I FRATELLI COTTOLENGHINI A 40 ANNI DALL’APPROVAZIONE
QUATTRO VOLTE FRATELLI
Fratelli di
Gesù, tra noi, con coloro che serviamo e con quelli che condividono la missione:
sono le quattro dimensioni in cui si esprime lo specifico della nostra
vocazione nella Chiesa, all’interno della vita consacrata e della nuova
evangelizzazione.
Sono trascorsi 40 anni da quando la famiglia religiosa dei
Fratelli di san Giuseppe Benedetto Cottolengo è stata approvata dalla
Santa Sede (1965) come congregazione di diritto pontificio e 175 anni dalla sua
fondazione avvenuta nel 1833, da parte di san Giuseppe Benedetto Cottolengo. La
ricorrenza ha offerto l’occasione per ristudiare e approfondire,
attraverso un’articolata riflessione a più voci, la
specificità del carisma del Fratello laico, ribadirne
l’originalità e confermarne la validità.
Come si può intendere oggi lo specifico del religioso
laico all’interno della vita religiosa? Fra i vari oratori, ad affrontare
il tema è stato soprattutto Juan Pablo Martin, consigliere generale dei
Fratelli delle Scuole Cristiane, il quale ha preso lo spunto dalle icone
bibliche scelte dal congresso mondiale sulla vita religiosa celebrato a Roma nel
2004: quelle della samaritana e del buon samaritano. Nel racconto del
samaritano, ha affermato fr. Martin, si può ritrovare il Padre che si
è chinato e ha raccolto il Cristo, picchiato e maltrattato, dalla croce
e lo ha abbracciato nella risurrezione.
DAL CARISMA
ALLA FRATERNITÀ
I fondatori possono essere visti proprio come Gesù:
«Dal gesto di piegarsi dinanzi ai poveri, i nostri fondatori avevano
scoperto il volto misericordioso di Dio, dando forma allo stile di vita che ci
hanno offerto. È a partire da questa icona del samaritano che si sono
configurate le nostre congregazioni dalle quali nasce il nostro modo di
pregare, di sviluppare il nostro ministero ogni giorno e di formare
comunità».
I carismi invitano a guardare Dio con speciale
modalità. «Dio ci ha dato un modo particolare di contemplare il
suo volto e il mondo e ci ha dato una forza speciale per rendere visibile il
suo amore tra gli uomini. È quello che vi fa essere del Cottolengo e
come voi, Fratelli del Cottolengo… come voi vi chiamate fratelli e come
volete trasformare il vostro luogo di lavoro, di apostolato in una casa, in una
famiglia, nella stessa forma anch’io, come Fratello delle Scuole
Cristiane, ho il desiderio di essere fratello dei giovani per accoglierli come
fece Gesù… Questo è quello che ci offre il carisma, dentro
il quale c’è una dimensione speciale che è la dimensione
della fraternità. Siamo fratelli. Gesù la presenta l’icona
del samaritano a partire dalla domanda: qual è il mio prossimo? Noi
vogliamo essere il prossimo sotto questa forma che chiamiamo Fratelli».
Fratel Martin ha mutuato da un progetto comunitario lo
schema delle quattro fraternità: fratelli di Gesù, fratelli tra
noi, fratelli dei giovani, fratelli di quelli che lavorano con noi.
«Siamo fratelli di Gesù perché camminiamo, abbiamo fatto il
cammino con Gesù. Gesù ci ha invitato a condividere la sua
missione. E dobbiamo ricordare che il grande gesto di Gesù fu la
vicinanza. Avvicinava gli infermi per porre su di loro le mani e trasmettere la
salvezza… Gesù manifestava un volto totalmente nuovo di Dio: un
Dio vicino che si avvicinava a raccogliere chi era ferito sulla strada, un Dio
vicino del quale nessuno può appropriarsi per racchiuderlo nel tempio e
nella legge. Dio è alla portata di mano della vita della gente, del suo
popolo. Seguire Gesù come Fratelli ci introduce nel mistero della
vicinanza di Dio verso gli uomini; siamo con Gesù vicini a tutti gli
uomini. Da qui nasce la nostra condizione laicale». C’è
corrispondenza tra la condizione laicale, restare nel mondo, e la condizione di
fratelli. Perciò in Vita consecrata si è proposto di cambiare il
nome degli istituti laicali in “istituti di Fratelli”,
perché il termine “laico” non esprime l’indole
particolare della vocazione dei religiosi. «Dobbiamo ricordare, ha
sottolineato Fratel Martin, che con il nome di fratello integriamo anche la
nostra dimensione laicale, caratteristica di tutto il popolo di Dio e
ciò indica che siamo accanto agli uomini e alle donne del nostro mondo,
nelle loro aspirazioni e bisogni».
