rapporto tra l’esempio del vero discepolo di Gesù che Maria ci ha lasciato e la vita di speciale consacrazione.

 

Quando si parla dell’esemplarità di Maria sia per la vita cristiana e sia soprattutto per la vita consacrata ci si può collegare con tutta una lunga ininterrotta tradizione che la Chiesa non ha mai cessato di insegnare e di proporre. Per il nostro discorso, anche senza andare lontano, basti citare l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Vita consecrata: «Maria è esempio sublime di perfetta consacrazione… La vita consacrata guarda a lei come a modello sublime di consacrazione al Padre, di unione col Figlio e di docilità allo Spirito, nella consapevolezza che aderire al genere di vita verginale e povera di Cristo significa far proprio anche il genere di vita di Maria…».

Sono tanti gli autori che mettono in relazione la vita consacrata e l’imitazione di Maria. Ci piace, a questo riguardo, segnalare qui un breve articolo, apparso sul periodico statunitense Review for Religious (n. 2/2006), di un monaco cistercense, Julius D. Leloczky, originario dell’Ungheria e che attualmente vive negli Stati Uniti, nell’abbazia cistercense del Texas. Egli prende lo spunto dalla grande martire carmelitana, santa Teresa Benedetta della croce, meglio conosciuta come Edith Stein la quale scrisse: «L’imitazione di Maria implica l’imitazione di Cristo perché Maria è la prima cristiana a seguire Cristo. In effetti, questa è la ragione per cui l’imitazione di Maria è importante non solo per le donne, ma per tutti i cristiani».

Partendo da qui, dom Julius intreccia un insieme di considerazioni quanto mai originali, e persino inconsuete, stabilendo un interessante parallelo tra la figura di Maria e quella della persona consacrata.

 

LA SUA E NOSTRA

CHIAMATA

 

Da tutta l’eternità, scrive, Maria è stata chiamata da Dio a essere la madre del Redentore e ciò si realizzò nell’annunciazione. Anche noi siamo stati chiamati e scelti, come scrive Paolo: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità» (Ef 1,4). Con questa chiamata e la sua risposta, Maria divenne figlia di Dio in maniera speciale; divenne la nuova Eva obbediente. Come Maria si chiese perché era stata scelta, anche noi possiamo domandarci: «Perché io? Su tanti milioni di persone, perché proprio io?». La risposta sta nel fatto che si tratta di un mistero, un mistero di amore. Quello che avvenne a noi, capitò un giorno al giovane ricco di cui parla il Vangelo: «Gesù, fissatolo, lo amò» (Mc 10,21). La chiamata rivolta a ciascuno di noi è una chiamata a un compito unico e speciale, che nessun altro può svolgere. La nostra risposta deve riflettere l’amore di Colui che ci ha chiamato. Noi siamo chiamati non a compiere un mestiere, ma a dare una risposta d’amore. La chiamata, come una moneta, ha due facce: siamo chiamati a prendere le distanze da qualcosa e siamo chiamati a fare qualcosa, per qualcosa.

Dal momento in cui l’angelo apparve a Maria, la sua vita cambiò. Non era più una persona che apparteneva a se stessa, ma a qualcun Altro. Anche noi siamo stati chiamati a uscire da un genere di vita comune, “normale”, dal mettere insieme una famiglia, svolgere un incarico civile, avere una propria casa, la macchina, la proprietà. Siamo stati chiamati a una donazione incondizionata d’amore, a offrire noi stessi come ha fatto Maria: «Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». Siamo stati chiamati a vivere per tutta la vita un’avventura di amore, e non sappiamo dove questo amore ci porterà.

In quanto religiosi, prosegue dom Julius, siamo stati chiamati a concepire il Verbo di Dio nel cuore e nel nostro spirito. Si tratta, afferma, di una concezione “verginale” poiché avviene interamente tra Dio e noi, senza intervento di nessun altro. Siamo stati chiamati a donare il Verbo di Dio, il Figlio di Dio, ad altri. Ma lo possiamo fare soltanto se prima l’abbiamo concepito noi stessi, se l’abbiamo portato nell’intimo della nostra anima, l’abbiamo nutrito e fatto crescere in noi, a partire da noi – se non proprio dalla nostra carne e dal nostro sangue, certamente dalla nostra personalità. Come Gesù deve avere avuto le somiglianze della sua Madre, allo stesso modo il Verbo che cresce in noi penderà la nostra somiglianza. Questo Verbo, tuttavia, non è un’idea intellettuale. Non risiede solo nel nostro intelletto; deve compenetrare tutto il nostro essere, l’intera nostra esistenza.

