I DEHONIANI E LA MISSIONE AD GENTES
UN COMPITO NON SOLO DI ALCUNI
Il tema posto al
centro della VII Conferenza generale che ha avuto luogo lo scorso maggio a
Varsavia. Le grandi linee contenute negli “Orientamenti” finali, destinate a
ispirare la preparazione e lo svolgimento del prossimo capitolo generale nel
2009.
La congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore
(dehoniani), pur non essendo un istituto esclusivamente orientato alla missione
ad gentes, in questi ultimi decenni, ha posto nuovamente l’impegno missionario
tra le sue priorità privilegiate.
Oggi, tuttavia, la missione si pone con nuove esigenze.
Richiede una maggiore coesione e corresponsabilità sul piano interprovinciale,
come anche una migliore ridistribuzione delle risorse sia economiche sia di
personale, oltre che una preparazione specifica.
Questo argomento occuperà un posto centrale nel prossimo
capitolo generale previsto per il 2009. In vista di questa importante tappa, si
è tenuta a Varsavia, dal 16 al 24 maggio scorso, la VII Conferenza Generale1
con la partecipazione di circa 90 membri provenienti da varie parti del mondo.
Come è ben precisato negli Orientamenti finali, scopo principale della
Conferenza era di interrogarsi e riflettere «sul significato e l’impegno del
nostro essere “missione ad gentes”».
L’impegno missionario, per sua caratteristica, non
prescinde mai da una attenta lettura delle macro tendenze demografiche,
economiche e politiche che si dipanano su scala mondiale. Da quanto emerge in
qualificati studi scientifici,2 nei prossimi venti anni la popolazione mondiale
passerà a circa 8 miliardi di individui. Il maggior innalzamento dell’età media
si avvertirà nei paesi ricchi come l’Unione Europea e gli Stati Uniti, ma la
maggior concentrazione demografica presumibilmente si registrerà in Cina e in
India (che potrebbero costituire insieme il 40% della popolazione mondiale). È
quindi nel continente asiatico che si prevede uno sviluppo sia demografico che
economico ed è verso questo continente che guarda oggi la missione ad gentes.
Secondo gli analisti, la rapida crescita economica in Cina e India causerà un
pesante divario tra le popolazioni più povere del pianeta (nello specifico:
area sub-sahariana della Africa, America Latina, Isole del Pacifico e vasta
porzione dello stesso continente asiatico) e i paesi tecnologicamente più
avanzati.
MODELLATI
PER LA MISSIONE
Se la missione ad gentes è parte integrante ed espressione
qualificata del carisma, ne deriva, come ha affermato il superiore generale, p.
José Ornelas Carvalho, a conclusione della conferenza di Varsavia, che
«l’apertura universale alla missione non può essere solo di alcuni, ma deve far
parte della vocazione di ogni dehoniano». Ogni membro dell’istituto dovrebbe
cioè avere un’innata disponibilità e apertura di cuore a ogni tipologia di
missione, indipendentemente da dove essa provenga. In effetti, «anche se non
tutti sono chiamati a lavorare concretamente fuori del proprio paese, a tutti è
chiesto di non ridurre la propria missione all’esecuzione di “servizi
religiosi” a coloro che già frequentano le nostre chiese e di fare della
propria consacrazione una testimonianza e un annunzio di Cristo alla nostra
società».
Ma l’impegno missionario oggi non si improvvisa. Richiede
una formazione specifica dal punto di vista teologico e culturale, e ha bisogno
di persone credibili e allenate alla vita interiore: è la società futura che lo
pretende, è il carisma dehoniano che lo ispira. Per questo, la Conferenza ha
cercato di tracciare un ritratto ideale del missionario dehoniano,
sottolineando alcuni aspetti: «Il missionario dehoniano è una persona che ha
fatto esperienza del Dio Amore e a questo Amore risponde con tutto il suo
cuore; è obbediente alla volontà di Dio (Ecce venio), vive la contemplazione,
celebra la Parola e l’Eucaristia, alimenta la sua fede, cresce nell’amore; vive
la missione come opera della comunità e sente la comunione fraterna come
missione (Sint unum); ama la chiesa locale e ne accompagna il cammino,
privilegiando la formazione e costruzione di comunità vive e aperte alla
testimonianza; è capace di incarnazione, di solidale inculturazione, una
persona ricca di compassione, al servizio della riconciliazione, esperta nel
dialogo col mondo, le religioni, le culture (Adveniat regnum tuum); prende
parte alle sofferenze del mondo, specialmente dei più poveri, sa camminare con
loro incarnando l’insegnamento della dottrina sociale della chiesa, vive l’esodo
(da sé e dalla sua cultura) per portare autentica libertà (Riparazione); vive
la missione come una dimensione della sua vita, che coinvolge tutta la sua
persona e le sue attività: nei servizi interni alla congregazione, nella
missione ad extra, in qualsiasi parte del mondo si trovi, anche quando prosegue
la sua missione nel tempo di anzianità, fragilità o malattia (Oblazione)».
In questo inizio del terzo millennio, lo spirito
missionario non può appoggiarsi solo sulla pur encomiabile generosità e sulla
fede del singolo religioso. Senza una seria preparazione, la stessa presenza
missionaria rischia di divenire insignificante, se non dannosa e
controproducente. Su questo aspetto gli Orientamenti sono molto determinati: è
necessario, scrivono, un adeguato training ed è urgente costruire itinerari
educativi ad hoc, a partire dalle giovani generazioni, attraverso una
formazione iniziale, specifica e permanente.
