I MISSIONARI DELLA CONSOLATA.

NUOVA TAPPA CON NUOVO ENTUSIASMO

 

Ispirandosi all’ultimo capitolo generale, i missionari della Consolata si propongono di ripartire con nuovo entusiasmo e nuova creatività e vivere come fratelli in comunità sempre più multietniche e pluriculturali. Un cammino entro un programma che va dal 2005 al 2011.

 

«Da poco tempo è iniziato il nuovo millennio. Anche noi abbiano cominciato un nuovo centenario, un nuovo sessennio, una nuova tappa… Ma lo Spirito è sempre lo stesso, quello del Padre, che ci chiede di dare un nuovo impulso al nostro istituto». L’istituto di cui si parla è quello della Consolata. Come scrive il superiore generale, p. Aquiléo Fiorentini, nel bollettino del marzo scorso, il nuovo impulso che lo Spirito chiede trae ispirazione dall’XI Capitolo generale e riguarda sia la figura del missionario, sia la stessa missione ad gentes e si colloca entro i parametri di una programmazione che si estende dal 2005 al 2011.

L’istituto oggi, scrive il padre, è un albero secolare ormai ben stagionato, «è nelle nostre mani»: «A ognuno di noi il compito di continuare a curarlo e farlo fruttificare il cento per cento… Le sfide non mancano. Sappiamo che la missione stessa è una sfida costante al nostro essere e al nostro operare». Il padre perciò sottolinea: «Siamo chiamati ad agire di conseguenza».

 

RIVIVERE I VALORI

CON NUOVA CREATIVITÀ

 

La prima di queste sfide riguarda l’impegno a ripartire dai valori assodati per stimolare una nuova creatività, lasciando che Cristo risorto parli co­me un giorno ai due discepoli di Emmaus lungo la via. «Siamo dispensatori dei misteri di Dio, scrive p. Fiorentini. Nelle nostre mani sono stati depositati tanti doni preziosi da essere portati fino agli ultimi confini della terra per il bene e la salvezza di tutti. Ecco la necessità di uscire da noi stessi, dai nostri paesi, per tutta la vita, ed essere là dove il Signore della messe ci vuole…

La certezza che il Risorto è tra noi ci sprona, come i discepoli di Emmaus, a ripartire per una nuova tappa, sia come istituto, sia come comunità e sia personalmente. Ripartire con un nuovo entusiasmo, con una nuova creatività per raggiungere la santità di vita, vivendo come fratelli in comunità sempre più multietniche e pluriculturali, unendo le nostre forze con le missionarie della Consolata e con altri collaboratori, nei nuovi areopaghi, valorizzando sempre più i mezzi di comunicazione sociale, anche i più moderni, che sono a nostra disposizione per realizzare con efficacia la missione».

«Ognuno, prosegue il padre, riscopra le risorse che possiede e ne faccia dono agli altri. Lo scambio dei doni è la caratteristica della vita missionaria, nel suo andare e ritornare. Chi di noi non li possiede?

Sono tanti e vengono da Dio. Come Paolo anche noi possiamo dire: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13). Tutto! Tanti avvenimenti del passato e del presente della nostra storia missionaria ne danno testimonianza. Facciamo tante belle cose nel mondo, nella Chiesa, nell’istituto. Ma dobbiamo ammettere che la forza non viene da noi, dalle nostre qualifiche o abilità naturali o intellettuali, ma da lui che ci ha chiamati e impegnati a lavorare nella sua vigna. “Tutto posso…”; a Dio niente è impossibile… Tutto è possibile per chi crede… “Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente d noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti alla Nuova Alleanza” (2 Cor 3,5-6)».

 

Di fronte alle nuove sfide che si pongono, prosegue p. Fiorentini, «come i discepoli di Emmaus, anche noi possiamo essere tentati di ritornare alla vita che conducevamo prima di incontrare il Signore. E molte volte ci allontaniamo dalla “nostra” Gerusalemme».

Una di queste sfide riguarda il rinnovamento. Si tratta di rispondere oggi al Signore che ci chiama: «Puntualmente lui si avvicina a noi e come ad Adamo ci rivolge la domanda: “Dove sei?” (Gen 3,9). In ogni tempo Dio interpella l’uomo con domande simili a queste: “Dove sei nel tuo mondo? I giorni e gli anni a te assegnati sono già forse trascorsi in abbondanza: a quale tappa sei arrivato nella tua vita? Dove ti trovi?”. Dio ci vuole provocare. Dobbiamo lasciarci provocare e dobbiamo permettere che le sue domande colpiscano il nostro cuore».

