L’ITALIA DOPO LE RECENTI ELEZIONI

ANZITUTTO IL BENE COMUNE

 

La promozione del bene comune è possibile se ci si àncora ad alcuni “punti fermi”, come il riferimento di tutti ai valori irrinunciabili che stanno alla base della Carta costituzionale, il rispetto delle istituzioni, una democrazia effettiva vissuta anzitutto all’interno delle diverse aggregazioni politiche. Su questi punti dovrà misurarsi il nuovo governo.

 

C’è una logica perversa dietro a certi atteggiamenti politici: chi vince prende tutto e l’avversario si prepara a vincere le successive elezioni. Chi non sta dalla parte di comanda è nemico; l’opposizione ha due scelte: o ritirarsi sull’Aventino oppure parlare a vuoto nel Parlamento, covando la rivincita. In questo modo la nostra società sta andando avanti a colpi e contraccolpi, senza creare un terreno comune di mediazione. La mediazione è invece la spina dorsale della democrazia. Se non si può maturare opera di mediazione, chi ha il potere non vuole e non può perderlo e così la politica diventa cattiva. In realtà, il principio dell’alternanza delle democrazie si fonda sul fatto che gli schieramenti hanno un terreno comune.

Sotto quest’ottica, ci sembra che possa allora essere letto in modo “alto” e nuovo il telegramma col quale papa Benedetto XVI ha invocato sul nuovo presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, «la costante assistenza divina per una illuminata ed efficace azione di promozione del bene comune nel solco degli autentici valori umani e cristiani che costituiscono il mirabile patrimonio del popolo italiano». Le frontiere più profonde sono quelle che dividono i paesi ma anche quelle interne a essi: il disordine che lede la famiglia, l’arbitrio che mette a tacere chi non ha voce. Ritenendo che i capisaldi della vita, della famiglia e della libertà religiosa e scolastica siano iscritti nella umana convivenza universale, durante il ricevimento del 30 marzo concesso ai rappresentanti del Partito popolare europeo (PPE), il papa ha ribadito che se la Chiesa interviene negli affari statuali, «è per illuminare le coscienze di tutte le persone prescindendo dalla loro affiliazione religiosa». Su questa linea, mons. Giuseppe Betori, segretario generale Cei, circa gli esponenti cattolici eletti alle Camere ha detto di aspettarsi che «si facciano testimoni di valori umani e cristiani attorno a cui aggregare non solo i credenti, ma tutti i cittadini».

È l’auspicio formulato anche dal card. Ruini nella prolusione alla 56ª assemblea generale (Roma, 15-19 maggio 2006). «Il nuovo governo, ha detto, ha davanti a sé compiti molto impegnativi e in uno dei due rami del Parlamento può contare su una maggioranza assai ristretta. In questa situazione diventa ancor più importante e indispensabile, per il superiore interesse del paese, che entrambi gli schieramenti politici, ciascuno nel proprio ruolo e tenendo conto della misura del consenso ricevuto, non si arrestino nelle contrapposizioni, ma cerchino piuttosto di dar vita a una dialettica costruttiva e davvero reciprocamente rispettosa. Lo richiedono i problemi che l’Italia non può non affrontare e ancor prima la qualità stessa della nostra vita civile e la compattezza del tessuto sociale. In questo spirito dovrebbe svolgersi anche il confronto in ordine all’ormai molto prossimo referendum popolare confermativo della riforma della seconda parte della Carta costituzionale».

 

UN SUSSULTO

DI CORAGGIO

 

Tra le prese di posizione nell’attuale fase di transizione che sta attraversando l’Italia, ci pare utile segnalare anche un importante documento dei vescovi lombardi dal titolo Un di più di responsabilità dopo le elezioni 2006. Riferendosi all’impegno della Chiesa essi identificano tre linee particolari di riflessione: la ricerca di ciò che unisce, la salvaguardia della comunione ecclesiale, la formazione delle coscienze.

