MESSAGGIO DEL PAPA SULLE CAUSE DEI SANTI
SANTI, BEATI E LE TANTE “CAUSE”
Un recente messaggio
del papa Benedetto XVI può “rinfrescare” le comuni nozioni circa l’itinerario
giuridico/ecclesiale che conduce un/a testimone della fede in Cristo all’onore
degli altari.
Quale tipo di “odio” del persecutore porterà, per
esempio, il Servo di Dio Rolando Rivi, per la cui beatificazione e
canonizzazione è iniziata solennemente ed è in corso presso il tribunale
diocesano di Modena la relativa causa, all’onore degli altari? Il vero e
proprio odium fidei per cui egli è un martire in senso stretto, coronando la
fama di santità di cui la memoria del ragazzo Rolando gode tuttora nel popolo
cristiano? O la cieca avversione per la parte politica che ai suoi persecutori
quella veste di un innocente seminarista pareva forse rappresentare, oscurando
così l’odium fidei, in quel 13 aprile 1945 in cui essi lo torturarono senza
pietà e lo uccisero mentre serenamente pregava?
Tali domande possono sorgere, in relazione al luminoso
esempio di Rolando come ai tanti altri simili nella recente e nella stessa
odierna vita della Chiesa – dall’arcivescovo Oscar A. Romero a don Andrea
Santoro – nel leggere il messaggio che il papa Benedetto XVI ha indirizzato al
cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le cause dei
santi, in occasione della sessione plenaria tenuta da quel dicastero il 27
aprile 2006. Il martirio, infatti, è uno degli elementi che talora qualificano
le figure di candidati/e a una causa di beatificazione e canonizzazione ed
esige un discernimento accurato e non di rado, per la sua problematicità, fonte
di lungo e sofferto disagio come dimostrano oggi non poche biografie.
Il messaggio è rivolto esclusivamente agli “addetti ai
lavori”; ma il suo contenuto può essere conosciuto da tutti i cattolici, e tra
di essi in particolare da religiosi e religiose. Non solo, infatti, con tutti i
fedeli riconosciamo nei santi e nelle sante – come dice il pontefice citando la
prima enciclica da lui firmata, Deus caritas est – «i veri portatori di luce
all’interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di
amore»; ma pure possiamo talvolta essere chiamati a dare responsabilmente
testimonianza riguardo a testimoni della fede ritenuti meritevoli di una causa
di beatificazione e canonizzazione.
NELLA CHIESA
“CAUSE MAGGIORI”
La materia è di una così alta nobiltà, dice papa
Ratzinger, da far considerare quelle dei santi “cause maggiori” fra le tante di
cui i vertici della gerarchia ecclesiale vengono di volta in volta chiamati a
occuparsi per il bene spirituale dei fedeli. Ed è per questo motivo che, a
partire dalla istituzione della Sacra congregazione dei Riti voluta nel 1588
dal papa Sisto V (1520-1590), lungo i secoli successivi i pontefici se ne sono
occupati con provvedimenti normativi speciali: dalla legislazione prodotta da
Urbano VIII(1568-1644) al Codice di diritto canonico del 1917; dalle norme emanate
da Pio IX circa le cause antiche al motu proprio Sanctitas clarior e alla
costituzione apostolica Sacra rituum congregatio di Paolo VI; e d’obbligo
passando, afferma il messaggio del papa, per il grande apporto dato in questa
materia da colui che è «giustamente considerato “il maestro” delle cause dei
santi», Benedetto XIV (il celebre papa Lambertini, 1675-1758).
Né l’attenzione dei pontefici si è in seguito attenuata,
poiché nei nostri giorni abbiamo avuto da Giovanni Paolo II la costituzione
apostolica Divinus perfectionis Magister (1983) cui fecero seguito nello stesso
anno le Normae servandae in inquisitionibus ab Episcopis faciendis in causis
sanctorum.
