IL PAPA
AI CONSACRATI
TENER
VIVA LA FIAMMA D’AMORE
Più che sulle problematiche, il papa
insiste sui valori quali la contemplazione, la fedeltà agli impegni, al carisma
e gli orientamenti della Chiesa, la testimonianza di una vita evangelica, nello
spirito delle beatitudini. Mette in guardia contro l’insidia della mediocrità e
raccomanda di tenere sempre viva la fiamma dell’amore.
Tra le
varie categorie di fedeli a cui il papa ha rivolto una particolare attenzione
in questo primo anno del suo pontificato rientrano anche i consacrati.
L’intervento più recente è il discorso ai superiori e superiore generali degli
istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, nell’aula Paolo
VI, il 22 maggio scorso. L’altra circostanza in cui aveva incontrato i
consacrati era stata il 10 dicembre 2005, nell’udienza concessa ai religiosi
della diocesi di Roma. Un pensiero sulla vita consacrata è presente anche nel
messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che
quest’anno è caduta il 7 maggio, IV domenica di Pasqua.
In
questi interventi, il papa non si ferma a trattare delle complesse
problematiche che oggi agitano la vita consacrata, e che spesso occupano troppo
spazio nelle discussioni, ma preferisce richiamare alcuni elementi essenziali,
da cui tutto il resto dipende, e che, se relegati in secondo piano, fanno
correre il rischio di girare a vuoto.
IL PRIMO
DOVERE
LA
CONTEMPLAZIONE
Il primo
degli elementi essenziali che raccomanda è la contemplazione. Nel messaggio per
la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, infatti, scrive che i
consacrati, «pur svolgendo diversi servizi nel campo della formazione umana e
della cura dei poveri, nell’insegnamento o nell’assistenza dei malati, non
considerano queste attività come lo scopo principale della loro vita, poiché,
come ben sottolinea il Codice di Diritto Canonico, “primo e particolare dovere
di tutti i religiosi deve essere la contemplazione delle verità divine e la
costante unione con Dio nell’orazione”» (can. 663, § 1).
Su
questo aspetto il papa aveva insistito molto anche nell’incontro con i
religiosi della diocesi di Roma. In quella circostanza, dopo aver richiamato la
necessità di «una coraggiosa fedeltà al carisma», aveva ricordato che
attraverso i secoli «la vita religiosa si è sempre caratterizzata per la sua
sete di Dio: quaerere Deum». Pertanto, aveva aggiunto, «vostro primo e supremo
anelito sia testimoniare che Dio va ascoltato e amato con tutto il cuore, con
tutta l’anima, con tutte le forze, prima di ogni altra persona e cosa», e li
aveva esortati a fare proprio il motto programmatico di san Benedetto “Niente
sia anteposto all’amore di Cristo”.
Li aveva
poi invitati a rinsaldare la loro fedeltà agli impegni assunti, al carisma del
proprio istituto e agli orientamenti della chiesa locale. Una fedeltà, aveva
sottolineato, che «è possibile quando ci si mantiene fermi nelle piccole, ma
insostituibili fedeltà quotidiane». Inoltre aveva posto l’accento sulla
testimonianza di vita: «La Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza, ha
bisogno di una vita consacrata che affronti con coraggio e creatività le sfide
del tempo presente». Una testimonianza coraggiosa soprattutto «di fronte
all’avanzata dell’edonismo», mediante «la castità, come espressione di un cuore
che conosce la bellezza e il prezzo dell’amore di Dio»; e di fronte alla sete
di denaro, la testimonianza di una «vita sobria e pronta al servizio dei più
bisognosi», la quale ricorda che Dio è la ricchezza vera che non perisce»; e
ancora quella di una vita fraterna «capace di lasciarsi coordinare e quindi
capace di obbedienza», la quale «conferma che voi ponete in Dio la vostra
realizzazione». Si tratta in altre parole della «cultura delle beatitudini» che
non solo si contrappone allo spirito del mondo, ma che testimonia anche che «la
persona consacrata vive nel tempo, ma il suo cuore è proiettato oltre il tempo,
e all’uomo contemporaneo spesso assorbito dalle cose del mondo testimonia che
il vostro destino è Dio stesso».