Registrando con soddisfazione la larga partecipazione al voto nella consultazione elettorale, rilevano: «Abbiamo rilevato la vittoria di stretta misura di uno dei due schieramenti e quindi l’esile differenza numerica tra quanti hanno dato la loro fiducia a chi precedentemente si trovava all’opposizione e quanti invece si sono riconosciuti in chi ha governato l’Italia negli ultimi cinque anni. Questo fatto ha portato molti a parlare con preoccupazione di una sorta di “spaccatura” del paese a livello politico: una spaccatura che – esasperata dalla drastica contrapposizione di cui è stata segnata una campagna elettorale lunga e dai toni aspri e avvelenati – sembra particolarmente netta e forse difficile da risanare in tempi ravvicinati. Il rischio che ne deriva non è solo quello di rendere meno agevole il compito di chi è chiamato a governare il paese, ma è anche e soprattutto quello che tale spaccatura si insinui nelle pieghe più quotidiane del vivere sociale fino ad agitare e incattivire gli animi della gente comune e a ingenerare una sorta di conflittualità permanente». Da qui nasce un di più di responsabilità: «al di là delle divisioni e perfino delle spaccature politiche e dentro di esse, in realtà c’è qualche cosa di più profondo che già unisce e che deve ancor più unire il paese: … Esiste in realtà un dovere fondamentale che deve accomunare tutti: il perseguimento del “bene comune”… E ciò è possibile se ci si àncora – come è doveroso – ad alcuni “punti fermi”, come il riferimento di tutti ai valori irrinunciabili che stanno alla base della Carta costituzionale, il rispetto non solo formale delle istituzioni, una democrazia effettiva vissuta anzitutto all’interno delle diverse aggregazioni politiche».

 

RECUPERARE CONVIVENZA

CIVILE ED ECCLESIALE

 

Perciò, continua il documento, si esige «un sussulto di maggiore intelligenza e coraggio, non disgiunti da sacrifici e da sapiente umiltà, per dare vita, pur nel rispetto delle differenze, a un dialogo onesto e a una collaborazione leale in vista del bene del nostro paese e, più ampiamente, del concreto bene comune universale. Ciò è possibile, però, se si rimane fedeli alla responsabilità assunta nei riguardi degli elettori e dell’intera comunità nazionale: una responsabilità che, tra l’altro, esige di mantenere la parola data, che è sì il programma elettorale, ma è anche molto di più, ossia il rispetto e la promozione di tutto ciò che, in quanto “genuinamente umano”, non tradisce ma tutela e fa crescere l’uomo e la sua dignità. Per assolvere a questa responsabilità ci si deve anche decidere a far rinascere e consolidare un “clima umano” nel quale l’avversario politico non è mai visto né trattato come un nemico, ma sempre come una persona che intende concorrere a rendere più giusta la convivenza, seppure in un’ottica e da una parte diverse e proponendo strade a volte differenti o contrapposte».

Questo clima “avvelenato” si è riscontrato dentro la stessa compagine ecclesiale. I pastori lombardi sottolineano che da quanti vivono responsabilità pastorali «viene offerto il quadro di comunità nelle quali la presenza di scelte politiche opposte ha pesato e pesa sul rapporto tra gli stessi fratelli di fede e condiziona, talora in modo profondo, il confronto e la vita nella stessa comunità. Non possiamo poi tacere lo sconcerto che si è verificato di fronte ad affermazioni, fatte in campo non solo politico ma anche ecclesiale, circa l’inaffidabilità come cristiani di coloro che avrebbero scelto una parte politica piuttosto che l’altra; come pure il grave disagio – anche nella forma di una crisi di coscienza – che simili giudizi indebiti hanno provocato nell’animo di alcuni membri del popolo di Dio».

Si ribadisce pertanto il dettato conciliare: «A nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa» (GS 43), per non cadere nella tentazione di presentare il proprio schieramento come il migliore o come unico interprete della dottrina sociale della Chiesa e dei suoi valori e principi, tacciando altri fratelli nella fede di minore fedeltà al Vangelo.

 

EDUCARE

AL SOCIALE

 

I vescovi si impegnano a promuovere un’azione educativa per aiutare tutti alla comune condivisione dei principi ispirati alla retta ragione e al Vangelo e, insieme, al rispetto delle posizioni e delle scelte “pratiche” di ciascuno: «infatti, dalla medesima fede e dal riferimento alla stessa ispirazione cristiana non derivano necessariamente identiche scelte programmatiche, politiche e di schieramento. Di conseguenza il giudizio su queste scelte non può essere formulato in nome della fede e dell’appartenenza ecclesiale.