Ma non è finita, con i documenti. Infatti l’esperienza di
oltre vent’anni da quelli emanati da papa Wojtyla ha suggerito all’attuale
Congregazione di predisporre una Istruzione per lo svolgimento dell’inchiesta
diocesana nelle Cause dei Santi, intesa a ravvivare e rafforzare il tipo di
cura e diligenza oggi necessario alle «procedure che conducono i servi di Dio
agli onori degli altari». Lo stesso predecessore di papa Benedetto, Giovanni
Paolo II, affermava al riguardo: «Ci è sembrato molto opportuno rivedere ancora
la procedura nell’istruzione delle Cause, e riordinare la stessa Congregazione
per le Cause dei santi in modo da andare incontro alle esigenze degli studiosi
e ai desideri dei nostri fratelli nell’episcopato, i quali più volte hanno
sollecitato una maggiore agilità di procedura, conservata però la solidità
delle ricerche in un affare di tanta importanza».
LA FAMA
DI SANTITÀ
Nella Plenaria della Congregazione per le cause dei santi
il 27 aprile 2006, il primo punto all’ordine del giorno era costituito proprio
dal suo stesso ultimo documento, la citata Istruzione per lo svolgimento delle
Cause dei santi.
Benedetto XVI sottolinea nel suo messaggio il fatto che
essa «si rivolge prevalentemente ai vescovi diocesani», ai quali in primo luogo
incombe la responsabilità di vigilare affinché la serietà delle «investigazioni
che si svolgono nelle inchieste diocesane sulle virtù dei Servi di Dio, come
sui casi di asserito martirio o sugli eventuali miracoli», sia assoluta,
garantita dalla fedele applicazione delle Normae servandae più sopra citate e
tuttora in vigore; e ciò a partire dal primo passo, ossia dalla decisione, che
i pastori diocesani devono prendere personalmente davanti a Dio, di istruire le
cause realmente meritevoli di essere iniziate.
Ma che cosa i vescovi devono valutare riguardo ai
candidati proposti all’avvìo di una causa?
Alla base di tutto la fama di santità, ossia la comune
opinione, fondata su asserzione di testimoni de visu o ex auditu che il
candidato o la candidata ha posseduto la pienezza della bontà e integrità
morale cristiana. Tale fama dev’essere diffusa e crescente nel tempo, sorta
spontaneamente dal sensus fidei dei credenti e non procurata con alcun
artificio; durevole al presente nella maggior parte del popolo quale
testimonianza della santità di Dio (“Siate santi perché io sono santo” Lv
11,44) che risplende in coloro che meritano di essere posti come luce sul
candelabro a illuminare tutti quelli che sono nella casa.
«È chiaro – conclude su questo punto il papa – che non si
potrà iniziare una causa di beatificazione e canonizzazione se manca una
comprovata fama di santità, anche se ci si trova in presenza di persone che si
sono distinte per coerenza evangelica e per particolari benemerenze ecclesiali
e sociali».
L’ESAME
DEI MIRACOLI
Altro tema allo studio della Plenaria è stato quello del miracolo
nelle cause dei santi. A tale proposito il messaggio del papa richiama non
soltanto il valore teologico-spirituale del miracolo in una causa specifica ma
pure i passaggi del discernimento necessario a suo riguardo, dovendo trattarsi
assolutamente di un miracolo fisico, nella medesima causa.
«È noto – vi leggiamo – che, fin dall’antichità, l’iter
per arrivare alla canonizzazione passa attraverso la prova delle virtù e dei
miracoli attribuiti alla intercessione del candidato agli onori degli altari. Oltre
a rassicurarci che il Servo di Dio vive in cielo in comunione con Dio, i
miracoli costituiscono la divina conferma del giudizio espresso dall’autorità
ecclesiastica sulla sua vita virtuosa».
Su tale premessa, veramente fondamentale, e consolante ai
fini della “bontà” della causa eventualmente in atto e della edificazione
spirituale dei fedeli, il papa tuttavia esprime il proprio auspicio che
l’argomento miracolo venga ulteriormente approfondito dalla Plenaria.