FRATELLI
NELLA GLOBALIZZAZIONE
Il secondo volto della fraternità si collega alla
formazione di una comunità fraterna. Nel documento Vita fraterna in
comunità si arriva ad affermare che «tutta la fecondità
della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in
comune». Mentre l’amico è una persona che ci corrisponde, il
fratello invece non si sceglie poiché rappresenta un semplice dono.
Possiamo solo accettarlo o rifiutarlo. «Succede lo stesso a livello della
fede. La persona del nostro fratello di comunità ci pone direttamente
davanti a Colui che lo ha posto sul nostro cammino e che lo ha regalato a noi
come un dono. Solo nelle sincere fraternità possiamo scoprire il nostro
Padre comune e solo se abbiamo fede nel nostro Padre comune possiamo scoprire
la fraternità.
Forse la parola più sentita in questi ultimi anni
è stata la parola “globalizzazione”. Al principio la parola
“globalizzazione” ci faceva piacere perché ci permetteva di
collegarci con qualsiasi luogo del mondo. Col tempo abbiamo capito che la
globalizzazione era anche molesta e disturbava le nostre vite. Un esempio
è ciò che è successo nelle ultime settimane in Francia. La
globalizzazione ci ha reso vicino ciò che era lontano. Ha posto anche
gli emigranti nelle nostre città e persone che prima erano molto lontane
ora sono molto vicine. Adesso tra noi ci sono molte persone di origini
diverse… Ora ci sembra che la globalizzazione ci suoni più come
una diversità conflittuale che una possibilità di comunicazione…
La rivoluzione francese ci aveva promesso l’uguaglianza, la
libertà e la fraternità; possiamo dire che un po’ di
libertà, un po’ di uguaglianza le abbiamo, ma la fraternità
non è ancora raggiunta. La fraternità veramente è
un’utopia per l’umanità e la fraternità che stiamo sperimentando
è un dono come la pioggia del mattino, un dono totalmente gratuito al
quale possiamo accedere soltanto aprendo il nostro cuore. Per questo le nostre
comunità possono essere segni importanti di comunione nella
diversità del nostro mondo, soprattutto quando queste comunità si
organizzano con membri di differenti razze, culture e paesi, come sono tutti i
nostri istituti».
In questo senso si può dire che l’essere
Fratello nella Chiesa e nel mondo è un ricordo pericoloso (Metz),
perché presenta il valore evangelico della relazione orizzontale in un
ambiente tentato sempre dalla ricerca dei primi posti,
dell’autoritarismo. «Noi Fratelli siamo gelosi di questo principio
di eguaglianza che si compie in maniera chiara tra noi. I fratelli non
conservano nessun titolo per tutta la vita. Chi ha qualche
responsabilità o titolo non conserva i privilegi quando cessa la sua
funzione, ritorna allo stesso stato di tutti i fratelli. In un mondo in cui si
cerca il prestigio e il potere, questa forma concreta adottata dalla nostra
vita si converte in un gesto profetico». Ma va riconosciuto che oggi si
sta passando da comunità con stile molto omogeneo a comunità con
uno stile molto diverso. Perciò si fa ogni volta più importante
avere una fonte di fraternità: «Una comunità dove dobbiamo
potenziare soprattutto le relazioni. Sviluppare l’ascolto, il dialogo,
l’incontro informale, l’aiuto reciproco, incontrarci nei momenti di
preghiera e formazione, condividere i nostri progetti di lavoro e il nostro
itinerario di fede. Si tratta di stabilire una relazione che non ci faccia
vivere accanto a, ma con i nostri fratelli».
La fraternità modella anche la forma peculiare del
servizio di evangelizzazione (terzo aspetto). «Per evangelizzare come
fratelli, facciamo dono della nostra persona e lo facciamo senza misurare il
tempo per paura che ci siano chieste altre occupazioni più impegnative.
