I
GENERALI E LA FEDELTÀ VOCAZIONALE
IN
FORMAZIONE PER TUTTA LA VITA
Dopo l’analisi delle cause sugli
abbandoni, una riflessione a tutto raggio sulla formazione iniziale e
permanente. Per essere veramente “profezia” nella post-modernità, la vita
consacrata ha sempre più bisogno di soggetti pienamente formati a livello
umano, cristiano e vocazionale. Il tema della prossima assemblea.
«Se non
siamo capaci di centrare la nostra vita sull’essenziale corriamo il rischio di
costruire sulla sabbia». Solo vivendo con gioia e dignità la propria
consacrazione e andando controcorrente rispetto ai modelli culturali del nostro
tempo, sarà possibile superare le sfide sempre più preoccupanti
dell’individualismo, del relativismo, dell’immediato, del provvisorio che
incombono sempre più frequentemente, oggi, sulla vita consacrata. È questo uno
dei passaggi centrali del breve saluto con cui il presidente, fr. Álvaro
Rodriguez Echeverría, alla presenza di oltre duecento partecipanti, ha aperto i
lavori della 67ma assemblea semestrale dei superiori generali, svoltasi presso
il Salesianum di Via della Pisana a Roma, dal 24 al 26 maggio.
Era la
prima assemblea con il nuovo segretario generale dell’USG, p. Pietro Trabucco,
ex superiore generale dei missionari della Consolata. Ma era la prima volta
anche di alcune impostazioni metodologiche di lavoro che hanno sicuramente
contribuito a rendere più efficaci i lavori assembleari.
Anzitutto,
volutamente, le prime due giornate sono state caratterizzate da una sola
relazione al giorno. La prima è stata affidata al rettore maggiore dei
salesiani, don Pascual Chavez Villanueva che ha illustrato alcune sfide
antropologiche nel processo formativo in vista di una vita consacrata come
profezia nella post-modernità, mentre la seconda è stata svolta dal ministro
generale OFM, fr. José Rodriguez Carballo, sul tema della prevenzione degli
abbandoni e il rafforzamento della fedeltà. Nella seconda parte della
mattinata, poi, è stato lasciato un buon margine di tempo per una riflessione
personale sulle due relazioni, in modo da favorire un più efficace apporto dei
singoli partecipanti non solo nei rispettivi gruppi di studio del primo
pomeriggio, ma anche poi nell’incontro assembleare conclusivo della giornata.
Il fatto, ancora, d’avere in cartella tutti i testi già tradotti nelle diverse
lingue, anche se i superiori generali – per la sempre più accentuata
internazionalizzazione dei propri istituti – sono un po’ tutti poliglotti, è
stato un aiuto non da poco.
È stato
prezioso, inoltre, il lavoro dei due facilitatori, (una figura mutuata dal
congresso internazionale sulla vita consacrata del novembre 2004), nelle
persone del salesiano don Francesco Cereda e del francescano p. Francesco
Bravi. Non solo introducevano e spiegavano il senso dei lavori della giornata,
ma soprattutto si sono dovuti sobbarcare alla impegnativa sintesi finale di
tutte le riflessioni emerse dai lavori di gruppo e dell’assemblea. Si è
rivelato, infine, quanto mai opportuno anche un quotidiano comunicato stampa
diramato alle varie agenzie cattoliche se non altro per informare di quanto
stava avvenendo nell’incontro al Salesianum.
IL
VALORE
DELL’ESPERIENZA
Nell’assemblea
del novembre 2005 i superiori generali, aiutati anche dai dati statistici
forniti allora da fra Lluís Oviedo,1 si erano confrontati con il preoccupante e
inarrestabile problema degli “abbandoni” della vita consacrata. Questa volta,
invece, pur non perdendo di vista le ragioni per cui tanti religiosi,
soprattutto giovani, “lasciano”, si è cercato di riflettere insieme su come
prevenire questi abbandoni da una parte e come rafforzare la fedeltà
vocazionale dall’altra. È facile comprendere, allora, come al centro delle
relazioni e di tutte le riflessioni sia nei lavori di gruppo che in quelle
assembleari sia costantemente ritornato il tema della formazione. Proprio per
questo, diversi superiori generali erano molto opportunamente accompagnati dai
responsabili, a livello generale, dei cammini formativi dei rispettivi ordini o
istituti religiosi.
Il
sottofondo e il presupposto da cui sono partite e a cui si sono costantemente
riferite le due relazioni centrali (sulle quali vorremmo poter ritornare più
diffusamente in seguito sulla nostra rivista)2 era quello delle sfide
antropologiche alla formazione. Il rettore maggiore dei salesiani ha esordito
cercando di delineare una cornice antropologica nella quale poter ubicare tutte
le proposte che possano in qualche modo irrobustire la fedeltà alla vita
consacrata.
