DI FRONTE ALLA VOCAZIONE
«Appare chiaro dalle risposte che per i giovani l’idea di
vocazione è associata a una qualche forma di autonomia, di emancipazione, di
autenticità espressiva. Emergono qui alcune delle istanze tipiche della cultura
giovanile. Quando si pensa alla vocazione, prevale la convinzione di essere
imbarcati in una impresa, di essere catturati da una chiamata, da una tendenza,
da una inclinazione che permette di realizzare se stessi»: in queste parole del
sociologo Franco Garelli troviamo la sintesi della ricerca I giovani e la
chiamata, promossa nell’anno vocazionale della Famiglia paolina (2005-2006) per
l’anniversario della nascita di don Giacomo Alberione, e realizzata
dall’istituto Eurisko su progetto di un gruppo di ricercatori dell’Università
di Torino.1
VOCAZIONI
DAL FIATO CORTO
Secondo l’annuario statistico della
In questo scenario l’inchiesta è preziosa perché
innanzitutto ci dice che i giovani sono ancora disponibili a non spendere il
concetto di vocazione per professioni “normali”: lo associano alle grandi
cause, agli impegni che chiedono di fare unità in se stessi, nei propri
orientamenti. In particolare per quanto riguarda la vocazione religiosa, l’11%
del campione dichiara di aver pensato almeno una volta di diventare prete o
religioso o suora. Un dato che, letto in modo incrociato, manifesta tenuta del
lavoro di base, discreto funzionamento delle reti del mondo giovanile e ancora
un certo supporto delle famiglie. Il problema è che si tratta di vocazioni dal
“fiato corto”, che si consumano nel giro di un anno: «Si può essere portati a
certe scelte da condizioni familiari, sociali e soprattutto associative, ma
mancano poi i “fondamentali” che permettano a queste vocazioni di andare
avanti». La circostanza in cui è stata avvertita l’idea della vocazione fa
riferimento per il 60% al periodo della socializzazione adolescenziale, per
l’altro 40% a un evento personale (crisi esistenziale o amorosa, conflitti
familiari, ecc.) o un’importante esperienza religiosa (pellegrinaggio, gruppo
di preghiera, ritiro spirituale, campo missionario, ecc.). Nessuno degli
intervistati ha indicato l’opzione “su invito di un sacerdote o padre
spirituale”! Non pochi soggetti dichiarano di non essere mai stati aiutati a
comprendere o perseguire le proprie aspirazioni.
I giovani sembrano coinvolti da un’idea
romantico-avventurosa della VC, tanto che il 73% ammira di più preti o
religiose/i che vanno in missione nel terzo mondo. Il 60% apprezza maggiormente
chi si dedica a persone in difficoltà (tossicodipendenti o emarginati); il 57%
è colpito da chi si impegna negli ospedali. Si conferma come sia la carità il
linguaggio più congeniale alle giovani generazioni. Elevata (50%) è anche la
quota degli intervistati che predilige coloro che si dedicano ai ragazzi in
parrocchia o nel quartiere. A una minoranza (29,7%), anche se significativa,
piace chi dedica la propria vita all’insegnamento e c’è poi il piccolo gruppo
(21,1%) di chi preferisce coloro che si dedicano alla comunicazione della fede
(giornalisti, promozione di libri e trasmissioni su temi religiosi) aiutando la
gente a riflettere.
CRISI DELLA
PATERNITÀ SPIRITUALE?
Complessivamente sembra passare un’idea un po’ datata della
VC, anche se si conferma come non sia più attraente lo stile di vita di
consacrate/i schiacciato sulle opere. Forse i giovani percepiscono questo vuoto
progettuale, oltre che la solitudine di molti religiosi (il 22% ne fa
riferimento esplicito). I religiosi impegnati in certi settori destano
ammirazione nei giovani ma fanno anche paura, perché essi non si sentono in
grado di prendere su di sé il peso dell’impegno, della sofferenza, dell’attesa
dei frutti. Probabilmente si può cogliere anche un implicito appello a superare
una vecchia forma di spiritualità (formazione e consumo devoto di pratiche
standardizzate) per una spiritualità capace di esporre sulla frontiera, sul
deserto, sulle periferie.
Le vocazioni hanno comunque bisogno di testimonianza. Nel
volume che riporta i dati dell’inchiesta (pp. 96 e ss.) si fa riferimento a un
recente convegno di pastorale vocazionale (Torino, 27-02-06) per approfondire
un aspetto decisivo di questa testimonianza richiesta alla VC: diversamente dal
passato oggi non ha plausibilità una proposta vocazionale che non si radichi in
un cammino di accompagnamento spirituale. Questo è un limite ulteriore a scelte
religiose consapevoli: infatti, da un lato sono pochi i giovani che accettano
di impegnarsi in un tale cammino, dall’altro non sembrano molti i consacrati
disponibili a offrirlo (diversa è infatti la qualità relazionale richiesta
rispetto al colloquio di confessione!).
A tutto questo aggiungiamo che, finito il primato dei
“virtuosi” della fede, continua secondo l’indagine ad avanzare un processo di
livellamento delle gerarchie tra le diverse scelte di vita. Saprà la VC
cogliere questo come un segno dello Spirito?
M.C.
1 Cf. Garelli F.,(a cura), Chiamati a scegliere. I giovani
italiani di fronte alla vocazione, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)
2006, pp. 169, € 16,00. La ricerca è stata condotta su un campione di 1017
giovani, 53% ragazze e 47% ragazzi, fra i 16 e i 29 anni, 41% al sud-isole e il
restante 59% distribuito nel centro-nord.