DOPO LE ELEZIONI DEL 2005

SPUNTA UN NUOVO BURUNDI

 

Dopo quarant’anni d’indipendenza finalmente un po’ di democrazia. Il governo emerso dalla campagna elettorale dello scorso anno gode del sostegno e anche della simpatia della popolazione, anche se i problemi non sono ancora tutti risolti. Il sostegno dei vescovi.

 

Ormai sembra fatta… Dalla fine di agosto 2005 il Burundi è amministrato da un governo democraticamente eletto. La lunga transizione è finita e ora il paese potrebbe e dovrebbe mettersi in marcia sotto la guida del presidente Pierre Nkurunziza. Sono ormai passati nove mesi dal ritorno alla democrazia e si può tentare qualche valutazione seppure provvisoria. Siamo ancora all’inizio di un cammino che è necessariamente in salita : dodici anni di guerra civile hanno ridotto il paese in macerie e hanno scavato profondi fossati tra la popolazione. Non tutti sono contenti della nuova situazione: coloro che speculavano sulla guerra, sugli aiuti umanitari, sul commercio delle armi, sulla presenza dei militari dell’ONU vedono questa alba di pace come la fine dei loro interessi. Questo spiega le voci, e forse più che le voci, di un colpo di stato che in febbraio 2006 sarebbe stato prevenuto. Ma a sette mesi di distanza si vedono anche i passi avanti fatti e si deve dire che gli indici della politica e della fiducia interna e internazionale volgono al bello. Se riesce a durare… La democrazia non è un bene facile da custodire, richiede l’impegno di tutti e non solo del governo.

OSTILITÀ QUASI CONCLUSE

RESTANO I PROBLEMI

La prima indicazione positiva è appunto che la guerra civile è ora quasi conclusa. Non è poco, anche se più che di una pace, si deve parlare di un armistizio, rotto ogni tanto da sporadici attacchi dell’ultimo gruppo ribelle FNL (Fronte Nazionale di Liberazione) di Agathon Rwasa che sembra voler mostrare di essere ancora vivo. Dal punto di vista della sicurezza nazionale si può dire che la popolazione vive oggi certamente meglio, si muove liberamente, è stato tolto il coprifuoco, ha ripreso a coltivare in pace, può andare a lavorare, le scuole funzionano, i dispensari, pur con i limiti e le restrizioni di sempre, sono aperti.. Si direbbe che la vita è ripresa o vuol riprendere.

Il Governo emerso dalla campagna elettorale dello scorso anno gode del sostegno e anche della simpatia della popolazione, anche se i problemi non sono ancora tutti risolti. Anzi. Si può affermare che quelli più gravi stanno emergendo proprio ora. Sono i problemi della ricostruzione morale del paese che domanderà anni e anni di impegno da parte di tutte le forze politiche, sociali e religiose. Per ora di questo nessuno osa parlare. Le strade della capitale Bujumbura sono come non mai piene di macchine, segno della ripresa della vita, ma sono anche affollate di mendicanti e di bambini abbandonati, segno di un paese che soffre e di un futuro molto precario. Di questo neppure si osa parlare.

 

I PUNTI POSITIVI

DEL MOMENTO ATTUALE

 

Il governo di Pierre Nkurunziza si è formato in modo, per qui, abbastanza nuovo. Non comprende i politici eletti dal popolo, ma, pur nel rispetto delle quote razziali previste dagli accordi di Arusha, esso ha fatto appello a una nuova classe dirigente che viene, in parte almeno, da un lungo periodo di assenza dalla politica. È anche un governo nuovo, un po’ causal , come il presidente che in genere non veste in modo protocollare, intendo dire in giacca e cravatta, ma veste ancora gli abiti semplici e austeri del combattente. Il governo comprende sette donne, due di esse ai posti più importanti, gli affari esteri e la giustizia, e si propone di rimanere in presa diretta con la popolazione. Non sono i consueti meeting popolari, caratteristici di una dittatura, ma momenti di incontro e di ascolto della gente sulle colline, in un contesto di fiducia e di apertura. Il governo cerca di mantenere i contatti anche con i capi delle religioni che hanno, più dell’esecutivo, il polso della popolazione.

