UN FORMATORE RACCONTA LA SUA ESPERIENZA

CINQUE SFIDE DA AFFRONTARE

 

Ritorna di frequente la domanda: come delineare oggi la figura del formatore? All’interrogativo si potrebbe rispondere con un lungo discorso. Ma si rimarrebbe sempre nella teoria. Più istruttivo è invece ascoltare l’esperienza di chi da tempo si occupa

di questo ministero.

 

Il problema della formazione continua a essere all’ordine del giorno in tanti incontri e a occupare un posto di rilievo nei programmi degli istituti, molti dei quali su questo argomento hanno da tempo elaborato anche un’accurata ratio formationis. Ma parlare di formazione vuol dire parlare anche dei formatori. Le due realtà infatti sono strettamente collegate tra loro: una richiama l’altra.

Una domanda ricorrente è questa: come delineare oggi la figura del formatore? All’interrogativo si potrebbe rispondere con uno dei soliti discorsi. Ma si rimarrebbe sempre nella teoria. Più istruttivo è invece ascoltare l’esperienza di chi da tempo lavora in questo campo. Proprio per questo ci sembra interessante leggere quello che scrive sulla rivista di vita religiosa Testimonio della Conferenza dei religiosi e religiose del Cile il maestro dei novizi argentino, Luis A. Casala, marianista, 56 anni, da molti anni occupato in questo genere di ministero nel suo istituto.1

 

IL PRIMO FORMATORE

È CRISTO

 

«Mi è stato chiesto, scrive, una “esperienza”, non un “articolo”; ragione in più per non irretirmi in chiarificazioni o distinzioni teoriche. Scriverò pertanto in base alla “mia esperienza”, quella di un formatore-maestro dei novizi». In questo incarico afferma di aver incontrato almeno cinque sfide.

La prima è che il formatore deve riconoscere che non c’è che un solo leader, ossia Gesù Cristo. Con questo deve essere chiaro fin dall’inizio che non si può occupare il posto di Colui che è o deve essere la persona che i novizi devono conoscere, amare, seguire e servire. D’altra parte, è anche vero che occorrono dei buoni “modelli di identificazione” per raggiungere la maturità psico-spirituale. Per questo, il maestro dei novizi può e dovrebbe funzionare come un “modello salutare”.

Uno dei rischi a cui si può andare incontro è quello del personalismo, ossia di sentirsi il “maestro”, formando dei novizi secondo il proprio stile e diventando il loro punto di riferimento. Personalmente, afferma p. Luis, non ha mai avuto la pretesa di diventare punto di riferimento per nessuno…

Io cerco di invitare i novizi a entrare nel silenzio, ad ascoltare interiormente il Maestro. Generalmente mi riferisco più allo Spirito Santo che a Gesù Cristo. Se un qualsiasi formatore o formatrice ha questo ben chiaro… avrà meno ansie e angustie. Una buona massima per me come formatore è: “Che lui cresca e io diminuisca” (Gv 3,30).

 

La seconda sfida consiste nel guadagnare la fiducia. Non si può “educare”, formare, accompagnare, orientare dirigere… se non si stabilisce prima un vincolo di fiducia. Questa favorisce un’apertura da parte del formando e gli consente di “tirar fuori ciò che porta dentro”, di mettersi in un atteggiamento di discepolo e lasciarsi formare. È lui che prende la decisione di lasciarsi formare. Ma è chiaro (indispensabile) che anche il maestro abbia fiducia nei novizi, altrimenti non può fungere effettivamente da formatore.

Quando un novizio giunge al noviziato, conosce il maestro solo per sentito dire. Le voci che ha sentito possono essere buone oppure meno buone. Certamente egli viene con delle aspettative, con alcuni o molti “pregiudizi” e molte paure. La paura, in genere, non facilita la fiducia. Pertanto è indispensabile costruire un legame di reciproca fiducia se si vuole portare avanti il processo formativo.

A questo riguardo, p. Luis scrive di essere passato attraverso tutte le situazioni possibili. Da relazioni in cui il vincolo si è costruito spontaneamente molto in fretta, così che il novizio già fin dalla prima settimana di noviziato raccontava situazioni che non aveva mai condiviso con nessuno… ad altre invece in cui mai si poté stringere un vincolo di vera fiducia vicendevole. Credo, osserva il padre, che “la fiducia chiami la fiducia”… quando mi accorgo che un novizio non ha fiducia in me … o quando lo stesso novizio mi dice di avere difficoltà nell’aver fiducia in me… immediatamente anch’io trovo molta difficoltà ad avere fiducia in lui.

In questo campo ci possono essere situazioni oggettive, errori che diventano ostacoli più o meno insuperabili per ricostruire la fiducia… Per esempio, informazioni fatte male o che si usano male, ecc. Altre volte all’origine della mancanza di fiducia ci sono dei fattori inconsci, che impediscono lo stabilirsi di questo rapporto.

 

DALLE PAROLE

ALL’ESEMPIO

 

La terza sfida consiste nel convalidare le parole con la vita, nel mostrarsi convinti. Sappiamo che ciò che trascina non sono le parole, ma l’esempio. Ciò che importa è la qualità della nostra vita, più che non i discorsi. L’energia, l’entusiasmo, la gioia, la pace, la serenità, l’equilibrio… la convinzione, la coerenza, l’integrità… sono tutti atteggiamenti (“virtù”) che il formatore contagia, che non solo possono suscitare il desiderio di essere come lui (ciò che in fondo non è la cosa più importante), ma che soprattutto mostrano che questo cammino di vita evangelica è possibile. In mezzo a tante crisi vocazionali (con o senza scandali) non basta che l’ideale della vita religiosa sia desiderabile; bisogna mostrare che è possibile.

