LA RICERCA

SUGLI EMBRIONI UMANI

 

La recente votazione del Parlamento europeo riguardante la ricerca sugli embrioni umani ha suscitato una reazione quanto mai negativa negli ambienti cattolici e non solo. Interprete di queste reazioni, fra i tanti, è stato ancora una volta mons. Elio Sgreccia, presidente della pontificia Accademia per la Vita, in un commento apparso su l’Osservatore Romano del 18 giugno scorso.

 

«Il fatto nuovo è ormai noto e ne hanno dato notizia con rilievo tutti i giornali e i notiziari della radio e della televisione:

il 15 giugno il Parlamento europeo ha votato sul Programma strutturale sulla ricerca e ha chiesto il finanziamento della Unione Europea sugli embrioni umani e anche sulle cellule staminali provenienti dagli embrioni. La votazione ha ottenuto la maggioranza dei voti (284 voti a favore 249 contrari e 32 astensioni).

Salvo migliori approfondimenti e tenendo conto delle precedenti votazioni dello stesso Parlamento nella medesima seduta, rimarrebbe il divieto della sperimentazione finalizzata alla donazione (riproduttiva), delle sperimentazioni su cellule della linea germinale con il rischio di modificare il patrimonio delle generazioni future e quelle dirette allo stoccaggio per l’approvvigionamento di cellule staminali. L’art. 18 della Convenzione di Oviedo pone infatti il divieto alla creazione di embrioni al solo scopo di ricerca.

Pertanto, se abbiamo bene interpretato la documentazione accessibile, sarebbero utilizzabili solo le cellule degli embrioni soprannumerari destinati alla distruzione (non si capisce bene se utilizzabili prima e dopo il congelamento). Anche con queste limitazioni la decisione rimane grave dal punto di vista etico, anche in relazione all’etica razionale.

La Commissione europea dei vescovi cattolici a nome di tutti i vescovi dei paesi dell’Unione hanno immediatamente denunciato il fatto rilevando che: «molte persone sono preoccupate per la strumentalizzazione della vita umana da parte della ricerca e per il suo utilizzo come pura materia», e aggiungono opportunamente che «scientificamente non c’è motivo per fare una distinzione morale tra un embrione all’inizio della sua vita e dopo l’impianto in utero o dopo 14 giorni. La vita umana non dipende e non deve essere resa dipendente dalle decisioni di altri esseri umani».

Sono stati oltrepassati dei principi cardine che hanno fin qui regolato la ricerca: a) il principio che fa divieto di far prevalere gli interessi della ricerca sul rispetto della vita umana e b) l’altro principio che fa divieto di sperimentare su esseri che non possono dare il consenso, per i quali è giustificata soltanto la ricerca sperimentale. che arrecherà prevedibile beneficio per il soggetto stesso sottoposto alla ricerca.

Questi due principi sono presenti in documenti specifici di carattere internazionale quali il Codice di Norimberga, il Codice di Helsinki in tutte le sue versioni, i codici deontologici medici fino alla ultima dichiarazione dell’UNESCO del 2005 che nell’art. 6 I prescrive «La ricerca scientifica deve essere praticata soltanto con il previo, libero, esplicito consenso informato della persona sottoposta» (art. 6, b) e a proposito delle persone che non possono acconsentire si dice (art. 7, b): «la ricerca deve essere praticata soltanto per il beneficio di colui/colei che è sottoposto alla sperimentazione».

È ovvio che chi intende giustificare la prevaricazione su questi principi razionalmente fondati e sanciti fa richiamo al presupposto della non riconosciuta identità umana, pienamente umana dell’embrione creato con i gameti umani.

Questa teoria, anche quando è sostenuta da ricercatori per altri fatti rispettabili, si sa bene che fu proposta fin dall’inizio (relazione del Comitato Wamock del 1984) come una «decisione» presa per comporre «pubbliche ansietà», dopo l’ammissione che desidero riportare a buona memoria: «una volta che il processo di sviluppo (dell’embrione) è iniziato non c’è stadio particolare dello stesso che sia più importante di un altro: tutti sono parte di un processo continuo ... Perciò da un punto di vista biologico, non si può identificare un singolo stadio di sviluppo dell’embrione al di là del quale l’embrione in vitro non dovrebbe essere mantenuto in vita» (Report of the Committee of Human Fertilization and Embriology, cap. 17, pag. 2).

Le ragioni della validità delle distinzioni nominali quali «pro-embrione», «preembrione» o anche «ootide, «prezigote» ecc.; non sono state mai date in modo tale da essere confortate da motivi validi sul piano biologico e ancor meno sul piano antropologico e soprattutto etico.

Non è soltanto la Chiesa cattolica che rimane inascoltata su questo punto: è la ragione umana che viene mortificata.

Lo stesso interesse della ricerca scientifica pare obliterato dal momento che la ricerca sulle cellule staminali ha dato segnali di successo nell’ambito delle cellule staminali somatiche, come ormai è noto e comprovato, laddove non c’è alcun danno per il soggetto.

Allora tristemente sembra che la spinta prevaricante venga da una volontà guidata da ideologie e da interessi economici.

C’è da augurarsi che questa irruzione della «bad science» sia riformabile in altre istanze e sedi decisionali data anche la lieve maggioranza su cui è stata presa la decisione.

Per la coscienza cattolica esiste l’appello del santo padre che a chiusura dell’ultima assemblea della pontificia Accademia per la vita ha detto: «All’uomo, infatti, è donata una altissima dignità, che ha le sue radici nell’intimo legame che lo unisce al suo Creatore: nell’uomo, in ogni uomo, in qualunque stadio o condizione della salute, risplende un riflesso della stessa realtà di Dio. Per questo il magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla sua fine naturale» (cf. Evangelium vitae, 57).

Ci rimane ancora un’incertezza su quale possa essere stata la posizione dei parlamentari italiani in seno all’Assemblea, dato l’esito del referendum sulla legge 40 che fa divieto dell’uso/abuso dell’embrione umano e quale possa essere l’atteggiamento quando il deliberato del Parlamento dovrà passare al Consiglio Europeo, ove l’attuale governo italiano ha ritrattato tale divieto sancito dal referendum».