 

UNA VITA

FECONDA

 

I discepoli non sono dei registratori che ripetono le parole in maniera esatta così come sono ascoltate. Filtrate attraverso la nostra personalità, le parole di Dio devono assumere le sfumature speciali o il colore di ciò che siamo come persone, così come il vangelo di Gesù è diverso nella penna di Marco e in quella di Giovanni.

La verginità di Maria, prosegue dom Julius, è stata feconda; anche lo stato celibatario della vita religiosa deve essere fecondo. I religiosi, rispondendo alla chiamata di Dio a vivere una vita celibe, non scelgono di vivere una vita sterile. Non rinunciano né all’amore, alla passione, alla maternità o paternità. Vivono questi valori in altra maniera, ossia a un livello più alto, con l’aiuto della grazia di Dio. Questa fecondità si realizza in due modi. Come Maria, essi diventano madri del Verbo di Dio, e madri o padri di una quantità di figli.

La nascita di un figlio è preceduta dalle doglie del parto. Nessuno ha espresso in maniera più drammatica questa sofferenza per far nascere la parola di Dio di Geremia: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno; ognuno si fa beffe di me... Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» Ger 20,7-9).

Far nascere la parola di Dio è un dovere doloroso ma irresistibile. È doloroso comunicare la Parola agli altri; è difficile tradurre il messaggio di Cristo in parole umane, comunicare agli altri Gesù stesso e non il nostro io.

Può essere doloroso donare Gesù gli altri perché molta gente non lo accetterà, perché mostrerà un atteggiamento ostile verso di lui e verso di noi, resisterà e rifiuterà sia lui che noi. Tuttavia dobbiamo andare avanti, continuare, ricordando le parole dette da Dio a Geremia: « Ed ecco oggi io faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo contro tutto il paese» (Ger 1,18).

Se proclamiamo la parola di Dio, sottolinea sempre dom Julius, diventiamo genitori, e coloro che ascoltano diventano i nostri figli. Questo avviene anche nella vita religiosa contemplativa. Non a caso santa Teresa di Lisieux è stata proclamata patrona delle missioni. Se pensiamo ai nostri giovani anni, ricorderemo di aver incontrato persone particolari che possiamo considerare nostre madri e padri spirituali. Progredendo negli anni, il ruolo si è capovolto e tocca a noi ora essere genitori spirituali degli altri. Non bisogna dimenticare che noi proclamiamo la Parola più con i fatti che con le parole, le nostre parole e le nostre azioni dovrebbero comunicare il messaggio evangelico in perfetta armonia. Paolo aveva osato proporsi come modello dei primi cristiani: “Siate miei imitatori”, aveva scritto. Noi dobbiamo stare attenti a non dire la stessa cosa, ma resta vero che le nostre parole saranno credibili soltanto se le viviamo e se le traduciamo nella realtà della nostra vita di tutti i giorni.

Come Maria fu con Gesù alle nozze di Cana, così lei è con noi nella nostra preghiera e attività apostolica. Quando ci troviamo in un particolare bisogno, dirà al suo figlio: “Non hanno più vino”. Con quella fine sensibilità di donna di casa e di madre s’accorge se manca qualche cosa, se c’è un problema, e interviene. Anche se Gesù all’inizio ha mostrato qualche riluttanza, lei sa che suo Figlio verrà in aiuto, e a noi ripete “fate tutto quello che egli vi dirà”. L’intervento dei santi è potente, ma l’efficacia dell’intercessione di Maria non ha confronti. Ricordiamo le parole della famosa preghiera Memorare del grande cistercense san Bernardo di Clervaux: “Non si è mai inteso dire nel mondo, che alcuno ricorrendo alla tua protezione, implorando il tuo aiuto, e chiedendo il tuo patrocinio, sia stato da te abbandonato».

La vita di una madre è un processo inarrestabile di progressiva separazione dal suo figlio. Soltanto nel periodo della gestazione lei può avere la sensazione che il bambino sia completamente suo. Ma dopo la nascita il bambino comincia a crescere, diventa adolescente e in seguito si costruisce la sua famiglia. Così è avvenuto anche per Gesù che progressivamente si è separato dalla madre per dedicarsi al suo ministero. Tuttavia Maria è sempre rimasta l’umile serva del Signore. Maria e con la sua sofferenza e agonia ha, per così dire, aggiunto qualcosa alle sofferenze redentrici del suo Figlio. Allo stesso modo, anche noi portando ogni giorno le nostre croci completiamo «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Le nostre sofferenze possono essere fisiche, spirituali o emozionali. Possono assumere la forma della malattia, della stanchezza, della frustrazione o dell’esaurimento. Possono derivare dalla stessa gente per la quale si spendono i propri giorni e le proprie energie, come quando la folla gridava a Gesù “Crocifiggilo”. Si può giungere al punto di gridare: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?».