In che modo? «Alla luce della tradizione della Chiesa,
dell’odierna teologia e delle più accreditate acquisizioni della scienza. Non
va dimenticato che nell’esame degli asseriti eventi miracolosi confluisce la
competenza degli scienziati e dei teologi, sebbene la parola decisiva spetti
alla teologia, la sola in grado di dare del miracolo una interpretazione di
fede. Per questo nella procedura delle Cause dei santi si passa dalla
valutazione scientifica della Consulta medica o dei periti tecnici all’esame
teologico da parte dei Consultori e successivamente dei Cardinali e Vescovi. È
poi da tenere presente chiaramente che la prassi ininterrotta della Chiesa
stabilisce la necessità di un miracolo fisico, non bastando un miracolo
morale».
LA FAMA
MARTYRII
Nella trattazione di una causa di beatificazione e
canonizzazione, in forme ancor più problematiche si può presentare oggi la
componente martirio, ritenuto costantemente dono di Dio e persino vocazione
divina per il martire.
Il tema del martirio è al terzo punto all’ordine del
giorno nella citata Plenaria, e su di esso il papa introduce il proprio
pensiero ricordando che Giovanni Paolo II osservava come la Chiesa sia
diventata nuovamente Chiesa dei martiri, e perciò suggeriva che per quanto
possibile «le loro testimonianze non devono andare perdute» (TMA 37). Ma nello
stesso tempo – afferma Benedetto XVI – lo specifico discernimento in una causa
deve tener conto dei mutati contesti culturali del martirio.1
Riportiamo qui l’intero passo del messaggio, dove è
espresso chiaramente «il costante insegnamento della Chiesa»: «I martiri di
ieri e quelli del nostro tempo danno la vita (effusio sanguinis) liberamente e
consapevolmente, in un supremo atto di carità, per testimoniare la loro fedeltà
a Cristo, al Vangelo, alla Chiesa. Se il motivo che spinge al martirio resta
invariato, avendo in Cristo la fonte e il modello, sono invece mutati i
contesti culturali del martirio e le strategie “ex parte persecutoris”, che
sempre meno cerca di evidenziare in modo esplicito la sua avversione alla fede
cristiana o a un comportamento connesso con le virtù cristiane, ma simula
differenti ragioni, per esempio di natura politica o sociale. È certo
necessario reperire prove inconfutabili sulla disponibilità al martirio, come
effusione del sangue, e sulla sua accettazione da parte della vittima, ma è
altrettanto necessario che affiori direttamente o indirettamente, pur sempre in
modo moralmente certo, l’odium fidei del persecutore. Se difetta questo
elemento, non si avrà un vero martirio secondo la perenne dottrina teologica e
giuridica della Chiesa».
Indubbiamente non appare facile discernere con certezza
in una causa di beatificazione e canonizzazione l’accettazione da parte di una
vittima di versare il sangue a causa della fede in Cristo o dell’intenzione
ribadita davanti al persecutore di voler perseverare nella pratica della vita
cristiana, mentre ricordiamo quanto di frequente Giovanni Paolo II avesse
parlato di martiri della pace, della giustizia e indirettamente della fede o di
martiri della carità. Come abbiamo accennato all’inizio, gli esempi oggi si
moltiplicano, nello stesso tempo in cui di volta in volta ci sconvolgono e ci
edificano, sollecitandoci all’assoluta coerenza con il puro Vangelo che abbiamo
la grazia di professare.
Anche a tal fine concorre oggi la decisione di Benedetto
XVI – decisione presa per rispondere «a un diffuso auspicio» – di maggiormente
sottolineare nelle modalità celebrative «la differenza sostanziale tra la
beatificazione e la canonizzazione e che nei riti di beatificazione venissero
coinvolte più visibilmente le Chiese particolari, fermo restando che solo al
romano pontefice compete concedere il culto a un Servo di Dio».
Zelia Pani
1 Su tale argomento indichiamo, per riferirci soltanto a
contributi di questa nostra rivista, la discussione di cui al volume di MASSIMO
NARO, Martirio e vita cristiana, S.Sciascia ed., Caltanissetta-Roma 1997 (cf.