53ª ASSEMBLEA NAZIONALE USMI

CON I LAICI UNO SCAMBIO DI DONI

 

La collaborazione con i laici nell’evangelizzazione non è dovuta alla mancanza di personale religioso, ma è frutto di un’apertura che lo Spirito fa risvegliare e risponde alle esigenze dell’ecclesiologia di comunione avviata dal concilio. Oltre 400 superiore maggiori vi hanno riflettuto nella loro assemblea nazionale.

 

Il rapporto tra religiosi e laici è diventato ormai da diversi anni, dietro impulso dell’ecclesiologia del concilio, il nuovo orizzonte su cui si è assestata la riflessione all’interno della vita consacrata. Accanto alla ricerca di nuove vie di collaborazione promosse e sperimentate da numerosi istituti, a incoraggiare questa tendenza era stata anche l’esortazione apostolica di Giovani Paolo II, Vita consecrata, in cui si diceva: «Uno dei frutti della dottrina della Chiesa come comunione, in questi anni, è stata la presa di coscienza che le sue varie componenti possono e devono unire le loro forze, in atteggiamento di collaborazione e di scambio di doni, per partecipare più efficacemente alla missione ecclesiale. Ciò contribuisce a dare un’immagine più articolata e completa della Chiesa stessa, oltre che a rendere più efficace la risposta alle grandi sfide del nostro tempo, grazie all’apporto corale dei diversi doni. …Oggi non pochi istituti, spesso in forza delle nuove situazioni, sono pervenuti alla convinzione che il loro carisma può essere condiviso con i laici. Questi vengono perciò invitati a partecipare in modo più intenso alla spiritualità e alla missione dell’istituto medesimo. Si può dire che, sulla scia di esperienze storiche come quella dei diversi ordini secolari o terz’ordini, è iniziato un nuovo capitolo, ricco di speranze, nella storia delle relazioni tra le persone consacrate e il laicato» (54).

Entro questa prospettiva ha voluto porsi anche la 53a assemblea nazionale USMI che si è tenuta dal 19 al 21 aprile presso la Pontificia università urbaniana, con la partecipazione di oltre 400 superiore maggiori, per riflettere sul tema Laici e religiosi nel cammino dell’evangelizzazione.1

Dal punto di vista metodologico, rispetto alle precedenti edizioni, l’assemblea ha voluto privilegiare più l’ascolto che il dibattito, lasciando così scoperto un aspetto che sarebbe stato fonte di ulteriori arricchimenti e di cui si è sentita un po’ la mancanza. A costituire infatti l’asse portante dei lavori sono stati l’ascolto del modo di vivere di tre movimenti (associazione “Memores Domini”, movimento dei Focolari, istituto Missione Chiesa-mondo) e la presentazione di alcuni concreti modelli di collaborazione tra religiosi e laici.

 

LAICI

“MALE MINORE”?

 

La collaborazione è frutto dello Spirito o esigenza di continuare i frutti delle nostre opere? La domanda provocatoria di sr. Battistina Capalbo, facilitatrice dell’assemblea ha costituito il filo conduttore di tutto il convegno e, in realtà, ha richiamato l’attenzione sulla concretissima e spinosa questione di come gestire grandi strutture con sempre minor personale religioso. I laici sono dunque un’utile “manodopera” o il “male minore” davanti all’inevitabile invecchiamento degli istituti religiosi e al calo delle vocazioni alla vita consacrata?

Nella sua relazione di apertura, l’attuale presidente USMI, madre Teresa Simionato ha intuito la radice del problema e la sfida che non pochi istituti religiosi hanno raccolto da tempo: «l’animazione e il coinvolgimento dei laici nel compimento della missione evangelizzatrice matura il cammino di reciprocità dentro un’ecclesiologia di comunione; sollecita la “consegna” e la condivisione di un dono che non ci appartiene in modo esclusivo; favorisce la riespressione del carisma con le caratteristiche proprie di una cultura». In altri termini, è la bussola del Concilio Vaticano II che impone alla vita consacrata una più decisa e coraggiosa fiducia nei laici.