Non possiamo tuttavia nascondere che alcune contrapposizioni si sono realizzate e alcuni giudizi sono stati espressi proprio facendo appello alla dottrina sociale della Chiesa e ad alcuni suoi contenuti. Ma perché il doveroso riferimento al Magistero avvenga in modo corretto, anche alla luce di ciò che è accaduto, è necessario promuovere una sempre più precisa e completa conoscenza e condivisione della dottrina sociale della Chiesa, senza operare selezioni indebite ed evitando ogni strumentalizzazione dei suoi principi e delle sue esigenze. In particolare, è necessario presentare la dottrina sociale della Chiesa nella sua interezza».

Questi valori e principi (centralità della persona, carattere inviolabile della vita umana, famiglia fondata sul matrimonio, libertà di educazione, tutela sociale dei minori, lotta alle moderne forme di schiavitù, libertà religiosa, economia a servizio della persona e del bene comune, valore della pace, pluralismo sociale, attenzione alle fasce più deboli, solidarietà e giustizia sociale, principio di sussidiarietà, diritti inviolabili degli uomini e dei popoli, legalità e democrazia) devono «essere riconosciuti e promossi ciascuno nella propria integralità e tutti nel loro insieme, in quanto tra loro intimamente e reciprocamente correlati, e secondo la loro originaria e irrinunciabile “gerarchia”, in forza della quale essi sono e devono essere a servizio della persona umana e della sua dignità».

Su questi valori è tornato a parlare anche il card. Ruini nella citata prolusione alla 56ª assemblea generale della Cei, con particolare riferimento al valore della vita umana e della famiglia, oggi sotto attacco dall’attuale cultura secolarizzata. Anzitutto la vita e l’impegno a difenderla «dal primo istante del suo concepimento fino al suo termine naturale»; in secondo luogo «la famiglia legittima fondata sul matrimonio: per conseguenza il rifiuto dell’aborto, “delitto abominevole” (GS 51) la cui gravità si va purtroppo oscurando nella coscienza di molti ma che rimane un atto intrinsecamente illecito che nessuna circostanza, finalità o legge umana potrà mai giustificare (cf. Evangelium vitae 58-62)». Inoltre il rifiuto «dell’eutanasia e dell’utilizzo degli embrioni umani; e parimenti l’opposizione ai tentativi di dare un improprio e non necessario riconoscimento giuridico a forme di unione che sono radicalmente diverse dalla famiglia, oscurano il suo ruolo sociale e contribuiscono a destabilizzarla».

«Sappiamo bene, ha proseguito il cardinale, che questo nostro impegno è spesso mal tollerato e visto come indebita intromissione nella libera coscienza delle persone e nelle autonome leggi dello stato. Ma non per questo possiamo tacere, o sfumare le nostre posizioni. È infatti nostra comune e profonda convinzione, confermata dall’insegnamento chiaro e costante della Chiesa e sostenuta dall’esperienza umana e in particolare dalla grande tradizione di civiltà della nostra nazione, che abbiamo a che fare qui con quelli che il papa ha denominato “principi non negoziabili” (discorso del 30 marzo 2006 ai rappresentanti del Partito popolare europeo). Essi sono tali anzitutto per la loro intrinseca valenza etica, che non è però qualcosa di astratto e aprioristico: si lega invece sia a quel grande bene sociale che è la nascita e l’educazione dei figli sia alla genuina e duratura felicità delle persone»

Tuttavia, ha sottolineato il cardinale, in tutto questo «non dobbiamo vedere soltanto il peso negativo delle contestazioni all’insegnamento sociale e morale della Chiesa: esse infatti ci offrono l’occasione di fare, per così dire, una grande e pubblica catechesi, paziente e rispettosa ma chiara, e hanno già involontariamente favorito il crescere, in strati sempre più ampi del popolo italiano, di una più precisa coscienza di alcuni valori essenziali e della necessità di sostenerli e difenderli, in vista del bene comune».

Un buon auspicio si può dedurre anche dalle parole che il nuovo presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, ha pronunciato nell’atto di prestare giuramento il 15 maggio scorso: «Raccolgo il riferimento ai valori umani e cristiani che sono patrimonio del popolo italiano, ben sapendo quale sia stato il profondo rapporto storico tra la cristianità e il farsi dell’Europa. E ne traggo la convinzione che debba laicamente riconoscersi la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso, e svilupparsi concretamente la collaborazione, in Italia, tra stato e chiesa cattolica in molteplici campi in nome del bene comune».

 

M.C.