A PROPOSITO DI CERTI GIUDIZI

SFIDUCIA NEI RELIGIOSI?

 

Non mancano qua e là giudizi non proprio favorevoli sui religiosi anche da parte di certi vescovi. Perché? P. W. Steckling, superiore generale OMI se lo domanda e indica alcune piste per ricreare un clima di fiducia oggi, almeno in parte, venuto meno.

 

Quando la Chiesa approva ufficialmente un nuovo istituto, ne accoglie il carisma e la missione è un segno che riconosce in quel germe nascente la genuina azione dello Spirito e quindi le accorda la sua piena fiducia. Una fiducia che può essere ripetutamente riconfermata nel corso della sua storia e che le viene ancor più rinnovata se il fondatore viene innalzato alla gloria degli altari.

Per la congregazione degli Oblati di Maria Immacolata il primo grande atto di fiducia da parte della Chiesa avvenne 180 anni fa, nel 1826, quando l’istituto fu approvato e, per così dire, donato alla Chiesa universale. Questo atto non fu certamente l’ultimo come conferma la più recente approvazione delle costituzioni e regole, nel 1982. Per l’occasione, il card. E. Pironio, allora prefetto della Congregazione per la vita consacrata, riconosceva nuovamente agli Oblati «la missione specifica affidata loro dalla Chiesa». Inoltre, 10 anni fa, con la canonizzazione del fondatore, sant’Eugenio de Mazenod.

Il 17 febbraio scorso, gli Oblati hanno celebrato la fiducia che la Chiesa ha riposto in loro. Per la circostanza, il superiore generale, p. Wilhelm Steckling ha scritto una lettera, intitolata Questione di fiducia… e ne spiega la ragione: «È giusto continuare a ricordare ogni anno quel riconoscimento, dato nel momento in cui la congregazione si lanciava all’evangelizzazione nel sud della Francia. Poi, è arrivata anche la canonizzazione!». Ma, «non possiamo dormire sugli allori. Perché? Perché dobbiamo incessantemente meritarci e conquistarci la fiducia della Chiesa!».

 

“POSSIAMO FIDARCI

DEI RELIGIOSI?”

 

L’interrogativo che p. Steckling propone lascia intuire che la fiducia della Chiesa non è un fatto da dare ovviamente per scontato. Ci si può chiedere chi e che cosa oggi potrebbe metterla in questione. In effetti ci sono degli indizi che lasciano aperta la domanda. Il Padre, infatti, scrive: «Un anno fa, ho avuto una conversazione con un Oblato, vescovo in un paese occidentale. Gli ricordavo che molti istituti, e specialmente il nostro, erano stati fondati precisamente per venire in aiuto alla Chiesa in situazioni di mutamenti e crisi simili a quelli che viviamo nel mondo secolarizzato di oggi. Storicamente, quando venivano meno gli strumenti pastorali ordinari, ecco nascere congregazioni apostoliche, pronte ad aprire nuove strade. Il vescovo era d’accordo con me, ma mi ha anche confidato che nella gerarchia del suo paese, alcuni esitavano a chiedere la collaborazione dei religiosi. Secondo lui, molti vescovi si chiedono: “Possiamo fidarci dei religiosi?”.

E osserva: «Non siamo riusciti a capire cosa nasconde questa domanda. Sarà perché ancora non ci conoscono abbastanza? Oppure, per l’instabilità dei religiosi nel servire la diocesi? Forse, per questioni ideologiche o per il fatto che molti religiosi, anche Oblati, pensano più all’istituto che al bene comune della Chiesa? Bisognerebbe sentire anche i comuni cristiani. Potrebbero avere delle osservazioni al riguardo? Non si può escludere. A ogni modo ci rendiamo conto che il voto di fiducia datoci dalla Chiesa 180 anni fa, non basta da solo. L’approvazione pontificia non è tutto, bisogna meritarsela continuamente!».

Che cosa fare allora di fronte alla domanda: «Ci si può fidare?». P. Steckling risponde: «Invertiamo la domanda. Un proverbio dice: “Se vuoi avere degli amici, devi saper essere amico”. Che alcuni membri della Chiesa, vescovi o laici, manifestino dei dubbi su di noi, ci può preoccupare e ferire. Per conquistarci l’amicizia, sappiamo essere noi stessi dei buoni amici? Sappiamo dare fiducia agli altri membri della Chiesa, compresi i responsabili, specialmente quando hanno una filosofia, una teologia o ecclesiologia diverse dalle nostre? Mi rendo conto che la questione è delicata. Sta di fatto che non si può imporre la mutua fiducia; si può solo costruirla con pazienza. Una cosa è certa: dobbiamo fare la nostra parte».

«Non m’interessa – prosegue – se si esprimono dubbi su certe tendenze nella Chiesa o se ci diciamo francamente quelle quattro verità, fino al punto di rinfacciarci le nostre incoerenze riguardo al vangelo. Può servire a risanare l’ambiente e a spianare la strada verso una più stretta collaborazione. Ciò che m’importa è sapere se le nostre critiche sono così amare da rendere realmente impossibile migliorare le relazioni. I mezzi di comunicazione parlano di problemi e scandali. Anche se l’informazione oggettiva è sempre utile, non ci lasciamo qualche volta influenzare dal punto di vista offerto dall’informazione? C’è una mentalità «del mondo» che vede nella Chiesa, specialmente la cattolica, il principale ostacolo alla libertà e al progresso. Non perdiamo la visione di fede! Quando ci sono critiche amare tra cristiani, ci si può chiedere: “Era questo il clima che voleva il fondatore nella Chiesa?”.