La Bibbia ci narra che Adamo si nascose per non rendere conto della propria vita, per sfuggire alle sue responsabilità. «Così, commenta il padre, si nasconde ogni uomo, ogni “Adamo” che si trova nella sua stessa situazione. Ciò potrebbe succedere anche a noi, se sfuggiamo alla responsabilità e ci nascondiamo. Così la nostra vita personale diventa sempre più problematica. È facile soffocare la voce di Dio. Se questo avviene, la vita dell’uomo non è più cammino. Si cammina solo se si ascolta la sua voce, e se come Adamo – riconosciamo di essere caduti e confessiamo – “mi sono nascosto”».

 

UN RINNOVAMENTO

A PIÙ DIMENSIONI

 

Se si vuole iniziare il cammino, bisogna allora avere il coraggio di porsi alcuni interrogativi: «Dove siamo noi? Non solo nella nostra vita personale, ma anche in quella dell’istituto, nella realizzazione dei suoi progetti… dove siamo? Egli può sorprenderci con il soffio del suo Spirito, rafforzandoci nei valori già vissuti o nelle novità delle ispirazioni divine. Egli ci chiama a dare delle risposte. Solo chi è aperto all’ascolto, pronto al discernimento, potrà percepire la sua chiama a una vita nuova.

Il rinnovamento a cui l’istituto oggi è chiamato, secondo le indicazioni dell’ultimo capitolo, sottolinea p. Fiorentini, abbraccia varie dimensioni: la propria persona, la propria comunità, la missione e il campo delle attività.

In primo luogo la persona che rappresenta il «primo bene» dell’istituto e quindi «deve essere oggetto di una particolare attenzione affinché il suo processo di crescita e di rinnovamento non cessi mai».

In effetti, «uno può trovarsi sulla via di Emmaus, mentre si allontana da Gerusalemme, perché deluso dalle tante promesse ricevute che non si sono mai realizzate. Cerca allora risposte altrove e non nella fede». Occorre incominciare da se stessi: «La nostra persona, per svolgere la missione che il Signore ci ha affidato, deve funzionare in modo ottimale in tutte le sue dimensioni: fisica, affettiva, psicologica, spirituale, carismatica istituzionale. Zone d’ombra possono far capolino dentro di noi in alcune di queste aree, in qualsiasi fase della nostra vita e farci sentire a disagio». Ma «se incontriamo Gesù Risorto – che un giorno ci ha conquistato con il suo amore – sapremo fare ritorno, gioiosi, a Gerusalemme per essere rinfrancati della testimonianza della comunità, per ritrovare ispirazione nel carisma vivo e perenne del fondatore e ripartire trasformati per la missione».

Il secondo ambito di rinnovamento riguarda la comunità che in fondatore Giuseppe Allamano volle che fosse come una vera famiglia. «Vivendo e lavorando in spirito di comunione, commenta p. Fiorentini, anche noi saremo in grado di attuare la vita trinitaria nella quotidianità del nostro vivere comunitario».

Ma come fare per riuscire a vivere questo spirito con sempre maggiore profondità?

Quattro sono le proposte che il padre propone: «Giungere, entro pochi anni, ad avere almeno tre missionari per comunità; affrontare le sfide che ci vengono dalla realtà multietnica e multiculturale delle nostre comunità, vivendole come una ricchezza e come un segno profetico del Regno che siamo chiamati ad annunciare; lavorare in comunione con le missionarie della Consolata, con i laici missionari della Consolata e con la gente; attrarre con la testimonianza della nostra comunione tante presone che desiderano, come noi, donare la vita per la missione».

Il terzo ambito da prendere in considerazione riguarda la missione.

Secondo il padre sono tre settori fondamentali di cui è necessario riappropriarsi: ad gentes, per tutta la vita, tra i poveri. «Ognuno, commenta, è chiamato a dire nel suo intimo: “questo è per me, questo mi tocca personalmente!”. Solo partendo da questo atto di fede, il missionario sarà in grado di vivere e testimoniare una vita povera, in strutture semplici, condividendo con gli altri quello che possiede. È il passaggio obbligatorio che permette di realizzare poi l’annunzio».