D’altra parte, i religiosi nella Chiesa non sono altro che un’esigua porzione rispetto alla maggioranza dei laici. Soprattutto dopo gli anni ‘80 si è notevolmente approfondita la riflessione teologica sul laicato. Questo dato ha comportato una messa in discussione di ciò che da sempre ha caratterizzato la vita consacrata. Nel comune linguaggio la “vita consacrata” è distinta dalla “vita laicale” ma – ha obiettato p. Fabio Ciardi, invitato a parlare della realtà dei religiosi e della condivisione dei loro carismi – quella dei laici non è essa stessa “consacrata”? Così pure si fanno corrispondere unicamente allo stato di vita delle religiose e religiosi alcuni termini quali “radicalità” evangelica, vita “religiosa”, “perfezione”, ma anche quella dei laici non dovrebbe essere un’esistenza radicale, religiosa, perfetta? Si comprende pertanto come le “mutue relazioni” tra religiosi e laici, oltre a essere un dettato conciliare, aiutino non poco alla costruzione di un maturo dialogo tra teologia della vita consacrata e teologia del laicato, decodificando ulteriormente il ruolo specifico di ciascun stato di vita.

Espressioni come «ecclesiologia di comunione», «condivisione del carisma», «comune consacrazione battesimale» hanno rappresentato un energico stimolo nell’interrogare la vita consacrata su ciò che determina la sua presenza nella Chiesa e nel mondo rispetto al similare modo di vivere di molti laici. Un aneddoto della Vita dei Padri, richiamato da mons. Giudici vescovo di Pavia nella sua relazione sul sentire cum ecclesia, riassume con incisività il bagaglio essenziale, il proprium della vita consacrata: «Riporta qualcuno dei Padri: tre cose sono onorabili presso i monaci, alle quali bisogna avvicinarci con timore, tremore e gioia grande: la comunione delle cose sante, la mensa fraterna, il catino nel quale sono lavati i piedi dei fratelli (PL 78)». Detto altrimenti, prima di richiedere e attuare la collaborazione con i laici, sarebbe bene che le comunità religiose vivano (o si sforzino di vivere) al loro interno la collaborazione e ciò che precede la cooperazione con i laici: il primato della preghiera, la vita fraterna, l’amore reciproco. Solo a partire da questa ascesi si potrà giungere ad una reale “alleanza” di comunione e condivisione con i laici. Nello specifico, la vita religiosa femminile è chiamata a essere come le donne “mirofore” in quel mattino di Pasqua, «donne con le mani colme di profumo del loro amore e della loro preghiera che corrono per annunciare agli apostoli che Cristo è il Vivente» (madre Simionato).

Grazie all’azione dello Spirito, dopo il concilio sono sorte nuove forme di condivisione fra religiosi e laici. Nel corso dei lavori ne sono state presentate tre: la Comunità delle Beatitudini, la Piccola Famiglia dell’Annunziata, l’associazione Mondo di Comunità e Famiglia.

La Comunità delle Beatitudini (riconosciuta ufficialmente nel 2002) trae ispirazione dalla primitiva comunità degli Atti (At 4,32-35) e possiede il carisma della “condensazione ecclesiale” (Borras), la cui caratteristica è la comunione dei diversi stati di vita nella medesima vita comune. In questo modello, intensa è la comunione delle diversità, come “segno della Gerusalemme celeste”.

Differente è l’esperienza dei coniugi Antonio e Adriana Scalabrini appartenenti alla Piccola Famiglia dell’Annunziata fondata da don Dossetti. Essi «condividono lo stesso spirito e gli stessi scopi dell’unica regola», professando voti di castità, povertà, obbedienza e stabilità, unitamente a un intensa vita di preghiera fondata sull’Eucaristia e la parola di Dio, ma nella propria famiglia.

L’esperienza di Villa Pizzone, presentata dall’esuberante presidente dell’associazione “Mondo di Comunità e Famiglia” si ispira all’idea del “condominio solidale” nel quale comunità religiose (in questo caso gesuiti) e semplici famiglie scelgono di vivere insieme, ma da buoni vicini che condividono un medesimo stile di vita solidale, senza per questo identificarsi in un specifico carisma.

 

COLLABORAZIONE SÌ

MA CON CRITERIO

 

La comune radice battesimale e l’amore per la Chiesa percepita come popolo di Dio rappresentano la solida piattaforma per una seria e convincente collaborazione tra laici e religiosi.