Nella famiglia il padre deve occuparsi di alcune cose e andare e venire dalla
casa, ma il fratello è presenza continua, compagnia per i differenti
momenti della vita. Questo è proprio dei Fratelli. La gente se ne rende
conto e dice: “voi Fratelli siete differenti”… Il mio
fondatore diceva ai Fratelli: “Il vostro ministero è di uomini che
si donino completamente”. Possiamo affermare che in questa intuizione
risiede un ulteriore aspetto del nostro essere laici. Il mio fondatore non solo
vuole che noi non ci sposiamo, ma anche che noi non diventiamo sacerdoti. La
ragione è semplice. Noi non possiamo realizzare altri ministeri nella
Chiesa. Il ministero al quale siamo consacrati richiede uomini a tempo
pieno…
Esercitiamo il nostro ministero ecclesiale in frontiera,
nella periferia di questa Chiesa per invitare quelli che sono lontani, quelli
che sono dimenticati e quelli che non hanno la forza di ritornarci. Questo
ministero di fraternità è anche fonte di ecumenismo, di dialogo
interculturale e religioso. L’abbracciare la realtà
dell’altro come fece Gesù e l’interessarci completamente
della sua persona ci fa inculturare, aprire porte e allungare ponti. È
meraviglioso vedere come vivono, nelle nostre opere, giovani di differenti
culture, religione e tribù, anche se i loro paesi sono in guerra.
È veramente una gioia vedere come palestinesi, ebrei, cristiani e
musulmani convivono nelle nostre scuole… Quando ci sono stati conflitti
tra cristiani e musulmani, intorno alle famiglie religiose si è trovata
la pace ed è avvenuto l’incontro».
FRATELLI
NELLA MISSIONE
L’ultimo aspetto della fraternità riguarda la
condivisione della missione. Il carisma originario dei fondatori non appartiene
in esclusiva all’istituto. È stato dato alla Chiesa per tutti
coloro che si sentono chiamati a viverlo. «Poiché il carisma
genera comunione nella Chiesa, possiamo dire che il carisma ci unisce fortemente
ai fratelli e ai paesi, anche se lo viviamo in differenti stati di vita.
Così i laici ci aiutano non solo nella missione, ma anche nella
preghiera, nella spiritualità e ci fanno scoprire ricchezze del carisma
che abbiamo tenuto in minore considerazione».
Sui quattro pilastri della fraternità fratel Martin
ha concluso richiamandone altrettante dimensioni. «Essere Fratelli
significa, in primo luogo, ricordare che la missione ha la sua origine in Dio.
La nostra missione non è una questione di filantropia, ma nasce dal
cuore di Dio. Dobbiamo sempre sottolineare il primato dell’ amore di Dio.
In secondo luogo dobbiamo sottolineare la dimensione di gratuità nello
sviluppo della missione. La vostra opera del Cottolengo è stata fondata,
radicata nella provvidenza. Lo stesso fu per l’opera di Giovanni Battista
La Salle. E sebbene oggi sia difficile mantenere in tutti i luoghi la
gratuità economica del lavoro, nel nostro caso è possibile la
gratuità personale. La nostra vita deve stimolare ad essa: i nostri
fratelli ci ricordano la sovrabbondanza della gratuità. Non si
può comprendere la vita religiosa dall’orizzonte del risparmio,
della misura del tempo, perché stiamo rappresentando l’amore di
Dio che è gratuito, immenso, sovrabbondante. Noi Fratelli siamo
testimoni della dimensione comunitaria del nostro carisma. La missione che
realizziamo in ogni opera è una missione comunitaria. Non si tratta solo
di lavorare in gruppo, ma di essere comunità evangelizzatrice… E
noi diamo, è il quarto punto, un impulso e un’apertura universale
alla nostra missione. Siamo Fratelli venuti da tutto il mondo, da differenti
paesi, con differenti culture, con differenti lingue e differenti
mentalità. Siamo disposti ad andare dove occorre e a compiere quello che
diceva di noi Paolo VI: essere negli avamposti della Chiesa… Sant’
Agostino diceva ai suoi cristiani: “con voi sono cristiano, per voi sono
vescovo”. Il Fratello può parafrasare queste parole e dire: con
voi oggi sono cottolenghino, ma per voi sono fratello. È come dire: sono
impegnato nell’ aiutare a vivere il carisma che insieme condividiamo. Il
fatto di condividere il carisma ci trasforma: esso non è una minaccia,
ma una nuova possibilità di vivere la nostra vocazione. Siamo fratelli
dei laici per farci loro compagni nel cammino nello Spirito che li ha impregnati
dello stesso carisma».
Mario Chiaro