Sant’ Eugenio amava la Chiesa, pur conoscendone le debolezze, che lo hanno fatto tanto soffrire. Egli, così esprime la sua fede nel 1860: «Come potremmo separare l’amore per Cristo da quello dovuto alla Chiesa? I due amori si fondono: amare la Chiesa è amare Gesù Cristo e viceversa». La Chiesa, secondo l’immagine data dal Vaticano II, è il popolo di Dio in cammino, sotto la guida del nuovo Mosè; ma è anche il corpo di Cristo e rende presente il Risorto nel mondo. Ciò non si applica ad una Chiesa ideale, che non esiste, ma alla Chiesa reale, umana, santa e peccatrice.

A 180 anni dall’approvazione, continuiamo a creare un clima di fiducia! La Chiesa ha ancora bisogno di noi oggi, come quando il fondatore scriveva nella prefazione della regola: «La Chiesa chiama a gran voce i ministri ai quali ha affidato gli interessi del suo sposo divino, perché facciano di tutto per riportare, con le parole e con gli esempi, la fede che va spegnendosi nel cuore di un gran numero di figli». Se regna la fiducia, potremo continuare a fare la nostra parte».

 

TRE PISTE

PER CREARE FIDUCIA

 

Per creare vincoli di reciproca fiducia p. Steckling propone tre piste:

1. «Vale la pena impegnarsi con convinzione e molta forza per instaurare un clima di fiducia nella Chiesa. Vale la pena, poiché nella Chiesa siamo tutti sulla stessa barca. O navighiamo insieme, vento in poppa, o rischiamo il naufragio. Inoltre, non potremo mai rivelare al mondo l’amore di Dio, se non lo viviamo tra noi. Se non c’è fiducia tra i credenti, come potrà il potere del Risorto agire per mezzo nostro? D’altra parte, se riusciamo a mettere in evidenza gli aspetti positivi della Chiesa, molti si renderanno conto di quanto, in realtà, è magnifica la fede! Lì troviamo infatti anche la sorgente di ogni vocazione particolare, comprese le vocazioni sacerdotali, missionarie e religiose.

2. Dobbiamo vivere e agire in modo da meritarci la fiducia. Per meritare la fiducia, basta che viviamo la vocazione. Una generosa vita missionaria, parla da sé, e riesce a convincere anche la stampa ostile. A maggior ragione, una vita missionaria ben vissuta saprà suscitare e mantenere, nel popolo di Dio e nei responsabili, la fiducia nella nostra Congregazione.

Le missioni al popolo e il lavoro con la gioventù hanno convinto il papa Leone XII ad approvarci, e non il bel latino dei documenti. In un’epoca di profondi mutamenti come la nostra, il lavoro missionario ha particolari esigenze. Dobbiamo cercare il modo di raggiungere chi ancora crede, ma ha preso le distanze, offrire piste di dialogo con i credenti di altre religioni, promuovere la riconciliazione tra gruppi etnici. Non c’è ragione per omettere la riflessione critica, anche con studi superiori.

Non deve mancare la dimensione comunitaria, non solo perché «sognare soli, resta un sogno, (mentre) l’utopia condivisa può diventare realtà», ma anche perché la vita comunitaria crea un clima di fiducia all’interno della Chiesa.

3. Bisogna avanzare con l’intenzione di creare un clima di fiducia nella Chiesa. Noi, oblati, siamo riconosciuti come gli uomini della Chiesa. È una garanzia per il nostro lavoro. Sappiamo essere amici per gli altri gruppi ecclesiali. Perché non contattare chi sta esplorando nuove vie di evangelizzazione, offrendo la nostra collaborazione? Faremmo così la nostra piccola parte, creando quelle “comunità-pilota” proposte dall’ultimo capitolo».

P. Steckling conclude: «In questo 17 febbraio, celebriamo la fiducia riposta in noi dalla Chiesa, ricordando l’approvazione pontificia di 180 fa e, da dieci anni, anche la canonizzazione del fondatore. Custodiamo la fiducia della Chiesa come un tesoro, che deve crescere sempre più. Il nostro stesso nome ci richiama quel 17 febbraio, nel quale, con l’approvazione, il papa ci chiamò “Oblati di Maria Immacolata”. In Maria, la Chiesa è già quella che deve essere: «senza macchia, né ruga, né difetto alcuno» (Ef 5, 27). Con l’aiuto e la presenza di Maria, madre e condiscepola di ciascuno di noi, potremo contribuire, da parte nostra, alla crescita del livello di fiducia nella Chiesa e così contribuire al compimento della sua missione».

L’interrogativo suscitato da p. Steckling, ogni istituto religioso può rivolgerlo a se stesso. Non è raro infatti sentire circolare oggi non solo nella gerarchia, ma anche tra il semplice clero diocesano giudizi non proprio confortanti riguardo ai religiosi. A volte sono i religiosi stessi i primi a diffondere un certo pessimismo su se stessi e il loro futuro. Ciò fa da contrasto con il notevole grado di stima che invece la vita religiosa e i consacrati godono ancora tra la gente comune, quella che è loro più vicina, come è dimostra, per esempio, l’inchiesta effettuata recentemente in Belgio dalla rivista dei gesuiti francesi Christus (cf. Testimoni 8/2006) Una stima dovuta, non tanto a sentimenti di simpatia, ma basata sui valori evangelici che la vita consacrata esprime e testimonia. Per quanto limitata e orientata, quell’inchiesta ci ha tuttavia donato uno spaccato, certamente autentico, di che cosa pensa tanta gente sincera dei religiosi.

Perché allora questa “sfiducia” anche in qualche vescovo, di cui parla p. Steckling? È un interrogativo che certamente meriterebbe di essere approfondito.