P. KOLVENBACH SULLO STATO DELLA COMPAGNIA
I GESUITI TRA PRESENTE E FUTURO
Nonostante i
numeri e l’impressionante rete di attività apostoliche, la Compagnia
si trova in una situazione di fragilità. Se vuole avere un futuro, essa
dovrà investire sulla qualità della formazione, la promozione
delle vocazioni, il sentire cum Ecclesia e la credibilità.
Passare in rassegna «la grande varietà di
strade seguite dalla Compagnia di Gesù attraverso la sua storia, per
continuare la missione del Signore oggi tra le donne e gli uomini del nostro
tempo, e per vivere tale impegno apostolico come un corpo di sacerdoti e di
fratelli che hanno la stessa vocazione e la stessa missione»: è
questa la motivazione di fondo che ha suggerito a p. Peter-Hans Kolvenbach,
superiore generale della Compagnia di Gesù a presentare una panoramica
“De statu societatis”, sullo stato della Compagnia, per descrivere
le iniziative e i ministeri che vedono oggi impegnati i gesuiti nel mondo.
L’allocuzione è stata tenuta a Loyola, nel
novembre scorso, durante la riunione dei superiori maggiori della Compagnia
(che si svolge ogni sei anni circa). Le questioni sollevate da p. Kolvenbach
assumono un alto indice di interesse dal momento che sono parte del cammino di
riflessione avviato in vista della costituzione del nuovo governo generale
della Compagnia, la cui convocazione è fissata per il gennaio 2008.
IL PRESENTE
DELLA COMPAGNIA
Sebbene ancora oggi la Compagnia possa vantarsi di un grande
numero di membri,1 p. Kolvenbach non nasconde la fragilità che
peserà nel suo prossimo futuro. Da un lato, fittissimo è
l’intreccio di attività e relazioni, ma dall’altro si
assiste a un irrimediabile declino dovuto non solo alla sorte che accomuna
molti istituti religiosi come, per esempio, il venire meno del personale
religioso. Un forte segnale di preoccupazione risiede nell’eccessivo
sovraccarico psicologico e pastorale di cui molti membri sono investiti, a
scapito della dimensione spirituale e interiore, con pesanti rallentamenti e
blocchi su scelte coraggiose da compiere in senso alla Compagnia: «La
nostra rete apostolica è tuttora impressionante e porta molti frutti.
Però rimane fragile, e potrebbe diventarlo ancora di più nei
prossimi anni. In generale, noi lavoriamo al di sopra delle nostre
capacità umane e finanziarie. Tale sovraccarico di lavoro è
spesso il motivo per cui non c’è più posto per la vita nello
Spirito; non c’è più spazio per un vero discernimento
orante; non c’è più spazio per coltivare la libertà
necessaria per cercare di creare nuove opere o di chiuderne altre; non
c’è più spazio per trarre profitto dal carattere universale
della Compagnia in un mondo in via di globalizzazione».
Questo, tuttavia, è solo il possibile risvolto
negativo dei rischi legati ai molteplici progetti apostolici. Bisogna dire che
molto estesi e diversificati sono i ministeri dei gesuiti e, a ragione, con
buoni frutti come: l’apostolato dell’educazione, intellettuale,
sociale, della comunicazione, delle opere e servizi pastorali, del dialogo
ecumenico e interreligioso.
LA POSTA
IN GIOCO
Dati alla mano, il più fruttuoso campo di apostolato
è quello educativo, dove sono impegnati circa 4600 gesuiti a fronte di
circa due milioni e mezzo di studenti. La Compagnia si avvale di un altissimo
numero di laici (96% del personale impegnato). Dal momento che la promozione
della «pedagogia ignaziana» e il «carattere gesuitico»
delle strutture educative costituiscono i pilastri fondanti l’apostolato
dell’educazione, è quanto mai viva la questione del rapporto tra
religiosi e laici e il necessario discernimento spirituale e professionale di
entrambi. Nell’ottica dello scambio di doni e della reciproca
collaborazione, le province della Compagnia sono invitate a qualificare le
offerte formative di collaborazione fra gesuiti e laici, sia nel campo della
direzione come quello più interiore che è la formazione «di
uomini e donne per gli altri», con lo scopo finale di proporre e sviluppare
«creativi e coraggiosi programmi sociali». Ma questo obiettivo, ha
sottolineato p. Kolvenbach, «può essere facilmente emarginato se
ci si accontenta di belle parole sulle questioni che sono importanti per la
Compagnia nella sua missione educativa, parte integrante della proclamazione
del Vangelo. I superiori maggiori devono vigilare per assicurarsi che il grido
dei poveri non cessi di essere ascoltato nei centri del nostro
apostolato». L’apostolato dell’educazione è dunque il
primo e più fruttuoso servizio ecclesiale.
E, come è opinione comune, specifico carisma dei
gesuiti è l’impegno intellettuale. Ma proprio qui sta ciò
che nella relazione viene definito il “paradosso” dei gesuiti:
«da una parte, la Chiesa ci considera come una fonte importante di ispirazione
e di orientamento nel compito di chiarire e interpretare i problemi
contemporanei per la ricerca, il dibattito e le pubblicazioni. Ma d’altra
parte, specialmente in filosofia e in teologia, i gesuiti sono talvolta
frustrati e scoraggiati dalle critiche di certi religiosi e laici, che guardano
con sospetto ogni pensiero innovatore o esplorativo, e che denunciano alle
autorità ecclesiastiche ogni pubblicazione che considerano malsana o
anche eretica».
