DI FRONTE ALLA VOCAZIONE

 

«Appare chiaro dalle risposte che per i giovani l’idea di vocazione è associata a una qualche forma di autonomia, di emancipazione, di autenticità espressiva. Emergono qui alcune delle istanze tipiche della cultura giovanile. Quando si pensa alla vocazione, prevale la convinzione di essere imbarcati in una impresa, di essere catturati da una chiamata, da una tendenza, da una inclinazione che permette di realizzare se stessi»: in queste parole del sociologo Franco Garelli troviamo la sintesi della ricerca I giovani e la chiamata, promossa nell’anno vocazionale della Famiglia paolina (2005-2006) per l’anniversario della nascita di don Giacomo Alberione, e realizzata dall’istituto Eurisko su progetto di un gruppo di ricercatori dell’Università di Torino.1

 

VOCAZIONI

DAL FIATO CORTO

 

Secondo l’annuario statistico della Cism, in Italia nel 2004 i religiosi erano 21.457; facendo riferimento solo ai sacerdoti religiosi, si scende a 15.898 contro i 19.708 del 1999. Per quanto riguarda la vita religiosa femminile, nel 2004 le religiose italiane erano 81.723 e le monache 6.500 (nel 2001 il dato era, rispettivamente, di 102.316 e di 6.990).

In questo scenario l’inchiesta è preziosa perché innanzitutto ci dice che i giovani sono ancora disponibili a non spendere il concetto di vocazione per professioni “normali”: lo associano alle grandi cause, agli impegni che chiedono di fare unità in se stessi, nei propri orientamenti. In particolare per quanto riguarda la vocazione religiosa, l’11% del campione dichiara di aver pensato almeno una volta di diventare prete o religioso o suora. Un dato che, letto in modo incrociato, manifesta tenuta del lavoro di base, discreto funzionamento delle reti del mondo giovanile e ancora un certo supporto delle famiglie. Il problema è che si tratta di vocazioni dal “fiato corto”, che si consumano nel giro di un anno: «Si può essere portati a certe scelte da condizioni familiari, sociali e soprattutto associative, ma mancano poi i “fondamentali” che permettano a queste vocazioni di andare avanti». La circostanza in cui è stata avvertita l’idea della vocazione fa riferimento per il 60% al periodo della socializzazione adolescenziale, per l’altro 40% a un evento personale (crisi esistenziale o amorosa, conflitti familiari, ecc.) o un’importante esperienza religiosa (pellegrinaggio, gruppo di preghiera, ritiro spirituale, campo missionario, ecc.). Nessuno degli intervistati ha indicato l’opzione “su invito di un sacerdote o padre spirituale”! Non pochi soggetti dichiarano di non essere mai stati aiutati a comprendere o perseguire le proprie aspirazioni.

I giovani sembrano coinvolti da un’idea romantico-avventurosa della VC, tanto che il 73% ammira di più preti o religiose/i che vanno in missione nel terzo mondo. Il 60% apprezza maggiormente chi si dedica a persone in difficoltà (tossicodipendenti o emarginati); il 57% è colpito da chi si impegna negli ospedali. Si conferma come sia la carità il linguaggio più congeniale alle giovani generazioni. Elevata (50%) è anche la quota degli intervistati che predilige coloro che si dedicano ai ragazzi in parrocchia o nel quartiere. A una minoranza (29,7%), anche se significativa, piace chi dedica la propria vita all’insegnamento e c’è poi il piccolo gruppo (21,1%) di chi preferisce coloro che si dedicano alla comunicazione della fede (giornalisti, promozione di libri e trasmissioni su temi religiosi) aiutando la gente a riflettere.

 

CRISI DELLA

PATERNITÀ SPIRITUALE?

 

Complessivamente sembra passare un’idea un po’ datata della VC, anche se si conferma come non sia più attraente lo stile di vita di consacrate/i schiacciato sulle opere. Forse i giovani percepiscono questo vuoto progettuale, oltre che la solitudine di molti religiosi (il 22% ne fa riferimento esplicito). I religiosi impegnati in certi settori destano ammirazione nei giovani ma fanno anche paura, perché essi non si sentono in grado di prendere su di sé il peso dell’impegno, della sofferenza, dell’attesa dei frutti. Probabilmente si può cogliere anche un implicito appello a superare una vecchia forma di spiritualità (formazione e consumo devoto di pratiche standardizzate) per una spiritualità capace di esporre sulla frontiera, sul deserto, sulle periferie.

Le vocazioni hanno comunque bisogno di testimonianza. Nel volume che riporta i dati dell’inchiesta (pp. 96 e ss.) si fa riferimento a un recente convegno di pastorale vocazionale (Torino, 27-02-06) per approfondire un aspetto decisivo di questa testimonianza richiesta alla VC: diversamente dal passato oggi non ha plausibilità una proposta vocazionale che non si radichi in un cammino di accompagnamento spirituale. Questo è un limite ulteriore a scelte religiose consapevoli: infatti, da un lato sono pochi i giovani che accettano di impegnarsi in un tale cammino, dall’altro non sembrano molti i consacrati disponibili a offrirlo (diversa è infatti la qualità relazionale richiesta rispetto al colloquio di confessione!).

A tutto questo aggiungiamo che, finito il primato dei “virtuosi” della fede, continua secondo l’indagine ad avanzare un processo di livellamento delle gerarchie tra le diverse scelte di vita. Saprà la VC cogliere questo come un segno dello Spirito?

M.C.

 

1 Cf. Garelli F.,(a cura), Chiamati a scegliere. I giovani italiani di fronte alla vocazione, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006, pp. 169, € 16,00. La ricerca è stata condotta su un campione di 1017 giovani, 53% ragazze e 47% ragazzi, fra i 16 e i 29 anni, 41% al sud-isole e il restante 59% distribuito nel centro-nord.