Le sfide
odierne nel campo della fedeltà vocazionale sono sotto gli occhi di tutti. È un
tema che non riguarda soltanto la vita consacrata. Per rendersene conto, basta
pensare «alla situazione drammatica, e molte volte tragica, di tanti matrimoni
e famiglie nel mondo, anche di cattolici!». Ora, come leggere questo dato di
fatto? «Si tratta, si è chiesto il relatore, di una situazione problematica,
perfino pericolosa, dalla quale bisogna difenderci, o di un kairòs che, oltre
ad essere inevitabile, diventa una sfida affascinante per la nostra fedeltà
creativa a Dio, alla Chiesa e all’umanità?». La risposta immediata non poteva
che essere in questa seconda direzione.
Ma per
affrontare più concretamente il problema della fedeltà nella vita consacrata,
don Chavez ha sentito l’esigenza di chiarire certi presupposti in ordine alla
storicità, alla libertà, all’esperienza, alla rinuncia, alla post-modernità
senza i quali ogni discorso rischia di cadere nel vuoto. Parlare di storicità,
ad esempio, in riferimento alla formazione, significa convincersi del fatto che
«siamo in formazione tutta la vita» e che, pertanto, è illusorio pensare a un
religioso formato una volta per tutte. È un cambio di prospettiva non
indifferente. Se si è sempre in formazione, allora vanno coraggiosamente
rivisti tutti i consueti parametri di formazione iniziale e di formazione
permanente. Solo in questo modo si potrà dare una soluzione soddisfacente al
«problema ineludibile, spesso fonte di malintesi e perfino di frustrazioni»,
della realizzazione personale.
Quante
volte ci si illude di essere realmente liberi e di realizzarsi pienamente solo
per aver fatto molte esperienze. Ma fino a quando, al di là del gioco di
parole, non si passa dal valore delle esperienze alla esperienza dei valori da
interiorizzare e da assimilare, tanto la libertà che l’esperienza diventano
parole vuote, o peggio ancora, frustranti. Una conferma dell’autenticità della
libertà e dell’esperienza nella vita consacrata la si ha nel grado di
formazione alla rinuncia. In molte situazioni diventa necessaria la rinuncia a
tante esperienze che invece di formare possono disorientare una persona. Spesso
certe rinunce sono tra le realtà «oggi più difficili da capire e da accettare».
Viviamo
in una cultura che non favorisce certamente la pratica della fedeltà, un valore
oggi sempre più misconosciuto. Quanti giovani sanno impegnarsi a fondo in opere
di solidarietà. Ma sono sempre più pochi quelli che sanno assumere un impegno
definitivo, che sanno pronunciare un “per sempre”, che sanno rinunciare per
principio a ogni altra possibilità alternativa. In tutte le tappe della
formazione, fino alla morte, «l’autentica fedeltà non dipende da quello che può
accadere,bensì da quello che io ho deciso e che ogni giorno rinnovo: il mio
amore fedele al Signore, nella consegna totale ai miei fratelli e sorelle».
Invece
di lamentarsi del tempo attuale, ha concluso don Chavez, si dovrebbe assumere
con fiducia la sfida che il Signore stesso pone a tutti i consacrati. Solo
partendo da una fede solida, da una speranza viva e da un amore concreto e
incondizionato a Dio e ai fratelli «potrà essere rilevante la nostra fedeltà
nella vita consacrata». Solo «un presente fedele al suo passato e aperto al
futuro potrà essere rilevante e significativo, nel continuo presente del
servizio di Dio e del mondo, per amore».
TROPPA
DISTANZA
TRA
L’IDEALE E IL REALE
Con
molta concretezza, riprendendo alcuni aspetti della precedente assemblea di
novembre, fr. José Rodriguez Carballo, nella sua relazione ha sostanzialmente
ribadito l’importanza della formazione proprio per prevenire gli abbandoni e
rafforzare la fedeltà. Dal momento che gli abbandoni, ha esordito, toccano
molto da vicino la vita e la missione dei religiosi, è doveroso interrogarsi
sulla qualità di una scelta di vita di sequela radicale del Signore. Senza
lasciarsi prendere da un senso collettivo di colpa, è comunque un fatto che
ogni abbandono chiama in causa non solo il singolo religioso che lascia, ma
anche la sua comunità. Il ministro generale dei francescani è personalmente
convinto che il fenomeno degli abbandoni, «senza cadere nell’emotività del
momento», può diventare una occasione per leggere con sapienza alcuni aspetti della
vita consacrata di oggi che, senza dubbio, ha aggiunto citando Vita consecrata,
«continua ad attraversare un periodo delicato e faticoso…, non privo di
tensioni e di travagli».