La formazione specialistica, pur invocata come ministero
caratteristico della Compagnia, si trova di fatto in una situazione critica se
non addirittura di stallo, a causa della diminuzione di risorse umane
disponibili a tempo pieno in questo servizio, ma anche a motivo della carenza
di un clima generale di stimolo alla libera ricerca, dentro e fuori la
compagnia.
Di fronte alla globalizzazione e attorno alle questioni di
migrazione, di emarginazione, di conflitti, di ecologia, di sviluppo durevole,
specialmente in Africa, è cresciuta l’attenzione dei gesuiti verso
l’apostolato sociale. Nel pensiero di non pochi membri,
l’insistenza sul settore sociale «avrebbe indebolito
l’impegno nell’educazione e nella ricerca intellettuale», ma
il lavoro sociale rappresenta al giorno d’oggi un impegno che, sotto
l’impulso di p. Arrupe, è divenuto parte integrante della missione
gesuitica.
Accanto alle lodevoli iniziative in ambito sociale come, per
esempio, il Jesuit Refugee Service, di fatto nel governo della Compagnia
l’apostolato sociale non ha grande voce. Secondo un indagine interna, nel
periodo della formazione il 63% dei gesuiti non ha avuto corsi di dottrina
sociale della Chiesa e solo il 3,7% dei religiosi lavora attualmente a tempo
pieno in istituzioni sociali. Perentoria al riguardo l’affermazione di p.
Kolvenbach: «Finché l’apostolato sociale non può far
sentire la sua voce, in un modo o in un altro, nel governo della Compagnia, la
dimensione sociale di tutti i nostri ministeri, per non parlare del ministero
sociale, sarà lettera morta».
Anche il mondo della comunicazione è una sfida che
richiede un ripensamento generale, quantunque i dati possano apparire
lusinghieri: 30 editori, 199 riviste, 66 stazioni radio, 27 centri di
produzione televisiva e video, 237 gesuiti che lavorano a tempo pieno. Afferma
p. Kolvenbach: «Non abbiamo fatto molti progressi dall’epoca dei
pionieri che si sono dedicati a trovare i modi migliori per essere presenti nel
mondo della radio e della televisione». Due gli ostacoli determinanti: il
reperimento di risorse finanziarie e l’esiguo numero di religiosi che si
dedicano in questo settore a tempo pieno, perché oberati da altre
urgenze e bisogni più immediati.
Da ultimo, non va dimenticato il lavoro pastorale nelle
parrocchie (attualmente circa 2000) nella predicazione di esercizi, nell’apostolato
della preghiera affidato dal santo padre che conta circa 50 milioni di
aderenti, nel dialogo ecumenico e interreligioso mediante la costruzione di una
«spiritualità del dialogo».
STRADA MAESTRA
PER UNA REALE SPERANZA
Vista così, la Compagnia di Gesù potrebbe
apparire una potente “multinazionale” religiosa. Sarebbe comunque
riduttivo fare una valutazione dei suoi ministeri apostolici, basandosi sui
dati disponibili, sulla efficienza delle risorse umane e sui risultati che se
ne ricava, fruttuosi o meno che siano.
È nel “sensus societatis”, in cui ci si
sente «corpo apostolico consacrato al servizio di Dio», che risiede
il futuro della Compagnia. Di fronte alla frantumazione e alla
fragilità, p. Kolvenbach non ha dubbi nell’indicare nel senso
appartenenza alla Compagnia, la strada maestra per una reale speranza di un
futuro possibile e migliore. Nella vita quotidiana, questo sensus si traduce in
un profondo e penetrante sguardo contemplativo sui misteri della vita di Cristo,
a partire dal quale si è in grado «di trovare Dio nelle
realtà create». In fondo, tale era il cuore dello spirito
missionario dei primi compagni: unione con Dio e preghiera.
Il futuro, dunque, si costruisce volgendo mente e cuore agli
inizi della Compagnia, cogliendo la dinamica evangelica che ha caratterizzato
ogni ministero apostolico. Seondo p. Kolvenbach, la qualità della
formazione, la promozione delle vocazioni, il sentire cum Ecclesia e la
credibilità della Compagnia sono quattro esigenze che devono crescere e
maturare. E su questo il futuro governo generale non potrà non
confrontarsi. Ma ciò che ogni gesuita è chiamato a compiere nel
presente è il prendersi cura del benessere interiore e spirituale e
ciò è possibile se «abbiamo un sensus Christi profondamente
radicato in noi, divenendo contemplativi anche nell’azione».
Sergio
Rotasperti
1 I dati al 1 gennaio 2006 indicano un totale di 19.564
gesuiti: 13.735 sacerdoti (-231 dal 2005), 3.067 scolastici (+ 13), 1865
fratelli (-56) e 897 novizi (-12), con una diminuzione netta di 286 membri dal
1 gennaio 2005. Nello scorso anno gli ingressi sono stati 530, i decessi 478 e
338 hanno lasciato la Compagnia. Questi dati sono in linea con la tendenza
dominante degli ultimi sedici anni. Al 1 gennaio 2006 l’età media
dei gesuiti si attesta sui 57,18 anni: 63,93 per i sacerdoti, 29,11 per gli
scolastici e 66,81 per i fratelli. (Curia Generale SJ, News and Features,
aprile 2006).