 

L’ATTENZIONE

AI POVERI

 

L’attenzione ai poveri rappresenta un aspetto essenziale della missione. Non solo per suscitare entusiasmo tra i giovani e indurli ad abbandonare i falsi ideali e a donare la loro vita al Signore, ma anche per trovare nuovo coraggio e fiducia per vivere in pienezza la vocazione missionaria. D’altronde, osserva p. Fiorentini, è Cristo a spingerci in questa direzione: «è lui a formarci, a rinnovarci e spingerci nelle periferie del mondo, dove troviamo gli emarginati, i senza speranza e senza Dio che invocano la nostra “consolazione”. E lui ci darà pure l’ottimismo, l’entusiasmo, la fiducia e la gioia per vivere in pienezza la nostra vocazione e la nostra missione. Come ha fatto ai discepoli di Emmaus dopo che lo avevano incontrato Risorto nella spezzare del pane».

Bisogna allora avere il coraggio di ridimensionare, scrive il padre, e di vivere e operare in modo nuovo. Non ci potrà infatti essere rinnovamento e riqualificazione senza il ridimensionamento delle attività e delle opere. Per ovvie ragioni: «Tutti siamo a conoscenza della mole di attività affidate all’istituto nei quattro continenti dove operiamo. Sono troppe le attività a cui dobbiamo rispondere con un numero sempre troppo esiguo di missionari. Sono troppe anche per il modo con cui le portiamo avanti, per i tanti condizionamenti dell’età delle persone, o di malattie psico-fisiche, o di mancanza della necessaria riqualificazione».

Davanti a una situazione del genere, cosa fare? Il padre risponde: «Mettiamoci in ascolto di Gesù che ci dice: “Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto” (Mc 1,38). Potrebbe essere questo il suo richiamo per noi oggi, poiché senza dubbio tanti, che non hanno ancora avuto l’annuncio del Vangelo, ci stanno aspettando…».

È necessario inoltre operare in modo nuovo sulla linea dell’amore, il comandamento “nuovo” che Gesù ci ha lasciato. Infatti, «vivendo l’amore noi impariamo a vivere in maniera nuova la vocazione, la consacrazione e la missione.

Rientrano in questo “modo nuovo” i seguenti atteggiamenti: vivere in fraternità-comunione, in uno spirito di famiglia, tradotto in corresponsabilità e rispetto della sussidiarietà; testimoniare, anche nelle situazioni più difficili e di fronte alla cultura dominante del potere e dell’avere, che è possibile una vita evangelica alternativa; comunicare a tutto l’istituto le meraviglie che il Signore compie tramite i suoi membri; essere persone di speranza e attive anche nelle situazioni più difficili; condividere con i poveri i beni che il Signore mette nelle nostre mani; camminare con lo sguardo rivolto al futuro, con la sicurezza nel cuore che ci permette di essere perseveranti, flessibili, accoglienti del nuovo e del meglio.

«Gesù, conclude p. Fiorentini, dopo aver camminato con i discepoli di Emmaus per tutta la giornata, “entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero” (Lc 24,30-31). E divennero testimoni della risurrezione del Signore nella comunità apostolica, prima, e poi tra il popolo».

E conclude: «Anche con noi cammina il Risorto, nelle nostre comunità sempre più internazionali e multiculturali, con membri sempre più diversi per età, origine, formazione, preparazione e competenza. Ci accompagna mentre operiamo in modo sempre più globalizzato, in continua trasformazione e diviso. A noi il compito di vivere e operare in maniera fraterna, donando all’altro la propria ricchezza, dovunque ci troviamo a servire la missione».

La lettera del direttivo generale si ferma qui, ma deve essere letta nel discorso più ampio della programmazione 2005-2011, in vista della qualificazione e il rinnovamento del missionario. L’attenzione viene quindi attirata sull’importanza della formazione sia iniziale sia permanente, della comunione di vita in comunità multiculturali umane e fraterne e del rinnovato ardore nella missione. Tutto questo avvalorato da un insieme di proposte operative intese a favorire il raggiungimento degli ideali previsti.