L’abbandono
da parte di un confratello chiama in causa non solo l’identità stessa della
vita consacrata, ma anche l’eccessiva distanza tra le affermazioni teoriche da
una parte e il vissuto pratico della vita consacrata e la fragilità personale e
istituzionale dall’altra. Uno dei segnali della crisi di identità che riguarda
direttamente la formazione permanente, è «l’abisso enorme tra lo sforzo teorico
(teologia, documenti ufficiali, cammini di rifondazione ecc.) e la creatività
effettiva delle forme di vita che rispondono al nostro tempo», la distanza tra
l’ideale proposto e il reale concretamente vissuto.
Che la
vita consacrata, soprattutto nel mondo occidentale, viva oggi un momento di
debolezza istituzionale e personale, dovuta sempre più spesso all’inarrestabile
invecchiamento, alla mancanza di nuove vocazioni, alla ristrutturazione o
all’abbandono delle opere ecc., è sotto gli occhi di tutti.
Nonostante
questo, bisogna guardare avanti. «Di che cosa hanno bisogno, si è chiesto il
relatore, i nostri itinerari formativi, permanenti e iniziali, per garantire
una fedeltà dinamica e creativa capace di rispondere alla chiamata propria
della vita consacrata in tempi come i nostri, assumendone con fede e lucidità
le sfide?».
La
risposta è stata immediata. Bisogna intervenire seriamente nel campo formativo,
verificando l’autenticità o meno di un triplice livello di maturità: umana,
cristiana, vocazionale, ben sapendo che nel soggetto concreto queste tre
dimensioni sono sempre profondamente interconnesse fra loro. Se il nucleo della
maturità umana va ricercato negli ambiti dell’affettività e delle relazioni,
dell’abitudine a un lavoro costante e creativo e a una sapiente elaborazione
delle frustrazioni, quello della maturità cristiana non può non coincidere con
la centralità dell’esperienza di fede, intesa come incontro personale con il Signore,
un’esperienza essenziale nella vita consacrata.
Il
nucleo, poi, della maturità vocazionale è strettamente connesso all’educazione
alla stabilità e al cambiamento insieme, all’esistenza di prospettive di futuro
e di speranza e ad una vita consacrata seriamente radicata nel mondo e nella
storia.
Tutte
queste riflessioni, ha concluso fr. Carballo, sono semplicemente un abbozzo per
iniziare un confronto e un dialogo in grado di «aiutarci a chiarire come vivere
oggi in maniera creativa e non solamente, quasi come vittime, il fenomeno degli
abbandoni che ci inquietano, ma anche ad interrogarci, spingendoci a trovare un
ulteriore stimolo per rimanere fedeli al dono ricevuto».
Nella
fase conclusiva dei lavori sono stati presentati in assemblea gli specifici
progetti di formazione iniziale e permanente dei comboniani, degli oblati di
Maria immacolata, dei fratelli delle scuole cristiane. Quanto era stato
proposto dalle relazioni centrali dell’assemblea e discusso nei vari gruppi di
studio ha avuto così, per certi versi, una conferma concreta da parte dei
progetti formativi di questi tre istituti. Una volta ancora è stata ribadita la
centralità della persona dal momento iniziale di approccio alla vita consacrata
fino alla fine. Ma è proprio in questa riscoperta e fondamentale attenzione che
poi, di fatto, ci si imbatte inevitabilmente nelle opportunità e nelle sfide su
cui hanno seriamente riflettuto i superiori generali e i loro consiglieri
responsabili della formazione.
Al
termine dei lavori il segretario generale ha annunciato l’impostazione e i
contenuti della prossima assemblea di novembre. Sarà imperniata sostanzialmente
sul tema della collaborazione, anzitutto con l’unione internazionale delle
superiori generali (prima giornata) e poi all’interno dell’unione dei superiori
generali (seconda giornata). Sarà anche un’assemblea elettiva del presidente e
del consiglio di presidenza dell’USG (terza giornata).
L’augurio
conclusivo espresso dal presidente fr. Álvaro Rodriguez Echeverría è che,
quanto prima, dopo la significativa udienza del 22 maggio aperta ai numerosi
religiosi e religiose accompagnati dai loro superiori e superiore generali, la
presidenza dell’USG possa finalmente coronare un suo desiderio, nel cassetto da
tanti anni, di un incontro riservato con il papa.
Angelo Arrighini
1
Testimoni 21/2005. Cfr. Atti dell’assemblea: Fedeltà e abbandoni nella vita
consacrata di oggi, Roma 2006.
2 In
attesa della pubblicazione degli Atti che potrebbero essere pronti anche prima
dell’estate.