L’INSIDIA
DELLA
MEDIOCRITÀ
Alcuni
di questi temi sono stati ripresi dal papa nell’incontro con i superiori e
superiore generali il 22 maggio scorso. Dopo aver sottolineato le esigenze del
servizio richiesto oggi a chi esercita l’autorità, ha messo in guardia da
alcuni rischi che corre oggi la vita consacrata: l’insidia della mediocrità,
dell’imborghesimento e della mentalità consumistica, a cui bisogna contrapporre
la “radicalità del Vangelo”.
«Desidero,
ha detto, che questo momento di incontro e di comunione profonda con il papa
possa essere per ciascuno di voi di incoraggiamento e di conforto nel
compimento di un impegno sempre esigente e talvolta contrastato. Il servizio
d’autorità richiede una presenza costante, capace di animare e di proporre, di
ricordare la ragion d’essere della vita consacrata, di aiutare le persone a voi
affidate a corrispondere con una fedeltà sempre rinnovata alla chiamata dello
Spirito. Questo vostro compito è spesso accompagnato dalla croce e a volte
anche da una solitudine che richiede un senso profondo di responsabilità, una
generosità che non conosce smarrimenti e un costante oblio di voi stessi. Siete
chiamati a sostenere e a guidare i vostri fratelli e le vostre sorelle in
un’epoca non facile, segnata da molteplici insidie. I consacrati e le
consacrate oggi hanno il compito di essere testimoni della trasfigurante
presenza di Dio in un mondo sempre più disorientato e confuso, un mondo in cui
le sfumature hanno sostituito i colori ben netti e caratterizzati. Essere
capaci di guardare questo nostro tempo con lo sguardo della fede significa
essere in grado di guardare l’uomo, il mondo e la storia alla luce del Cristo
crocefisso e risorto, l’unica stella capace di orientare “l’uomo che avanza tra
i condizionamenti della mentalità immanentistica e le strettoie di una logica
tecnocratica” (Fides et ratio, 15).
La vita
consacrata negli ultimi anni è stata ricompresa con spirito più evangelico, più
ecclesiale e più apostolico; ma non possiamo ignorare che alcune scelte
concrete non hanno offerto al mondo il volto autentico e vivificante di Cristo.
Di fatto, la cultura secolarizzata è penetrata nella mente e nel cuore di non
pochi consacrati, che la intendono come una forma di accesso alla modernità e
una modalità di approccio al mondo contemporaneo. La conseguenza è che accanto
a un indubbio slancio generoso, capace di testimonianza e di donazione totale,
la vita consacrata conosce oggi l’insidia della mediocrità,
dell’imborghesimento e della mentalità consumistica.
LA
SCELTA
TRA DUE
VIE
Nel
vangelo Gesù ci ha avvertito che due sono le vie: una è la via stretta che
conduce alla vita, l’altra è la via larga che conduce alla perdizione (cf. Mt
7,13-14). La vera alternativa è, e sarà sempre, l’accettazione del Dio vivente
attraverso il servizio obbediente per fede, o il rifiuto di lui. Una condizione
previa alla sequela di Cristo, quindi, è la rinuncia, il distacco da tutto ciò
che non è lui. Il Signore vuole uomini e donne liberi, non vincolati, capaci di
abbandonare tutto per seguirlo e trovare solo in lui il proprio tutto. C’è
bisogno di scelte coraggiose, a livello personale e comunitario, che imprimano
una nuova disciplina alla vita delle persone consacrate e le portino a
riscoprire la dimensione totalizzante della sequela Christi.
