I 50
ANNI DELL’HAURIETIS AQUAS
SGUARDO
FISSO SUL CUORE TRAFITTO
In occasione del 50° anniversario
dell’enciclica Haurietis Aquas, in data 15 maggio, Benedetto XVI ha inviato una
lettera piena di ispirazione a p. Peter-Hans Kolvenbach, s.i., preposito
generale della Compagnia di Gesù.
«Il
costato trafitto del Redentore è la sorgente alla quale ci rimanda l’enciclica
Haurietis aquas: a questa sorgente dobbiamo attingere per raggiungere la vera
conoscenza di Gesù Cristo e sperimentare più a fondo il suo amore. Potremo così
meglio comprendere che cosa significhi conoscere in Gesù Cristo l’amore di Dio,
sperimentarlo tenendo fisso lo sguardo su di lui, fino a vivere completamente
dell’esperienza del suo amore, per poi poterlo testimoniare agli altri.
Infatti, per riprendere un’espressione del mio venerato predecessore Giovanni
Paolo II, “vicino al Cuore di Cristo, il cuore umano apprende a conoscere il
senso vero e unico della vita e del proprio destino, a comprendere il valore
d’una vita autenticamente cristiana, a guardarsi da certe perversioni del
cuore, a unire l’amore filiale verso Dio all’amore verso il prossimo. Così – ed
è la vera riparazione richiesta dal Cuore del Salvatore – sulle rovine
accumulate dall’odio e dalla violenza, potrà essere edificata la civiltà del
Cuore di Cristo”.
Conoscere l’amore di Dio in Gesù Cristo
Nell’enciclica
Deus caritas est ho citato l’affermazione della prima Lettera di san Giovanni:
“Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto”, per
sottolineare che all’origine dell’essere cristiani c’è l’incontro con una
Persona (cf. 1)... Questo mistero dell’amore di Dio per noi, peraltro, non
costitisce soltanto il contenuto del culto e della devozione al Cuore di Gesù;
esso è, allo stesso modo, il contenuto di ogni vera spiritualità e devozione
cristiana.
È quindi
importante sottolineare che il fondamento di questa devozione è antico come il
cristianesimo stesso. Infatti, essere cristiano è possibile soltanto con lo
sguardo rivolto alla croce del nostro Redentore, “a colui che hanno trafitto”
(Gv 19,37; cf. Zc 12,10). A ragione l’enciclica Haurietis aquas ricorda che la
ferita del costato e quelle lasciate dai chiodi sono state per innumerevoli
anime i segni di un amore che ha informato sempre più incisivamente la loro
vita (cf. 52). Riconoscere l’amore di Dio nel Crocifisso è diventata per esse
un’esperienza interiore che ha fatto loro confessare, insieme a Tommaso: “Mio
Signore e mio Dio!” (Gv 20,28), permettendo loro di raggiungere una fede più
profonda nell’accoglienza senza riserva dell’amore di Dio (cf. Haurietis aquas,
49).
Sperimentare l’amore di Dio volgendo lo
sguardo al Cuore di Gesù Cristo
Il
significato più profondo di questo culto all’amore di Dio si manifesta soltanto
quando si considera più attentamente il suo apporto non solo alla conoscenza,
ma anche, e soprattutto, all’esperienza personale di tale amore nella dedizione
fiduciosa al suo servizio (cf. Haurietis aquas, 62). Ovviamente, esperienza e
conoscenza non possono essere separate tra loro: l’una fa riferimento
all’altra. Occorre peraltro sottolineare che una vera conoscenza dell’amore di
Dio è possibile soltanto nel contesto di un atteggiamento di umile preghiera e
di generosa disponibilità. Partendo da tale atteggiamento interiore, lo sguardo
posato sul costato trafitto dalla lancia si trasforma in silenziosa adorazione.
Lo sguardo al costato trafitto del Signore, dal quale scorrono “sangue e acqua”
(cf. Gv 19,37), ci aiuta a riconoscere la moltitudine dei doni di grazia che da
lì provengono (cf. Haurietis aquas, 34-41) e ci apre a tutte le altre forme di
devozione cristiana che sono comprese nel culto al Cuore di Gesù.
Il culto
dell’amore di Dio, al quale l’enciclica Haurietis aquas invitava i fedeli (cf.
ibid., 72), deve aiutarci a ricordare incessantemente che Egli ha preso su di
sé questa sofferenza volontariamente “per noi”, “per me”. Quando pratichiamo
questo culto, non solo riconosciamo con gratitudine l’amore di Dio, ma
continuiamo ad aprirci a tale amore in modo che la nostra vita ne sia sempre
più modellata. Dio, che ha riversato il suo amore “nei nostri cuori per mezzo
dello Spirito Santo che ci è stato dato” (cf. Rm 5,5), ci invita
instancabilmente ad accogliere il suo amore. L’invito a donarsi interamente
all’amore salvifico di Cristo e a votarsi ad esso (cf. ibid., n. 4) ha quindi
come primo scopo il rapporto con Dio. Ecco perché questo culto, totalmente
rivolto all’amore di Dio che si sacrifica per noi, è di così insostituibile
importanza per la nostra fede e per la nostra vita nell’amore.
Vivere e testimoniare l’amore
sperimentato
Chi
accetta l’amore di Dio interiormente, è da esso plasmato. L’amore di Dio
sperimentato viene vissuto dall’uomo come una “chiamata” alla quale egli deve
rispondere. Lo sguardo rivolto al Signore, che “ha preso le nostre infermità e
si è addossato le nostre malattie” (Mt 8, 17), ci aiuta a divenire più attenti
alla sofferenza ed al bisogno degli altri. La contemplazione adorante del
costato trafitto dalla lancia ci rende sensibili alla volontà salvifica di Dio.
Ci rende capaci di affidarci al suo amore salvifico e misericordioso e al tempo
stesso ci rafforza nel desiderio di partecipare alla sua opera di salvezza
diventando suoi strumenti. I doni ricevuti dal costato aperto, dal quale sono
sgorgati “sangue e acqua” (cf. Gv 19,34), fanno sì che la nostra vita diventi
anche per gli altri sorgente da cui promanano “fiumi di acqua viva” (Gv 7,38)
(cf. Deus caritas est, 7). L’esperienza dell’amore attinta dal culto del costato
trafitto del Redentore ci tutela dal rischio del ripiegamento su noi stessi e
ci rende più disponibili a una vita per gli altri. “Da questo abbiamo
conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo
dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16) (cf. Haurietis aquas, 38).
La
risposta al comandamento dell’amore è resa possibile soltanto dall’esperienza
che questo amore ci è già stato donato prima da Dio (cf. Deus caritas est, 14).
Il culto dell’amore che si rende visibile nel mistero della Croce, ripresentato
in ogni celebrazione eucaristica, costituisce quindi il fondamento perché noi
possiamo divenire persone capaci di amare e di donarsi (cf. Haurietis aquas,
69), divenendo strumento nelle mani di Cristo: solo così si può essere
annunciatori credibili del suo amore. Questo aprirsi alla volontà di Dio, però,
deve rinnovarsi in ogni momento: “L’amore non è mai ‘finito’ e completo” (cf.
Deus caritas est, 17). Lo sguardo al “costato trafitto dalla lancia”, nel quale
rifulge la sconfinata volontà di salvezza da parte di Dio, non può quindi
essere considerato come una forma passeggera di culto o di devozione:
l’adorazione dell’amore di Dio, che ha trovato nel simbolo del “cuore trafitto”
la sua espressione storico-devozionale, rimane imprescindibile per un rapporto
vivo con Dio (cf. Haurietis aquas, 62)».