Ma non dobbiamo dimenticare che la tristezza è durata soltanto tre giorni. Pensiamo alla gioia di Maria, nella risurrezione, nell’incontrare il suo figlio risorto. La medesima gioia è riservata anche a noi. Dobbiamo solo perseverare, continuare a imitare Cristo imitando fedelmente Maria, giorno per giorno.


INTERVISTA E DICHIARAZIONE FINALE

 

Monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, Narni e Amelia, è il presidente della Commissione della CEI per l’ecumenismo e il dialogo. In questa doppia veste è stato ospite del III convegno ecumenico italiano.

 

Monsignor Paglia, un bilancio di questo incontro che si è svolto nella sua diocesi.

 

Devo dire che sono particolarmente contento, e per certi versi anche orgoglioso, che Terni abbia potuto accogliere questo incontro sulla Carta ecumenica. Il clima, gli interventi, le preghiere comuni e la fraternità mi pare che sottolineino la bellezza ma anche l’efficacia di incontri come questo. Non c’è dubbio che, se con uno sguardo ripercorriamo il cammino fatto, io credo che sia in crescita. Una crescita bella e positiva.

 

In qualità di presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo, come vede i mesi che separano questo convegno italiano dall’ appuntamento di Sibiu nel 2007?

 

Una cosa che a me pare bella e significativa è il fatto che questa tappa italiana sia stata la prima tra quelle che si svolgeranno nei vari paesi europei. Per il futuro, un primo obiettivo sarà la celebrazione ecumenica della Giornata per il creato; un secondo obiettivo è la partecipazione – io credo consistente – anche dell’Italia al prossimo incontro di Wittenberg che precederà l’assemblea di Sibiu. Intanto si diffonde, anche a livello nazionale, la Carta ecumenica: insomma vogliamo promuovere diversi momenti di riflessione per giungere preparati a Sibiu, nella Romania ortodossa, dove per altro cattolici e protestanti costituiscono una minoranza. Lavoriamo per costruire un consenso ecumenico per dare un’anima a un’Europa che rischia di rattristarsi.

 

Lei è molto positivo, ma qualcuno parla di autunno dell’ecumenismo, o di ovvietà dell’ecumenismo.

 

Se guardiamo gli entusiasmi, per quel che riguarda la Chiesa cattolica e anche gli altri, dopo il Vaticano II non c’è dubbio che un certo raffreddamento c’è. Se guardiamo i secoli passati – e non dobbiamo dimenticare il passato – si sono fatti passi da gigante. Oggi viviamo un periodo che potremmo forse definire di maturità ecumenica, magari un po’ faticosa; tuttavia io penso che incontri come questo stanno a testimoniare che nella base delle nostre chiese c’è un fervore ecumenico che va riscoperto e messo maggiormente in luce. Non mancano le difficoltà, ma la primavera è iniziata.

 

Dichiarazione finale

 

Il 3°Convegno ecumenico nazionale… ha trovato la sua ispirazione nel tema indicato per l’Assemblea di Sibiu: La luce di Cristo illumina tutti.

 

1. La Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana (CEI), la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), la Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, organismi promotori del terzo convegno ecumenico nazionale, dichiarano di considerare la Carta Ecumenica parametro delle relazioni reciproche.

 

2. I partecipanti al terzo convegno ecumenico nazionale raccomandano alle Chiese cristiane d’Italia: lo studio e l’approfondimento dei contenuti e degli impegni della Carta Ecumenica a ogni livello di attività pastorale; l’estensione del processo di dialogo di cui la Carta Ecumenica è simbolo alle Chiese e confessioni cristiane che ancora non vi aderiscono; l’orientamento all’ecumenismo della formazione degli studenti in teologia; l’attenzione ai problemi della comunicazione in materia di ecumenismo anche attraverso la collaborazione permanente delle esistenti strutture.

 

3. I partecipanti raccomandano altresì ai delegati delle Chiese italiane all’AEE3 di tenere conto delle seguenti posizioni: la comunione con l’ebraismo, le relazioni amichevoli con l’islam, l’incontro con le altre religioni e visioni del mondo vanno incrementati da parte di tutte le Chiese cristiane d’Europa; l’urgenza di dare effettivo riconoscimento e pieno compimento ai diritti del migrante nello spirito del documento Le migrazioni in Europa, impegnandosi nella lotta contro le disuguaglianze economiche e ogni forma di sfruttamento e di traffico di esseri umani; la necessità che l’Europa definita nella Carta Ecumenica non si chiuda nei propri confini ma mantenga un dialogo con il resto del mondo, con particolare attenzione per il Mediterraneo e il Medio oriente.