La prima decisione presa dall’amministrazione nazionale è stata di offrire a tutti la scuola d’obbligo in modo gratuito. La scuola per tutti è il sogno di ogni cittadino burundese, un sogno che finora è stato realizzato solo in parte e spesso con limitazioni etniche. Il governo ha potuto farlo, malgrado le evidenti difficoltà finanziarie e logistiche, grazie alla collaborazione di molti organismi umanitari e religiosi che hanno messo a disposizione i locali e grazie all’aiuto internazionale. Anche la chiesa cattolica ha messo a disposizione della scuola pubblica i locali delle sue scuole popolari (dette Yaga Mukama).

 

L’INTEGRAZIONE ETNICA

POLITICA ESTERA E GIUSTIZIA

 

Un secondo punto positivo del nuovo governo è l’avvenuta integrazione delle due etnie all’interno dell’esercito e nei corpi di polizia del paese. Ora sulle strade si incontrano ancora le solite postazioni militari, ma sembrano essere stabilite più per dare qualcosa da fare ai militari che per il reale bisogno del paese. Esse sono comunque composte di uomini delle due etnie e ciò contribuisce a ridare fiducia alla gente. Non è stato facile per il nuovo governo portare a termine la smobilitazione dei 50 mila militari in esubero e non sono mancate, per qualche tempo, le bande armate composte da ex-militari che continuavano le loro prepotenze facendosi forti dei kalapnikov trattenuti al momento della smobilitazione. Ma ora anche questa piaga si spera vada progressivamente riducendosi.

In politica estera il nuovo governo ha cercato di promuovere e mantenere buone relazioni con gli stati vicini, il Rwanda, la Repubblica democratica del Congo (RDD) e la Tanzania. Dopo un’iniziale apprensione per la visita del presidente Nkurunziza al suo omologo del Rwanda, Paul Kagame, ci si è resi conto che entrambi i governi avevano scelto di seguire una politica di mutua non-ingerenza. In Burundi ci sono oggi 30mila rifugiati rwandesi fuggiti alla giustizia sommaria dei tribunali popolari (“Gacaca”), ma anche dalla fame che ha colpito il Rwanda, e si trovano ora nei campi di raccolta sotto la protezione dell’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati. Dopo un tentativo del Rwanda di ricondurli con la forza in patria, essi si trovano di nuovo in Burundi. Il governo ha anche bisogno di buone relazioni con la Tanzania dove ci sono ancora centinaia di migliaia di profughi che il Burundi non saprebbe accogliere e sfamare. La stessa cosa con la Repubblica democratica del Congo.

Un altro elemento positivo a favore del nuovo governo è di aver proceduto finalmente alla liberazione dei prigionieri politici, una decisione certo conflittiva temuta da certi e attesa da altri e, comunque, necessaria per sfatare la sensazione (che è molto più che una sensazione) che la giustizia sia necessariamente confusa con l’impunità. Così alla metà di febbraio 2006 sono stati liberati 780 prigionieri politici. Questo passo positivo lo si deve alla determinazione del ministro della giustizia, Clotilde Niragira, che ha coraggiosamente dato esecuzione alle disposizioni di Arusha.

 

LE COSE

CHE RESTANO DA FARE

 

Certamente il governo di Pierre Nkurunziza vorrebbe promuovere la “bonne gouvernance”, ma si trova a dover fare i conti con impreviste divisioni interne ai vertici del partito CNDD-FDD (il partito del presidente) che lo hanno indebolito, con qualche fatto che fa temere un ritorno a pratiche legate al monopartitismo (cambiamento di funzionari per sostituirli con elementi fedeli del partito. Il presidente, che ha fama di essere e onesto e super partes, cerca di reagire decisamente. Ma il suo non è un compito facile, anche se l’opposizione è piuttosto disorientata.

La prima “spina nel fianco” del governo di Pierre Nkurunziza è il CNDD di Léonard Nyangoma, fondatore del partito armato CNDD subito dopo l’assassinio del Presidente Ndadaye. Questa fazione del partito, che è molto presente nel Sud del Paese (Bururi e Makamba) non collabora più con il governo.