Sotto questo punto di vista in una casa di noviziato non c’è scappatoia. I formatori e i discepoli vivono insieme le 24 ore del giorno, 7 giorni la settimana… Non c’è possibilità di “camuffarsi”. Ci “conosciamo troppo”. Non si possono vivere le 24 ore del giorno nella simulazione. Le stanchezze, i cali di tensione, i malumori, i difetti… del formatore presto o tardi si avvertono. Ben presto egli si rivelerà per quello che è: un semplice essere umano.

Si tratta di una decisione da prendere e che richiede un discernimento quasi costante: voglio mostrarmi ai novizi così come sono? Ho deciso di voler essere, sempre e dappertutto, me stesso e non nascondermi dietro al “ruolo di maestro”. Quanto posso e voglio mostrare di me stesso in una condivisione e revisione di vita?

Quanto devo e quanto conviene condividere? Quanto devo e quanto conviene esprimere i dubbi che io stesso ho circa il futuro di questa vita religiosa? Posso motivare qualcuno se io stesso non sono convinto? Certamente no.

 

La quarta sfida consiste nel mostrare un cammino: per di qui si può. In riferimento con quanto detto sopra, oggi non sappiamo in che modo si ridefinirà l’identità della vita religiosa del futuro. Questo non dipende da alcuna crisi interna della vita religiosa. Semplicemente l’emergere del laicato esige che la vita religiosa ridefinisca la propria identità nella Chiesa. Allo stesso modo, l’emergere della donna richiede che l’uomo si interroghi sulla sua identità maschile.

Perciò, in che cosa consiste lo specifico della vita religiosa? Quale la sua missione nella Chiesa? Che significato hanno oggi i voti? Domande tremende… dal momento che questi interrogativi si assommano alla situazione di crisi, come l’invecchiamento, la diminuzione del significato sociale della vita religiosa in quanto istituzione, il divario generazionale presente nella maggior parte delle congregazioni: tutti questi fattori possono ingenerare e ingenerano dubbi circa il futuro.

Non abbiamo molto risposte. Abbiamo sì sufficienti certezze, anche se non è questo il luogo per parlarne. Ciò che desidero sottolineare, scrive p. Luis, è questo: non bastano né soddisfano le risposte teoriche né le dichiarazioni del magistero che riaffermano che la vita religiosa è “fantastica”. Bisogna mostrare oggi che possiamo vivere questo stile di vita evangelico e che esso ci rende felici e fecondi.

Quello che mi riguarda credo consista nel creare spazi affinché il “nuovo” che sta sorgendo possa affermarsi e nascano cose nuove. Non ho una mappa del cammino per dire: andiamo tutti di qui. Però posso contribuire a costruire insieme spazi psico-spirituali terapeutici. Possiamo vivere oggi una qualità di vita diversa (che non è imborghesimento) che permetta a ciascuno di essere se stesso e, allo stesso tempo diffondere vita (Vita!) nel nostro ambiente? Come formatore (leader) ho scoperto che posso ed è mio compito creare questi spazi. E ho scoperto anche che ciò che avviene in questi spazi e tempi non si può prevedere né manipolare. Pretendere di manipolare è uno dei grandi rischi di tutti i leader.

 

ANDARE

ALL’ESSENZIALE

 

Quinta sfida: andare all’essenziale, semplificare. Formare, tra le altre cose, è trasmettere un carisma. Più esattamente: fare in modo che un carisma sia trasmesso dallo Spirito e costruire una “nicchia ecologica” in cui questo carisma possa essere vissuto e possa svilupparsi bene. Vuol dire collaborare alla costruzione di un’“identità carismatica” (compito proprio del soggetto della formazione, ossia dello stesso formando).

Nel mio caso, osserva p. Luis, devo fare in modo che i novizi pensino, sentano e agiscano come marianisti; e ciò in un clima di discernimento che aiuti i formandi a riconoscere se hanno questo carisma.

Chi è il marianista oggi? Come riconoscere con chiarezza i tratti essenziali della “cultura marianista”? Come separare l’accidentale dall’essenziale? Che cos’è il “messaggio” e che cosa il suo “rivestimento”? Quanto deve essere oggi purificato dagli elementi aggiunti dalla tradizione, ma che non costituiscono il nucleo del carisma? Quante sono le forme che, nel mio caso, sono proprie della “cultura spagnola e/o francese…” anziché dell’intuizione originale del fondatore?

Ho scoperto che tutto questo richiede da me un ampio, profondo, e a volte doloroso processo di purificazione personale. Io stesso devo purificarmi di questi elementi “tradizionali” che, in molti casi, sono stati anche per me “sacri”, significativi, ricchi… ma che in realtà non fanno parte dell’essenziale di ciò che è “marianista”.

A me spetta cercare di trasmettere il “nucleo” di ciò che è marianista, affinché cresca e fiorisca in un’altra cultura (quella che portano e vivono i giovani di oggi…). La mia purificazione è indispensabile per poter essere uno strumento trasparente dello Spirito (il più possibile).

Questo mi ha portato anche a una maggiore semplicità, a relativizzare molte cose, a servirmi di meno formule e di più convinzioni, ad andare all’essenziale.

Posso fermarmi qui, conclude p. Luis. Questa è un’esperienza e ha il valore e i limiti di ogni esperienza. La condivido con gioia e con la convinzione che mettendo in comune le nostre esperienze e pratiche quotidiane costruiamo il regno di Dio.

 

1 A. Casala L., El formador, un líder para los formandos, in Testimonio 214 (2006)118-123.