Ma secondo quali regole si deve costruire la collaborazione tra religiosi e laici? Il primo passo da muovere è comprendere il grado di rapporto che le comunità religiose hanno con i laici e, viceversa, il livello di impegno che i laici intendono assumersi rispetto alla comunità religiosa e alle sue opere. «Ci sono laici – ha spiegato p. Ciardi – che non condividono necessariamente spirito e carisma ma hanno un qualche legame con noi (dipendenti, collaboratori, amici); ci sono poi i cosiddetti “laici associati”, cioè coloro che si ispirano al carisma di un fondatore, e sono uniti fra loro senza un particolare legame istituzionale con l’istituto; infine ci sono gli “associati all’istituto” cioè gruppi di laici riconosciuti ufficialmente dagli organi direttivi che condividono vita o progetti pastorali in comune con i membri dell’istituto (come è il caso di diversi istituti missionari)». Con i primi l’invito è coltivare amicizia, con i secondi il sostegno e la formazione tenendo ferma la distinzione, con i terzi discernimento e più stretta condivisione. Si tratta, in definitiva di salvaguardare il principio del rispetto della propria e altrui identità, nella comune missione ecclesiale.

 

VERSO UN COMUNE

CAMMINO DI EVANGELIZZAZIONE

 

Il convegno ha insistito sul doveroso e reciproco apprezzamento di laici e religiosi, lasciando tuttavia in secondo piano il “cammino di evangelizzazione oggi”, come ci si sarebbe aspettati dal tema dell’assemblea.

In sintesi, ci pare siano emersi con limpidezza quattro punti fermi sui quali ci si augura che le comunità religiose abbiano il coraggio di dibattere:

– Il principio che regola la collaborazione è eminentemente evangelico. Non sono i laici che aiutano i religiosi, o i religiosi che si servono del supporto dei laici perché non possono fare diversamente. Entrambi guardano nella stessa direzione, entrambi sono condiscepoli del medesimo Maestro.

– Il carisma non è esclusivo appannaggio della vita religiosa. Lo Spirito dona alla Chiesa (e quindi anche ai laici) il carisma che ogni istituto ha esso stesso ricevuto. Ciò significa che lo Spirito può far intraprendere percorsi diversi da come ci si potrebbe aspettare.

– «Bisogna conoscere i laici»: i religiosi e le religiose devono informarsi e conoscere solidamente i documenti sul laicato, pronunciati dal Vaticano II e dal successivo magistero ecclesiale. Pure dovrebbero essere allenati ad ascoltare, capire, apprezzare, mostrare interesse verso i laici che quotidianamente incontrano.

– I laici pretendano e aiutino le persone consacrate a essere se stesse. Lo slogan risuonato durante l’assemblea “suore fate le suore, al resto ci pensiamo noi” può essere interpretato come richiamo alla indiscussa preziosa presenza delle donne consacrate nella vita quotidiana della gente, ma altresì mostra come anche i laici abbiano il dovere di conoscere meno superficialmente la vita religiosa odierna.

Da queste premesse nascerà collaborazione, condivisione, alleanza nel cammino di evangelizzazione. O, forse, tutto questo è già evangelizzazione.

 

Sergio Rotasperti

 

1 Le relazioni: Laici e religiosi nel cammino dell’evangelizzazione, oggi (Madre Teresa Simionato, smsd): La realtà dei religiosi e la condivisione dei loro carismi con i laici (Fabio Ciardi, omi); La realtà dei laici e religiosi nella collaborazione pastorale (Ina Siviglia); “Sentire cum Ecclesia”. Laici e religiosi nel cammino dell’evangelizzazione, oggi (mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia); La vita consacrata nei movimenti: associazione “Memores Domini” (Cristiana Maraviglia); movimento dei Focolari (Valeria Ronchett); Missione Chiesa Mondo (Lidia Curcio); Tavola rotonda: Quale cooperazione nell’evangelizzazione, Comunità delle Beatitudini (Gemma Scognamiglio); Piccola Famiglia dell’Annunziata (Adriana e Antonio Scalabrini, coppia di sposi); Mondo della Comunità e Famiglia (Bruno Volpi).