“DARE
DALLA NOSTRA POVERTÀ”
In questa prospettiva sono emerse interessanti e concrete
proposte: «presentare la dimensione della missione ad gentes fin dalla
pastorale vocazionale; garantire che durante il tempo degli studi ci sia una
esposizione sistematica della missiologia, tenere i giovani in formazione in
stretto contatto con la realtà missionaria (missionari, esperienze, riviste
missionarie) e con la realtà della povertà del mondo, educando al servizio dei
poveri anche con esperienze concrete; curare uno stile di vita sobrio e di
condivisione e insegnare una corretta gestione dei beni; richiedere la
conoscenza di una seconda lingua prima della conclusione della formazione
iniziale, favorendo esperienze sufficientemente prolungate in comunità
dehoniane di un altro paese e la possibilità di un periodo di stage
missionario».
Oltre che sulla formazione, è stato posto l’accento su
altri tre aspetti che concernono l’attuale quadro globale della vita
missionaria della congregazione: l’animazione e il coordinamento missionario,
il rapporto con i laici, il sostegno economico.
Padre Dehon nel suo impegno sociale aveva sempre
stimolato la Chiesa i suoi religiosi ad “uscire dalle sacrestie”. Il medesimo
imperativo risuona a proposito dell’animazione e coordinamento missionario. Nei
paesi di lunga tradizione cristiana, ciò si traduce, ad esempio, nel far respirare
l’universalità missionaria alle parrocchie e gruppi di laici, mediante il
contatto diretto con i religiosi di ritorno dalla loro esperienza missionaria.
Sul fronte più interno, invece, si tratta di
intraprendere con più vigore la “globalizzazione della solidarietà” intesa come
comunione di persone e condivisione delle risorse materiali ed economiche.
Più specificamente, gli Orientamenti spronano i singoli
religiosi a rendersi disponibili oltre i propri confini, in un orizzonte più
internazionale, sulla strada di una più intensa collaborazione con altre
congregazioni e diocesi (cosa che, del resto, si sta già facendo). Perciò la
Conferenza propone di «promuovere e valorizzare comunità internazionali (anche
di area geo-culturale) favorendo lo scambio fin dalle tappe della formazione
iniziale, dopo il noviziato; sollecitare lo scambio di personale anche per
servizi specifici ad tempus; continuare la riflessione sulle strutture adatte
ad accompagnare e gestire le nuove iniziative missionarie e le situazioni di
internazionalità crescente».
Anche il problema del sostegno economico rappresenta un
capitolo non secondario nell’impegno missionario. In linea di principio, pur
contando sullo spirito evangelico della condivisione dei beni, ogni missione
dovrebbe giungere ad autosostenersi in loco «evitando l’eccessiva dipendenza
dall’aiuto esterno». In aggiunta, gli Orientamenti evidenziano l’importanza di
«contestare il materialismo e assumere lo stile della cassa comune; investire
nella formazione degli economi; predisporre analisi economiche che sappiano
individuare e valorizzare le possibili risorse locali; fare una corretta
pianificazione di preventivi e bilanci con l’aiuto di laici competenti;
promuovere progetti sociali sostenibili, sponsorizzazare attività mirate,
alimentare il contatto con i benefattori».
LAICI E RELIGIOSI
DA FRATELLI E SORELLE
Nel solco del Vaticano II, la congregazione dehoniana da
anni ha aperto un cantiere di riflessione e progettazione con laici e
consacrati che condividono lo stesso carisma. Si è andata così costituendo la
famiglia dehoniana che raggruppa diverse anime (laici, religiosi, consacrati)
accomunate nel riconoscimento del medesimo fondatore. Così i laici sono stati
da sempre accolti come fratelli e sorelle «chiamati – come ha sottolineato lo
stesso p. generale – a condividere la spiritualità e il servizio del regno di
Dio».
Ma sono stati gli stessi laici in missione che hanno
chiesto ai religiosi di accompagnarli e sostenerli a partire dalla spiritualità
dehoniana. Accoglierli, valorizzarli, ricercare forme di reciprocità
rappresenta da qui in avanti un’indiscussa priorità del governo generale.
La parte finale degli Orientamenti ne chiarifica il
rapporto: «concretamente, per i dehoniani si tratta di promuovere iniziative in
cui i laici siano protagonisti nell’evangelizzazione e nella promozione umana,
offrendo loro la possibilità di condividere la nostra azione missionaria,
aprendoci anche ad accogliere volontari dall’estero, per tempi più o meno
prolungati. Riconosciamo che i laici arricchiscono la spiritualità dehoniana
con il loro apporto specifico e la loro autonomia; assicuriamo ai laici
missionari che desiderano affiancarsi alle comunità dehoniane, una conoscenza
della spiritualità dehoniana, un sostegno spirituale, l’introduzione nella
nuova realtà culturale ed ecclesiale; chiediamo ai laici che condividono la
nostra missione maturità umana, serietà professionale, fede cristiana vissuta,
atteggiamenti di rispetto, dialogo e capacità di lavorare assieme;valorizziamo
anche forme di collaborazione con organismi o associazioni laicali che si
dedicano al servizio dei più poveri; garantiamo un’adeguata “copertura sociale”
ai laici che, venendo da altri paesi, operano come volontari nelle nostre
comunità missionarie per un tempo prolungato o in vista di un impegno
definitivo.
La Conferenza ha rappresentato un salutare
incoraggiamento al rilancio dell’impegno missionario della congregazione. Se la
missione ad gentes s’impone a tutti, i dehoniani, assieme ad altre
congregazioni, intendono essere credibili promotori di quel rinnovato slancio e
ardore missionario, auspicato, come si ricorderà, da Giovanni Paolo II, e dallo
stesso papa Benedetto XVI, in una Chiesa invitata ad andare al largo a gettare
le reti.
1 Cf. Dall’Osto A., In cammino verso la gente,
2 Interessanti studi sono riportati in: www. dehon.it.