La presenza sul campo dell’ultimo gruppo di “assaillants”, dei ribelli cioè, del Fronte nazionale di Liberazione di Agathon Rwasa è il secondo punto debole del governo. Il presidente Nkurunziza si era impegnato a porre termine a questa situazione con la forza delle armi e della diplomazia, ma a tutt’oggi (inizio di maggio) non ce l’ha ancora fatta. A dir il vero, non è chiaro se l’FNL voglia entrare al governo e meno ancora se la presenza dell’FNL sia soltanto tollerata o non sia in qualche modo voluta dal governo: forse una frangia, ridotta com’è oggi, di “assaillants” fa anche comodo al governo che così tiene occupato l’esercito e che non saprebbe dove collocare quest’altra gente che rientrasse nella vita civile. Lo spazio vitale del paese sta riducendosi ormai a molto poco, mentre alle frontiere con la Tanzania premono gli altri 400mila rifugiati che, secondo gli accordi di Arusha, il governo dovrebbe rimpatriare ma che difficilmente ritroverebbero la loro terra e la loro casa: problemi antichi senza alcuna soluzione nuova in prospettiva. Va detto che alla fine di aprile 2006 il Sud-Africa ha offerto di nuovo la sua mediazione per portare FNL e Governo attorno a un tavolo di trattative in vista di un accordo di pace.

Rimane poi il problema della giustizia e della riconciliazione nazionale. Si sta faticosamente mettendo in piedi una “Commissione Verità e Riconciliazione” che dovrebbe far luce sui misfatti dei governi, dell’esercito e anche della ribellione a partire dal 1965. Ormai si parla apertamente e si pubblicano dei rapporti sulle vicende di questi 44 anni dall’indipendenza del Burundi, si contano le vittime, si citano nomi e cognomi di coloro che hanno organizzato e realizzato una politica di sistematica esclusione e eliminazione dell’etnia avversaria. E siccome molti dei responsabili sono ancora in circolazione e parecchi di loro hanno avuto o hanno posti di responsabilità, è facile capire che la Commissione non sarà né per oggi né per domani.

 

I problemi, come si vede, non mancano davvero al nuovo governo di Pierre Nkurunziza. E se il bilancio di questi primi sei mesi di governo può essere sostanzialmente positivo, esso è nello stesso tempo un’agenda di cose da fare che terranno occupato il presidente della Repubblica e i suoi collaboratori per tutto il termine del loro mandato. Per ora essi godono di un credito notevole, che nessun governo ha potuto finora vantare. Sarà in grado Nkurunziza di mantenere questo favore? Riuscirà nel rilancio dell’agricoltura, dell’industria e del commercio? Sarà in grado di offrire sicurezza ai bailleurs de fonds che esitano a investire i loro capitali e ad attirare anche un flusso di volontari e di organizzazioni che potrebbe dare una mano alla rinascita del Paese?

Certamente in questi primi tempi non è stato troppo fortunato: la situazione climatica ha determinato una siccità persistente nelle regioni del nord del paese che, combinata con i postumi della guerra, ha richiesto al PAM (Programma alimentare mondiale dell’ONU) un intervento a favore del 30% della popolazione. La città di Bujumbura non è più fornita di energia elettrica pubblica in modo regolare: lunghe panne di corrente elettrica impediscono lo svolgimento regolare del lavoro negli uffici e nelle industrie. La bolletta energetica è molto salata. Ricostruire in queste condizioni un paese distrutto dai militari e dai ribelli per dodici lunghi anni, desertificato da una insensata politica di disboscamento e che non produce più alla misura delle sue possibilità, è un’impresa difficile da organizzare e, più ancora, da realizzare per chicchessia, anche per un governo come quello di Pierre Nkurunziza che ha l’appoggio della popolazione.

I vescovi della Chiesa cattolica hanno pubblicato una lettera che è stata letta il giorno di Pasqua in cui prendono atto della nuova situazione, danno il loro sostegno alla politica di ricostruzione del governo, ma denunciano anche il persistere nel paese di forme di povertà, violenza e oppressione. Il termine che più ricorre nella lettera è il verbo kunagura (riparare, ricostruire) i quali domandano che sia garantito a ciascuno il rispetto dei propri diritti personali, il proprio posto di lavoro, e la sicurezza. La domanda di tutti è: sarà in grado il governo di assicurare questi beni a tutti i cittadini? La speranza non deve venir meno, ma essa suppone anche qualche intervento preciso da parte delle autorità. La libertà è un gran bene, ma da sola non è sufficiente.

 

Gabriele Ferrari s.x.