Appartenere
al Signore vuol dire essere bruciati dal suo amore incandescente, essere
trasformati dallo splendore della sua bellezza: la nostra piccolezza è offerta
a lui quale sacrificio di soave odore, affinché diventi testimonianza della
grandezza della sua presenza per il nostro tempo che tanto ha bisogno di essere
inebriato dalla ricchezza della sua grazia. Appartenere al Signore: ecco la
missione degli uomini e delle donne che hanno scelto di seguire Cristo casto,
povero e obbediente, affinché il mondo creda e sia salvato. Essere totalmente
di Cristo in modo da diventare una permanente confessione di fede, una
inequivocabile proclamazione della verità che rende liberi di fronte alla
seduzione dei falsi idoli da cui il mondo è abbagliato. Essere di Cristo
significa mantenere sempre ardente nel cuore una viva fiamma d’amore, nutrita
di continuo dalla ricchezza della fede, non soltanto quando porta con sé la
gioia interiore, ma anche quando è unita alle difficoltà, all’aridità, alla
sofferenza.
Il
nutrimento della vita interiore è la preghiera, intimo colloquio dell’anima
consacrata con lo sposo divino. Nutrimento ancor più ricco è la quotidiana
partecipazione al mistero ineffabile della divina eucaristia, in cui si rende
costantemente presente nella realtà della sua carne il Cristo risorto.
Per
appartenere totalmente al Signore le persone consacrate abbracciano uno stile
di vita casto. La verginità consacrata non si può inscrivere nel quadro della
logica di questo mondo; è il più “irragionevole” dei paradossi cristiani e non
a tutti è dato di comprenderla e di viverla (cf. Mt 19,11-12). Vivere una vita
casta vuol dire anche rinunciare al bisogno di apparire, assumere uno stile di
vita sobrio e dimesso. I religiosi e le religiose sono chiamati a dimostrarlo
anche nella scelta dell’abito, un abito semplice che sia segno della povertà
vissuta in unione a colui che da ricco che era si è fatto povero per farci
ricchi con la sua povertà (cf. 2Cor 8,9). Così, e solo così, si può seguire
senza riserve Cristo crocifisso e povero, immergendosi nel suo mistero e
facendo proprie le sue scelte di umiltà, di povertà e di mitezza.
L’ultima
riunione plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le
società di vita apostolica ha avuto come tema Il servizio d’autorità. Carissimi
superiori e superiore generali, è un’occasione per approfondire la riflessione
su un esercizio dell’autorità e dell’obbedienza che sia sempre più ispirato al
Vangelo. Il giogo di chi è chiamato ad assolvere il delicato compito di
superiore e di superiora a tutti i livelli, sarà tanto più soave quanto più le
persone consacrate sapranno riscoprire il valore dell’obbedienza professata,
che ha come modello quella di Abramo, nostro padre nella fede, e ancor più
quella di Cristo. Occorre rifuggire dal volontarismo e dallo spontaneismo per
abbracciare la logica della croce.
In
conclusione, i consacrati e le consacrate sono chiamati ad essere nel mondo
segno credibile e luminoso del Vangelo e dei suoi paradossi, senza conformarsi
alla mentalità di questo secolo, ma trasformandosi e rinnovando continuamente
il proprio impegno, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a
lui gradito e perfetto (cf. Rm 12, 2). È proprio questo il mio augurio, cari
fratelli e sorelle; un augurio sul quale invoco la materna intercessione della
Vergine Maria, modello insuperabile di ogni vita consacrata».
Il papa
ha anche chiesto alle superiore e ai superiori «di trasmettere una parola di
speciale premura a quanti sono in difficoltà, agli anziani e ammalati, a quelli
che stanno passando momenti di crisi e di solitudine, a chi soffre e si sente
smarrito e, insieme, ai giovani e alle giovani, che anche oggi bussano alla
porta delle vostre case per chiedere di poter donare se stessi a Gesù Cristo,
nella radicalità del vangelo».
A.D.